Giovedì, per la prima volta, il CEO di TikTok, Shou Chew, è intervenuto davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America. Come abbiamo riportato più e più volte, è un momento di estrema difficoltà per il popolare social network, di proprietà della società cinese ByteDance.
I governi di Stati Uniti, Canada e Regno Unito hanno vietato ai loro dipendenti e funzionari di utilizzare TikTok sui loro dispositivi aziendali. Alcune istituzioni dell’UE hanno fatto altrettanto.
Presto il Congresso dovrà discutere una proposta di legge bipartisan – sostenuta sia da democratici che da repubblicani – che, di fatto, darebbe al Segretario al Commercio (l’equivalente dei nostri ministri) il potere di vietare qualsiasi piattaforma o prodotto straniero per ragioni di sicurezza nazionale. Si tratta, evidentemente, di una legge anti-TikTok.
Non bastasse, i funzionari della Casa Bianca hanno già intimato a ByteDance di vendere la proprietà di TikTok ad un’azienda occidentale, pena la possibilità di incorrere in un divieto totale. Insomma, o vendete o vi cacciamo. Il governo cinese ha già detto che si opporrà a qualsiasi manovra per obbligare l’azienda a vendere TikTok.
Per tutti questi motivi, l’audizione di Shou Chew era estremamente attesa. Non soltanto perché rappresenta una rarissima apparizione pubblica del CEO, notoriamente schivo e restio a concedersi ad interviste o conferenze, ma anche perché gli analisti aspettavano di capire cosa avrebbe detto per difendere il social network e far uscire la sua società dalla precaria posizione in cui si trova.
Non è andata benissimo, diciamo
Per quasi cinque ore, i membri del Congresso della Commissione per l’energia e il commercio della Camera hanno messo sotto torchio il CEO di TikTok, Shou Zi Chew. Tanti i temi affrontati: dal proverbiale elefante nella stanza, cioè l’accusa che il social network sia una risorsa della Cina comunista, ai rischi per la sicurezza e la privacy dei minorenni, le controversie sulla gestione dei dati degli americani e le accuse di raccogliere i dati biometrici degli utenti.
Chew si è difeso come ha potuto dall’incessante carica dei politici americani. Non ha fatto grosse gaffe, scene mute o altre cadute di stile che lo potessero mettere in imbarazzo, ma è opinione pressoché unanime di tutta la stampa americana che i suoi interventi non abbiano smosso di un millimetro i pregiudizi condivisi da democratici e repubblicani. Insomma, Shou Zi Chew non è riuscito a convincere i parlamentari americani che il suo social network non sia soggetto all’influenza del partito comunista cinese.
A scanso di equivoci, non ci sono prove di un legame diretto tra i dirigenti di TikTok e il governo di Pechino. Non abbiamo una pistola fumante che provi, inequivocabilmente, che la Cina abbia usato – o quantomeno voglia usare – TikTok come una risorsa per controllare e spiare gli americani.
«Non esiste una prova del fatto che il governo cinese abbia accesso a questi dati: non ce li hanno mai chiesti e noi non li abbiamo mai forniti», ha detto Chew.
Ma poco importa, perché come ribadito diverse volte da numerosi esponenti della maggioranza e dell’opposizione, il semplice fatto che TikTok potenzialmente possa essere usato in questo modo è sufficiente per destare preoccupazioni. E far, di conseguenza, scattare l’opzione di un ban nazionale. Una sorte simile a quella che era toccata a Huawei, accusata di essere una risorsa dell’intelligence cinese. Ipotesi mai provata, ma questo non fermò la Casa Bianca.
«I problemi di TikTok riguardano tutti i social, anche quelli americani »
In diverse occasioni, il CEO di TikTok ha ricordato ai parlamentari che moltissime delle questioni sollevate durante l’audizione, durata cinque ore, in realtà riguardano anche numerose aziende tech statunitensi.
TikTok non è l’unica società tech ad essere inciampata in più di qualche scandalo (di recente si è scoperto che alcuni ex dipendenti avevano spiato dei giornalisti americani). «Con tutto il rispetto, le aziende social americane non hanno imposto dei precedenti positivi sul rispetto della privacy e della sicurezza dei dati degli utenti», ha commentato Chew. «Basti pensare a cosa è successo con Facebook e Cambridge Analytica, ed è solo un esempio».
Colpito, ma non affondato. Alla giusta obiezione di Chew i deputati americani hanno risposto facendo spallucce. È vero, ma non si sta parlando di Facebook (il cui CEO e fondatore è stato già sentito in numerose occasioni molto simili). Inoltre, il fatto che TikTok inciampi in scandali simili non la rende egualmente colpevole. Perché c’è l’aggravante di essere di proprietà di un’azienda straniera. Qualsiasi scandalo, qualsiasi violazione, qualsiasi dubbio viene amplificato di un fattore di cento.
Qualche colpo di scena e diversi momenti folli
Durante il botta e risposta tra Chew i parlamentari, c’è stato spazio anche per più di qualche momento… sopra le righe. Il popolare sito Gizmodo ha raccolto alcuni degli eventi più assurdi.
Ad esempio, un parlamentare ha mostrato un video caricato su TikTok e rimasto online per oltre 40 giorni. “Sono pronto per fare visita alla Commissione commercio del Congresso il prossimo 23 marzo”, si legge nella caption di un video caricato da un utente. Nel video si vede una pistola carica, come dire: se bannate il mio social preferito vi ammazzo. Uno dei rari momenti di imbarazzo per Chew. Nel frattempo il video incriminato è stato rimosso dai moderatori del social.
Il fatto che i social non riescano ad intervenire in tempi tempestivi per rimuovere i contenuti che violano le policy o che sono potenzialmente illegali è un problema che non riguarda esclusivamente TikTok, ma pressoché ogni piattaforma tech. Eppure nessuno ha mai proposto di vietare Facebook o Twitter per ciò. Mostrare questo video non ha giunto o tolto nulla alla vera questione: vietare o meno TikTok, sulla base dei potenziali rischi per la sicurezza nazionale americana.
Come era successo durante altre audizioni con CEO di società tech, alcuni deputati non hanno perso l’occasione di mettersi in imbarazzo, evidenziando la loro totale assenza di cognizione su come funzioni internet o qualsiasi prodotto tecnologico.
“Signor Chew, TikTok accede alla rete wifi domestica?” ha chiesto il deputato Richard Hudson.
Chew esita un attimo e poi risponde: “Solo se l’utente accende il wifi. Mi dispiace, forse non ho capito la domanda”.
“Quindi, se ho l’app di TikTok sul mio telefono e il mio telefono è connesso alla mia rete wifi domestica, TikTok accede a quella rete?” insiste Hudson.
Visibilmente confuso, Chew rispose: “Dovrebbe farlo – per accedere alla rete e ottenere connessioni a Internet, se questa è la domanda”. Momenti di gelido imbarazzo per tutti i coinvolti.
Representative Richard Hudson (R-NC) asks TikTok CEO Shou Chew: "Does TikTok access the home WiFi network?"
Chew: "It could be technical." pic.twitter.com/vCh7nd2HyC
— unusual_whales (@unusual_whales) March 24, 2023
In alcuni casi i parlamentari sono riusciti effettivamente a mettere in difficoltà il CEO di TikTok. Ad esempio in quasi tutte le occasioni in cui gli hanno chiesto la sua opinione sul governo cinese e sulle sue sistematiche violazioni dei diritti umani; oppure quando il deputato (di origini vagamente italiane, supponiamo) Frank Pallone ha ripetutamente chiesto a Chew se TikTok vende i dati dei suoi utenti a terzi. Il CEO non ha saputo dare una risposta chiara e univoca: “non ho le informazioni che mi chiedete, vi terrò aggiornati”.
In un’altra occasione, Shou Chew ha ammesso che TikTok usa una tecnologia automatizzata per scansionare i video pubblici degli utenti, in modo da determinare se abbiano effettivamente più di 13 anni o se abbiano effettivamente l’età che hanno dichiarato al momento dell’iscrizione. Solamente pochi minuti prima aveva smentito che TikTok raccogliesse o trattasse in alcun modo i dati biometrici degli utenti, ma le due dichiarazioni sono tra loro incompatibili.
Per qualche ragione, il Progetto Texas non basta
TikTok non è stato con le mani in mano per tutti questi mesi in attesa dell’inevitabile. Dei potenziali rischi del social network si discute da ormai più di due anni. Nel tentativo di rassicurare il governo americano, ByteDance sta lavorando ad un ambizioso progetto da 1,5 miliardi di dollari chiamato Texas, come lo stato dove ha sede il quartier generale dell’azienda partner – cioè Oracle – che avrà accesso alle infrastrutture di TikTok per assicurarsi che i dati degli utenti statunitensi non escano fuori dai confini dello Stato.
In breve: tutti i dati degli americani verranno ospitati esclusivamente in data center che si trovano fisicamente negli USA e che vengono controllati dalla Oracle. Un consiglio di sicurezza, con membri nominati dal Governo, supervisionerà ulteriormente tutte le operazioni di TikTok per assicurarsi che i dati degli americani non vengano trasmessi a stati stranieri e che l’algoritmo del social network non venga usato per manipolare l’opinione pubblica durante le elezioni.
È uno sforzo colossale, che sostanzialmente risponde a quasi tutte le preoccupazioni del governo e che sottoporrebbe TikTok ad un controllo che nessun altro social network occidentale riceve. Durante l’audizione, Shou Chew ha tentato di ricordarlo più volte, ma apparentemente invano.
Il ban di TikTok sembra sempre più probabile
Come spiegato, l’audizione è stata più che altro un’occasione di campagna elettorale. Un teatro imbastito dai politici americani per confermare ai loro elettori che sono determinati ad impedire che la Cina, attraverso le sue aziende, possa prendere piede negli USA.
La presidente della Commissione Commercio, Cathy McMorris-Rodgers, ad esempio ha detto: “La tua piattaforma dovrebbe essere vietata. Mi aspetto che oggi tu dica qualsiasi cosa per evitare questo risultato”.
Insomma, chi si era illuso che ci fosse realmente spazio per un dibattito, per materializzare delle prove che determino effettivamente le responsabilità di TikTok per ciò di cui è accusato, o anche solo per una conversazione che potesse smuovere di un millimetro le coscienze dei deputati, è ovviamente andato incontro ad un’inevitabile delusione. «Da oggi, tuttavia, un divieto di TikTok sembra più vicino che mai», sintetizza la rivista The Verge.
Mentre Casey Newstat, ex firma di The Verge e oggi direttore di The Platformer, ha scritto che se ByteDance andrà incontro ad un divieto sarà anche perché non è mai riuscita a convincere gli over 40 ad usare TikTok. Il gruppo demografico di cui fanno parte anche i politici, per capirci:
Il Washington Post ha riportato che solo un membro del comitato – il rappresentante Tony Cárdenas (D-CA) – ha un account TikTok attivo e verificato
È facile vietare un’app che non si usa mai, soprattutto quando si può farlo a nome della sicurezza nazionale. Sospetto che se Facebook o Twitter fossero di proprietà di un’azienda cinese, il Congresso si sentirebbe molto più motivato a trovare una soluzione che consentisse loro di continuare a utilizzare i loro account per la promozione e la raccolta di donazioni.
Ad ogni modo, in queste ore sono nate anche alcune voci contrarie ad un divieto nazionale contro TikTok. Ad esempio, la Electronic Frontier Foundation (EFF) ha detto che vietare TikTok rischia di costituire un precedente pericoloso, specie in assenza di gravi prove che giustifichino un simile provvedimento. «Il governo degli Stati Uniti – ha detto il portavoce dell’EFF Josh Richman – non ha ancora fornito prove che giustifichino un divieto e che un eventuale provvedimento di questo tenore probabilmente verrebbe rigettato dalla Corte Suprema».