Ci risiamo. Lo specialista del biopic come mezzo per parlare di altro (di solito di politica e di società, ma di che altro vale la pena parlare dopotutto? Amour? C’è anche quello stavolta) ne ha scritto un altro. Tutto ebbe inizio con La guerra di Charlie Wilson (quasi 15 anni fa) per proseguire con uno dei capolavori del cinema degli anni duemila, The Social Network. Uno di quei titoli che convince ogni autore di essere ottimo a fare quello che fa, oltre ogni dubbio, ragionevole o meno. E giustamente oserei dire. Anche quando non solo scrive, ma si trova anche a dirigere.
Ed ecco che arriviamo alla recensione di A proposito dei Ricardo, ultima fatica (terza come regista e sceneggiatore) di Aaron Sorkin, questa volta in partnership con Amazon, dopo che un anno fa collaborò con lo streamer del “Tudum” per il suo Il processo ai Chicago 7.
Ci sono molti personaggi anche in questo caso, anche se il racconto è tutt’altro che corale, visto che, nonostante come protagonista ci sia la coppia composta da Nicole Kidman e Javier Bardem, la storia si orienta in maniera predominante appoggiandosi su solo punto di vista femminile, tant’è che tra i due pezzi da 90 è l’attrice australiana ad essere quella selezionata per la stagione dei premi. Tra l’altro vittoriosa agli, ormai decaduti (almeno per il momento), Golden Globe.
La struttura è quella del mockumentary più esplicito della filmografia sorkiniana, il sistema adottato per la narrazione è quello dei flashback, la parola ha, come sempre, un ruolo chiave, e, dopo Molly’s Game, una donna torna ad essere centrale, una donna in un mondo di uomini, per la precisione. Il tutto è ambientato in una settimana dove convogliano tutte le nevrosi della protagonista, stritolata nei sistemi in cui ha dovuto combattere tutta la vita: la società americana e l’industria cinematografica della prima metà degli anni ’90.
Anche se ciò che maggiormente viene presa in esame è la trappola dell’idillio del suo matrimonio, quello che va in scena ogni venerdì davanti al pubblico.
Everybody love Lucy
Per affermare che una sitcom ha riscosso un grande successo bisogna arrivare a 15 milioni di spettatori, bene, I Love Lucy (da noi “Lucy e Io“) ne faceva regolarmente 60. Nessuno usciva di casa il lunedì sera in America perché era il giorno in cui andava in onda lo show CBS con protagonisti Lucy e Ricky, i coniugi Ricardo.
Ce lo dicono i (finti) autori quando ci introducono nella settimana che ha rischiato di essere l’ultima per la leggendaria serie televisiva, inaugurata dalla “innocua” notizia che riportava Lucille Ball (Kidman) come un membro del partito comunista. Il che, per un’attrice di 39 anni, protagonista di un prodotto altamente controllato dal potere maschile, incinta per la seconda volta e sposata con un cubano non è proprio un elemento trascurabile.
Quello che però mette in crisi Lucille, che ha le spalle molto larghe data la grande carriera che l’ha condotta alla soglia dei 40, è il suo lui, Desi (Bardem).
Lui è il suo unico alleato, l’unica spalla che ha sempre aiutato e che l’ha sempre aiutata. Protagonisti non solo davanti alla camera, ma soprattutto dietro, dove dirigono l’intera orchestra, lottando contro gli autori, i registi, gli sponsor, i produttori e i colleghi per continuare a fare ciò che per loro non è solo una sitcom, ma il modo per esercitare una libertà creativa ed esistenziale.
Insieme, sempre e per forza.
Di fatto è il loro matrimonio quello che va in onda ogni settimana, anche se il cognome è diverso. Ovvio che esso diventi inequivocabilmente il riflesso di ciò che è la loro vita privata ed è ovvio, dunque, che quella che potrebbe essere l’ultima settimana per i Ricardo potrebbe essere anche quella per gli Arnaz. Su questo gioca Sorkin, nel continuo parallelismo tra le due coppie, impegnati in questa corsa ad ostacoli, cercando di tenere tutto quanto insieme. Al di là di sospetti di comunismo e maternità varie ed eventuali.
Il segreto è rispettare il pubblico, mettersi a nudo fino in fondo, dire la verità e dedicarsi anima e corpo. Almeno una delle due Lucy potrebbe sopravvivere, sperando sempre che continuino tutti ad amarla, nonostante sia fondamentalmente più Ball che Ricardo.
L’importanza di (non) essere Judy Holliday
A proposito dei Ricardo segue i fils rouge soliti di Sorkin, talmente rodati, già visti e lasciati intonsi che anche l’idea, evocativa di una complessità intrigante, di coniugare un racconto di una coppia composta da due “emarginati” (un cubano e un’attrice di serie B nell’età milf) dal punto di vista femminile (enfatizzando tutto il discorso del ruolo del potere, com’è esercitato e com’è subito) e situata temporalmente e idealmente alla periferia della Golden Age hollywoodiana (anni ’60, radio e televisione) non fa quasi mai sobbalzare sulla sedia.
La Kidman viene resa una forza della natura, dominante in ogni ambiente e opprimente per tutti gli altri. Secca, saccente e superiore (giustamente) nei confronti degli uomini e ossessivamente in competizione con le donne, nei cui scambi troviamo quanto di più prezioso ed originale sta nel film.
Merito anche della prova recitativa di Nina Arianda, che duetta benissimo con J. K. Simmons per poi smarcarsi e riproporsi come specchio delle fragilità della protagonista rosso malpelo (un parallelismo interessante, quello di una bionda che insinua una rossa, se conoscete la storia della Nicole mattatrice), ancor più della sceneggiatrice interpretata da Alia Shawkat.
In un sistema di flashback e di in & out con il palcoscenico, Sorkin ci presenta un impianto (di pura fiction, nonostante il suo essere biopic) in cui porta alla scoperta della genesi della coppia di protagonisti fuori dallo schermo e, cosa più importante, costruisce un ping pong tra palcoscenico e dietro le quinte. La parte che più lo ha divertito scrivere, probabilmente, per poter dare libero sfogo al suo animo da commediografo, quasi come se anche lui fosse seduto insieme agli autori a battibeccare su chi sia più divertente tra loro.
Quello che risalta agli occhi però è il percorso di Lucille e la sua lotta per l’affermazione di sé e del suo alter ego.
Scartata perché non è la Holliday, la Garland o la Hepburn, la nostra si sente paradossalmente ancora di più responsabilizzata nel portare alla ribalta il ruolo di colei che è dietro le quinte, un posto che potrebbe sembrare di secondo rilievo e dal quale invece lei esercita ancora più potere. Il suo punto debole è Desi, che le fa da contraltare senza opporsi realmente mai, ma trovando un altro modo, anche doloroso per starle accanto.
A proposito dei Ricardo trasporta il set dall’altra parte delle telecamere, affidandolo e affidandosi ai suoi due tenori, bravissimi entrambi, probabilmente un po’ più Bardem, trasformati e trasformatori (scusate, ci ho preso gusto), che giocano con il corpo e con la voce, attraverso epoche e linguaggi. Il resto è il solito compito sorkiniano, tutto un po’ poco, forse, per rimanere realmente impresso, anche se nulla è realmente malriuscito.
A proposito dei Ricardo è disponibile su Prime Video dal 21 dicembre 2021.
A proposito dei Ricardo è la terza opera di Aaron Sorkin come regista e sceneggiatore. Ancora un biopic, stavolta con protagonisti Nicole Kidman, premiata per il ruolo agli ultimi Golden Globe, e Javier Bardem, incentrato sulla settimana più importante della leggendaria sitcom "I love Lucy", in onda in America a cavallo della metà del 900. Strutturato da mockumentary, tenuto insieme da un sistema dei flashback e dal continuo parallelismo tra set e vita reale, il film ha al suo centro la lotta per l'emancipazione di Lucille Ball in tutti gli ambienti che l'hanno sempre oppressa, in primis quello del suo matrimonio. Una variante interessante della filmografia dell'autore, senza particolari acuti e condita da meccanismi che trovano la loro più grande colpa nell'essere troppo rodati e troppo poco messi in discussione.
- Le prove dei due attori protagonisti.
- I ruolo della parola, ancora una volta al centro.
- L'elemento comedy brillante e veloce, come piace a Sorkin.
- La struttura pensata funziona bene, soprattutto grazie al montaggio.
- Nulla di nuovo sul fronte sorkiniano, né nelle tematiche né nel metodo.
- L'assenza di un punto di conflitto o di messa in crisi, soprattutto nella forma donata alla storia.