L’immortalità del «Canto di Natale» di Charles Dickens lo rendono un classico immortale dal complesso immaginario allegorico. Il 19 dicembre del 1843 usciva in tutto il mondo uno dei libri di maggior successo che suggella il periodo natalizio. Ripercorriamo le sue tappe ed i suoi significati.
Cosa c’è di più classico e tradizionale nel periodo delle feste che accovacciarsi sotto ad un camino acceso e leggere forse il classico più importante della letteratura natalizia? Il Canto di Natale non è soltanto un racconto per bambini (anche perché c’è una morale che va molto oltre il target dei bambini) ma è un vero e proprio libro senza tempo: sono così attuali i temi affrontati dallo stesso Dickens che sembra scritto ieri. Proprio per questo motivo andremo ad affrontare ed analizzare questo classico della letteratura, ma prima qualche informazione utile per inquadrare chi fosse l’autore è sempre ben accetta.
Charles Dickens è stato uno scrittore, giornalista e reporter di viaggio britannico dell’età vittoriana, nato nel 1812 a Portsmouth. La sua non era una famiglia benestante, fu secondogenito di otto figli (vi dice nulla una famiglia numerosa che deve combattere contro i benestanti?) e venne educato da un pastore battista. Fu nei primissimi anni di scuola che iniziò ad interessarsi alla lettura, ma purtroppo varie vicissitudini familiari gli hanno dovuto posticipare il suo impegno con la sua scrittura. Data la condizione economica della sua famiglia molto precaria, il padre venne imprigionato a causa di un mancato pagamento dei suoi debiti, e fu così che un giovane Charles, nel 1824, iniziò a lavorare come operaio, per garantire alla propria, numerosa, famiglia un sostentamento e un aiuto.
Fu così che un giovane Charles, nel 1824, iniziò a lavorare come operaio, per garantire alla propria, numerosa, famiglia un sostentamento e un aiuto.
Fortunatamente, con l’eredità lasciata dalla nonna, riuscirono a far scarcerare il padre di Charles che per ricambiare all’impegno profuso dal figlio, nei confronti della famiglia nel periodo del carcere, lo iscrisse alla Wellington House Academy (una delle scuole più rinomate di quel periodo). A soli 15 anni divenne stagista presso uno studio di avvocati, ma come spesso accade ai grandi scrittori, non era affatto appassionato da quel lavoro (e tematica) e si concentrò nello studio della stenografia che lo portò successivamente a lavorare presso uffici e tribunali. Negli anni divenne cronista del The true Sun ed altre testate giornalistiche dell’epoca e fu proprio in quel periodo che, sotto lo pseudonimo Boz, iniziò a realizzare dei bozzetti rappresentanti la vita urbana e sociale. La sua prima opera risale al 1836 con “I quaderni postumi del circolo Pickwick” pubblicato in dispense mensili.
La sua prima opera risale al 1836 con “I quaderni postumi del circolo Pickwick” pubblicato in dispense mensili.
Qui inizia a diventare famoso. Nel 1836 si sposò ed i suoi bozzetti vennero portati a teatro. Altra tappa fondamentale della sua vita è la sua partenza per gli Stati Uniti d’America, nel 1842 con sua moglie suo figlio, per un viaggio che gli permise di visitare numerose città. Un anno dopo quel viaggio, il 19 dicembre del 1843 nasce finalmente una delle opere che l’hanno reso celebre al mondo intero: “A Christmas Carol”. Ritornato in Inghilterra fondò il Daily News, ma la sua carriera di direttore durò ben poco, la letteratura e scrittura ormai erano diventate la sua prerogativa e difatti tra il 1849 e 1850 pubblicò un’altra straordinaria pietra miliare del genere: “David Copperfield”. Nel 1855 si trasferì a Parigi e dopo gravi vicissitudini familiari, la morte di una figlia e le gravi condizioni di salute di sua moglie, si separò definitivamente dalla sua amata non con poco rammarico. Nonostante ciò continuo a far girare le rappresentazioni teatrali delle sue opere viaggiando per il mondo, cercando ogni volta di modificare e riscrivere i copioni e sceneggiature, tanto era la sua passione per quella particolare arte come la rappresentazione a teatro. Fu così attaccato a quel mondo che anche dopo la diagnosi di una paralisi, continuò imperterrito il suo lavoro. Charles Dickens morì nel 1870 a causa di una emorragia cerebrale.
“Il Canto di Natale”: un’opera antica, ma sempre attuale.
Il Canto di Natale è un romanzo breve che non necessita di grandi presentazioni. Si tratta infatti di un classico della letteratura che ha appassionato da sempre piccoli e adulti, con un quantitativo di trasposizioni cinematografiche che farebbe concorrenza a qualsiasi altro film. Il cinema non aveva nemmeno pochi anni di vita e già nel 1901 si cercò di trasporre questo speciale racconto. Ed è proprio per questo che non andremo a soffermarci sulla trama, perché anche se magari non lo si è letto, è impossibile non aver in qualche modo avuto a che fare con la sua simbologia. Charles Dickens ha costruito una storia immortale e senza tempo, sempre attuale e moderna. L’originalità della storia sta nella presenza dei tre spiriti che nei sogni di Scrooge gli indicano una particolare via, una tecnica narrativa che sarà riutilizzata in tantissimi media e altre opere.
Charles Dickens ha costruito una storia immortale e senza tempo, sempre attuale e moderna.
Una simbologia eterna e particolare. Scrooge riceve infatti prima di tutto la visita di un amico e collega, che il giorno della vigilia di Natale gli si presenta come un fantasma inquietante. I tratti gotici del racconto assumono in tale sequenza probabilmente i toni più aspri e grotteschi. È iconica l’immagine dello spirito incatenato da una catena con lucchetti, assegni e banconote, un’immagine quasi di contrappasso dantesco.
L’amico vuole fare ravvedere Scrooge per salvarlo e non farlo finire come lui e gli fa visita proprio a Natale, festa che lo stesso avaro odia considerandola una perdita di tempo in cui non si può ottenere denaro, in quanto si prende la pausa dal lavoro. Le catene pesanti e rumorose, l’aspetto deteriorato ed estremamente triste di Marley che si presenta a Scrooge sono una metafora del tentativo di aiutarlo a sganciarsi da quelle catene dell’avarizia che lui si porta appresso. La magia con cui Dickens le descrive ci dona perfettamente la pesantezza ed il rumore solo nel leggere i passi. All’incontro di Scrooge con ogni fantasma, si comprende e si percepisce il cambiamento del protagonista, che si ritrova a soffermarsi su cosa l’abbia condotto ad odiare così tanto il Natale: dal rapporto complicato con la famiglia, dopo la morte della madre, l’essere mandato in collegio dal padre e l’allontanamento dalla famiglia che lo fa sentire solo ed abbandonato. Con il fantasma del presente Scrooge capisce come lo vedono tutti, la considerazione sgradevole che hanno di lui come il giubilo possibile durante la sua possibile morte.
Quel fantasma gli fa conosce la famiglia del suo dipendente per fargli comprendere la povertà a cui lo costringe, con tanti figli a carico uno dei quali estremamente malato e debole. Scrooge si trova a confrontarsi con se stesso, garantendogli una evoluzione senza eguali ancor più garantita nel vedere come vivono gli altri e del malsano contributo che ha lui come capo severo e avaro.
Chi più ha meno dona è ciò che Scrooge capisce con l’incontro dell’ultimo fantasma quello del Natale futuro, che gli mostra la triste morte che lo aspetta se non cambierà in meglio: solo, dimenticato ed una liberazione per tutti. Il tema sociale dell’opera è sotto gli occhi di tutti, non è soltanto un canto natalizio, ma un vero e proprio trattato politico dell’epoca, ma che si riscontra sempre attuale in ogni (purtroppo) periodo storico. Lo scopo dell’autore era far conoscere i ceti più svantaggiati, i poveri, denunciando vivamente i soprusi nei confronti di tali ceti, come il silenzio della borghesia nei confronti della miseria in cui molti poveri erano costretti a vivere. Una critica alla società e lotta alla povertà molto feroce, anche caricaturale disegnando lo stesso personaggio di Scrooge fin troppo in eccesso in qualche sfaccettatura, ma volutamente inserito in un contesto ben specifico. Proprio le tematiche affrontate da Dickens, rendono sempre contemporaneo un racconto come questo, divenuto immortale, grazie all’attualità dei tempi ancora pregnanti della società odierna. Robert Luis Stevenson all’epoca scriveva questo:
Mi chiedo se per caso hai letto “I Libri di Natale” di Dickens – chiese Robert Louis Stevenson a un amico […] – Io ne ho letti due, e ho pianto come un bambino, ho fatto uno sforzo impossibile per smettere. Quanto è vero Dio, sono tanto belli, e mi sento così bene dopo averli letti. Voglio uscire a fare del bene a qualcuno […] Oh, come è bello che un uomo abbia potuto scrivere libri come questi riempiendo di compassione il cuore della gente!”
Da queste simbologie così profondamente descritte in ogni sua piccola frase (nonostante la brevità del racconto) nasce la natura incredibilmente visiva e penetrante di questo romanzo classico. Proprio per queste ragioni ha trovato ampio spazio nel cuore e, quando la tecnologia lo ha consentito, negli schermi di tutto il mondo più e più volte. Questo testo dovrà essere trasposto in ogni periodo possibile in quanto c’è bisogno del Canto di Natale in ogni suo momento storico: non ci si deve fermare alle meravigliose trasposizioni passate, ma proporlo sempre in ogni momento non stancandosi mai di ricordare le grandi tematiche ideate da Dickens.