Da quando ti hanno assunto e stai lavorando, il tuo datore di lavoro versa all’INPS il 9,19% del tuo stipendio lordo, come contributo pensionistico.
Magari pensi che l’INPS tenga da parte i tuoi soldi per quando andrai in pensione. E invece non lo fa.
Come funziona l’INPS
L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è equiparabile ad uno sportello con due lati aperti al pubblico.
Da una parte vengono versati i contributi di chi lavora, e dall’altra vengono prelevate le pensioni.
In mezzo non c’è nessun accantonamento di lungo periodo.
Per averne la certezza, basta leggersi il PDF del bilancio preventivo 2013 dell’INPS.
A pagina 9 (pag 21 nel PDF) si legge che la situazione patrimoniale netta a inizio esercizio è di 25 miliardi di euro, e che le riscossioni previste nell’anno, in termini di versamenti contributivi, sono 275 miliardi di euro, a fronte di 385 miliardi di euro di pagamenti previsti.
In pratica i soldi che l’INPS ha in cassa a inizio anno, non bastano neanche per pagare le pensioni di un mese.
Peraltro neanche i versamenti contributivi bastano.
Per il 2013 mancano 110 miliardi di euro, che dovrà metterci qualcun altro (lo stato, nello specifico) e questo problema si ripresenta tutti gli anni, peggiorando ogni anno.
In ogni caso il disavanzo totale è devastante. L’INPS quest’anno avrà uscite pari al 140% di quello che andrà ad incassare dai contributi dei lavoratori.
Ma allora non sto accumulando la mia pensione?
Si, ma non sotto forma di soldi. Quello che stai accumulando, è un credito futuro nei confronti dell’INPS.
L’INPS tiene nota di tutti i contributi che hai versato, anche se attualmente i tuoi soldi sono già stati dati ad altre persone.
Quando sarà il tuo turno, toccherà a qualcun altro pagarti la pensione tutti i mesi.
Questo approccio peraltro è abbastanza comodo: mettere da parte i soldi versati non li salverebbe dalla svalutazione; bisognerebbe investirli in qualche modo, ma ci sarebbe comunque qualche percentuale, seppur minima, di rischio.
Invece, se ogni mese si bilanciano entrate ed uscite, il tasso di svalutazione corrente non dà problemi di cassa, indipendentemente da quanto possa essere elevato.
Così facendo si genera però un problema: se ci sono troppi pensionati in rapporto ai lavoratori, le uscite di cassa superano le entrate.
In pratica la pensione si basa sul presupposto che, in qualunque momento, ci siano abbastanza lavoratori che versino i contributi, in modo da coprire le richieste dei pensionati.
Retribuzione o contribuzione?
Ci sono due sistemi di calcolo della pensione: retributivo e contributivo. In alcuni casi però, siccome dobbiamo fare le cose difficili, si usa il metodo misto.
In pratica, prima della riforma Fornero del 2012, la pensione era calcolata sulla media degli stipendi degli ultimi 10 anni (15 per gli autonomi).
Questo è il metodo retributivo, il cui svantaggio per lo stato era che se uno guadagnava poco nei primi 30 anni, ma tantissimo negli ultimi 10, andava in pensione prendendo più soldi di quelli che aveva versato.
Dopo la riforma Fornero, la pensione viene calcolata su tutto l’ammontare versato nella vita lavorativa, rivalutato con l’indice ISTAT per evitare che se lo mangi la svalutazione.
Il valore ottenuto viene moltiplicato per un coefficiente, che lo diminuisce proporzionalmente se chi va in pensione ha meno di 65 anni.
Questo è il metodo contributivo, il cui svantaggio per il lavoratore è che la pensione mensile sarà probabilmente inferiore al valore dell’ultimo stipendio a cui si è abituati, visto che si basa sulla media di tutti stipendi percepiti, compresi quelli di inizio carriera.
Ci sono anche persone che hanno iniziato molto tempo fa a versare i contributi, pur non essendo ancora andati in pensione. Quando è cambiata la normativa, per queste persone si è deciso di usare un metodo misto.
In questo caso, per una certa percentuale dell’importo si usa il metodo retributivo, e per il resto si usa il metodo contributivo. Il tutto dipende da quanti versamenti contributivi erano stati effettuati prima del 31 Dicembre 1995.
Se a qualcuno interessa c’è anche una spiegazione più dettagliata.
Ma perché l’INPS è in passivo?
Ci sono principalmente due motivi: gli ammortizzatori sociali, e lo sbilanciamento del rapporto tra pensionati e forza lavoro.
Gli ammortizzatori sociali
Gli assegni sociali vengono dati alle persone con più di 65 anni, che non abbiano mai lavorato, o che non abbiano versato abbastanza contributi, nel caso in cui siano in situazioni economiche disagiate.
Per il 2013 si tratta di un importo di 442,30€ mensili a persona, anche se questo valore può diminuire in caso si abbiano altri redditi.
Questa prestazione viene erroneamente identificata come una prestazione pensionistica, anche perché una volta si chiamava pensione sociale.
In realtà non ha però niente a che fare con la normale gestione pensionistica. Si tratta di un ammortizzatore sociale, che è effettivamente di grande utilità per la collettività, ma che rappresenta un costo secco per l’INPS.
Anche gli importi della cassa integrazione vengono distribuiti dall’INPS e, anche in questo caso, non si tratta di una prestazione pensionistica, ma di un ammortizzatore sociale. Però per quella c’è un ulteriore addebito in busta paga, dello 0,3% (grazie a Sax per la precisazione).
Per avere degli importi precisi servirebbero i dati di dettaglio, mentre nel documento di bilancio ci sono solo dati aggregati, ma a pagina 37 del bilancio preventivo 2013 dell’INPS, si parla genericamente di 62 miliardi di euro l’anno per “Missione assistenza sociale”.
Si tratterebbe di più del 56% dell’intero passivo INPS. Il restante 44% invece dipende da…
Lo sbilanciamento tra
i pensionati e la forza lavoro
Come dicevamo più sopra, se ci sono troppi pensionati rispetto ai lavoratori, si genera un problema. È esattamente questo il caso.
La motivazione attualmente più in voga, se si ascolta ciò che dice la gente, è l’aumento del tasso di disoccupazione dato dalla crisi.
In realtà il problema non è questo.
L’ISTAT ci dice che il tasso di occupazione attuale sta calando, ma ci dice anche che è pari a quello del 1977.
Se il problema dell’INPS dipendesse dal tasso di disoccupazione, avrebbe dovuto esserci un problema anche nel 1977. Invece nel 1977 l’INPS andava benone.
Il vero problema è demografico.
Guardando il grafico del tasso di natalità in Italia dal 1960 al 2011, si nota subito che dopo il 1964 il tasso di natalità in Italia ha cominciato a precipitare, e si è più che dimezzato. Si è passati dai 2,7 figli medi per famiglia del 1964 agli 1,18 del 1995.
Siamo poi risaliti fino a 1,41, ma è solo un rimbalzo tecnico: tra il 1959 e il 1964 c’è stato un vero boom delle nascite in italia, e queste persone sono ad un certo punto arrivate all’età utile per fare figli, ma quell’onda lunga si è ormai esaurita.
Questo diventa evidente analizzando anche il grafico delle nascite per anno rapportate alla popolazione esistente.
Nel frattempo la gente ha continuato ad invecchiare, e ora ci troviamo con molti più pensionati, in rapporto alle persone in età lavorativa, di quanti ne avevamo prima.
Ecco perché l’INPS ora è in passivo, mentre prima non lo era.
La prova finale sta nel grafico dell’età media in italia dal 1960 al 2012.
Siamo passati dai 31,2 anni del 1960 ai 43,8 anni del 2012. Nel 1975, l’età media era 33,4. Avevamo lo stesso tasso di disoccupazione, ma una età media inferiore di 10 anni, rispetto ad oggi.
Le cose miglioreranno per l’INPS?
Se continuiamo così, no. Anzi, peggioreranno di parecchio.
Abbiamo già detto che tra il 1959 e il 1964 c’è stato un boom delle nascite in italia.
Si tratta di un mare gente che, con la normativa attuale, andrebbe in pensione a 65 anni, e quindi comincerebbe a gravare sul sistema pensionistico a partire dal 2024. Mancano solo 11 anni.
Non solo bisognerà trovare i soldi per dargli la pensione ma, quando tutta questa gente smetterà di lavorare, diminuiranno anche di molto le entrate dell’INPS.
Al collasso però si potrebbe arrivare anche prima, considerando l’età media in continua crescita e la bassa natalità.
L’alto tasso di disoccupazione non aiuta di certo ma, anche se si ottenesse la piena occupazione, il problema non si risolverebbe. Sono troppi gli anziani, in rapporto alle persone in età lavorativa.
Quindi, cosa può fare lo stato? Ci sono tre soluzioni possibili:
- Alzare ulteriormente, e di parecchio, l’età necessaria al raggiungimento della pensione, come effettivamente è stato già fatto nelle ultime riforme.
- Aprire le frontiere incentivando fortemente l’ingresso di nuova forza lavoro dall’estero. Ovviamente questa soluzione è praticabile solo se si riesce anche ad aumentare enormemente la disponibilità di posti di lavoro
- Smettere di pagare le pensioni, o diminuirne gli importi.
Per quanto riguarda invece cosa possiamo fare noi, le soluzioni possibili sono solo due:
- Cominciamo a costruirci una pensione integrativa perché, stando così le cose, quella effettiva probabilmente non la otterremo mai.
- Emigriamo al più presto in uno stato che abbia un tasso demografico tale da permettergli di pagarci la pensione, quando toccherà a noi.
Anche in mancanza di provvedimenti correttivi, ad un certo punto le cose ricominceranno a migliorare naturalmente, quando si ribilancerà l’elemento demografico, con la morte della generazione nata durante il boom delle nascite.
Considerando però una vita media di 82 anni, e che la curva delle nascite è rimasta molto più alta di oggi fino almeno al 1980, l’INPS uscirà naturalmente dalla crisi solo nel 2062. Questo permetterebbe di considerare “salvo” solo chi andrà in pensione dopo quella data, cioè chi è nato dopo il 1997.
Sempre se in quella data l’INPS, e la pensione come la conosciamo ora, esisteranno ancora.
- Bilancio preventivo 2013 INPS (inps.it)
- Occupati e disoccupati nel 2013. I dati dell’ISTAT (governo.it)
- Curva del tasso di natalità in Italia dal 1960 al 2011 (google.it)
- Grafico delle nascite per anno rapportate alla popolazione esistente dal 1960 al 2011 (google.it)
- Curva delle speranze di vita in Italia dal 1960 al 2011 (google.it)
- Curva dell’età media in Italia dal 1960 al 2012 (google.it)
- Cosa è l’assegno sociale (inps.it)
Ringraziamenti: Questo articolo non esisterebbe se non ci fosse stato uno scambio di messaggi privati con @Nicholas, che mi ha dato la spinta necessaria a scriverlo.