A distanza di due anni dalla prima stagione, è bello tornare a scrivere con questa recensione di The Witcher 2 dello strigo Geralt di Rivia, del Continente e di quel mondo potente e suggestivo creato dallo scrittore polacco Andrzej Sapkowski.
Tutto nasceva nel 1985 con un racconto, ovvero Wiedźmin (Lo strigo), divenuto nel 1990 l’inizio di una delle saghe fantasy più amate, tanto dal mondo dei lettori quanto, successivamente, da quello dei videogiochi. Perché si, parliamoci chiaro, nuova linfa vitale la saga di Sapkowski la trova quando CD Projekt Red decide di acquistare i diritti del proprio lavoro per pochi spicci, portando con The Witcher 3: Wild Hunt, il titolo ad una popolarità mai conosciuta prima.
Ma The Witcher è destinato a continuare a trasformarsi, come un serpente che cambia pelle ma, al tempo stesso, muta anche forma. Ed ecco che arriva Netflix! In uno dei momenti storici in cui il fantasy sembra aver riconquistato nuovamente piena autonomia e rispetto, la grande piattaforma di streaming prende nuovamente i diritti dell’opera letteraria per lanciare la sua grande epica saga fantasy.
E sebbene le perplessità iniziali fossero tante, il lavoro della showrunner Lauren Schmidt Hissrich si è dimostrato più che all’altezza delle aspettative; anzi, ha riacceso la speranza e l’interesse nei confronti di questa trasposizione.
Sebbene non esente da difetti, la prima stagione di The Witcher – basata principalmente sulle due prime raccolte di racconti, ovvero La Spada del Destino e Il Guardiano degli Innocenti – aveva convinto come prima prova, o comunque possiamo dire di essere rimasti certamente sorpresi. Certo, il budget irrisorio non aveva giocato a favore della messa in scena, in modo particolare quando si trattava di bestie e creature mitologiche. Si respirava una patina che strizzava fin troppo l’occhio, e non certo per volontà, alle serie fantastiche degli anni ’90 come Hercules e Xena – Principessa Guerriera, assieme a quel retrogusto cheap che non soddisfaceva più di tanto.
Al tempo stesso, però, la buona costruzione narrativa, dove a prevalere era la linea verticale dei racconti a cui cominciava ad intrecciarsi l’orizzontalità presente nel primo romanzo, Il Sangue degli Elfi, e che invece, vi anticipo, dominerà in questo The Witcher 2; e la prova attoriale più che degna di nota di Henry Cavill (Geralt) e Anya Chalotra (Yennefer), così come anche quella di alcuni comprimari come per esempio la Regina Calanthe interpretata da Jodhi May, ma anche la stessa Freya Allan, la nostra principessa Cirilla, avevano fatto sì che The Witcher fosse una serie dall’alto potenziale e che poteva realmente conquistare. Così come, in fondo, ha fatto.
C’è stato introdotto il worldbuilding del Continente, le sue leggi, le sue guerre, le sue razze, i suoi mostri e, come tutti i mondi fantasy che si rispettino e che, in fondo, sono specchio della nostra realtà, le ingiustizie e le gravi forme di discriminazione che fungeranno anche da motore centrale per gli avvenimenti principali del racconto orizzontale.
La prima stagione è stata dominata da combattimenti, introduzioni, linee temporali differenti, la ricerca disperata di Ciri e, soprattutto, la scelta del Male Minore. Quasi un memento mori che tormenta il nostro strigo Geral di Rivia mentre, volente o nolente, si prepara ad abbracciare il suo destino, trovando sul suo cammino situazioni e persone, soprattutto una persona, che metteranno in seria discussione la leggenda seconda cui i witcher non provano niente. Freddi e cinici mercenari. Mostri che danno la caccia ad altri mostri per il miglior offerente.
Ma ora che l’idea di mondo ce la siam fatta e siamo entrati più in confidenza con il Continente e i suoi abitanti, è arrivato il momento di cominciare davvero a fare sul serio. La posta in gioco è molto alta e, come vedremo in questa recensione di The Witcher 2, se da una parte viene sacrificata un po’ di sana e rudimentale, sporca e cattiva, azione da “slappe e pacconi” (come direbbe il nostro Roby Rani) per un approfondimento emotivo e psicologico maggiore, più intimo nei confronti dei personaggi principali e secondari su cui pende inevitabilmente una spada di Damocle chiamata “Caccia Selvaggia”; dall’altra parte Netflix ha cominciato a giocare duro.
L’aumento di budget si vede ed è un punto fondamentale per la riuscita di questa seconda stagione che, riesce a mantenere le promesse fatte e, quindi, le aspettative riposte da parte del pubblico, ma alza anche di gran lunga l’asticella rispetto alla prima stagione. Come è giusto che sia!
Lo Stringo e la Principessa
Partiamo fin da subito con il presupposto che la storia di The Witcher 2 viene dominata da due mood: la formazione e il passaggio.
Ciri (Freya Allan) e Geralt (Henry Cavill) si sono finalmente trovati, ma questo non è altro che l’inizio. Ciri non è semplicemente la “sfortunata” sorpresa non richiesta, ma è letteralmente la chiave per definire le sorti, tanto in negativo quanto in positivo, dell’intero Continente. E il compito di proteggerla, istruirla e addestrarla, spetta proprio a Geralt (fortunello).
Troviamo in questa seconda stagione di The Witcher un Geralt “meno witcher” e decisamente più mentore, che ci permetterà anche di fare un interessantissimo confronto tra lui e il suo stesso maestro, Vesemir (Kim Bodnia), una delle new entry di quest’anno, nonché una delle maggiori sorprese, a livello di scrittura del personaggio, che la showrunner Lauren Schmidt Hissrich ci regala.
C’è un segreto nascosto nel sangue della nostra Cirilla ed, infatti, non è un caso se questa seconda stagione – sebbene riprenda ancora qualche racconto, modificato e riadattato, da Il Guardiano degli Innocenti – ha come base centrale il primo romanzo della saga del witcher Geralt di Rivia, Il Sangue degli Elfi. Per gli amanti dei libri saranno inevitabili trovare delle importanti differenze, molto più ampie rispetto a quelle della prima stagione.
Se nella prima stagione c’era il problema di aver dato un po’ troppo per scontato elementi lampanti per i lettori e decisamente più sottili, a tratti addirittura incomprensibili, per i profani; in questa seconda stagione si è andati avanti con l’obiettivo di rendere più facile la fruizione – come giusto che sia – al profano, adattando alcune situazioni, cercando di mantenere il tutto il più possibile su di un unico piano temporale.
Il risultato finale non cambia. Gli obiettivi sono sempre gli stessi. Ciò che cambia è il modo, la strada, per arrivare a quel tipo di svincolo, obiettivo o ribaltamento. Ce ne renderemo sempre più conto man mano che gli episodi andranno avanti.
Ovviamente il gravoso peso delle responsabilità, di un destino incerto e la sensazione che da questo momento in poi tutto potrebbe andare male, malissimo, non è una sensazione che riguarda unicamente Geralt. Un Geralt provato ed appesantito dagli eventi. Emotivamente distrutto. Dagli occhi fragili, stanchi e cerchiati da un dolore che non può sfogare. Non è davvero il momento per leccarsi le ferite, per chiudersi in mutismo e aspettare che il tempo, come sempre, possa far cicatrizzare i “tagli” più profondi all’interno del proprio animo. E se anche Kaer Morhen funge comunque da luogo di ristoro, riposo e decompressione, è anche il luogo dell’addestramento, della preparazione e del confronto con i propri fantasmi.
Henry Cavill in questo conferma essere l’interprete perfetto per Geralt. Ci crede, ci crede fino in fondo e, come stiamo vedendo in questa recensione di The Witcher 2, ci crede ancora di più in questa fase. Il ruolo perfetto per lui dove, sebbene famoso per la sua monoespressione utilissima nel caso di un personaggio come quello dello strigo, riesce a comunicare tantissimo con lo sguardo (nonostante quelle detestabili lenti a contatto). Si crea un intenso rapporto di empatia con lui. Lo si comprende, lo si capisce, lo si vorrebbe anche aiutare, consolare in un certo qual senso. È come se si trovasse in una seconda pelle, e gli dona tantissimo.
E questo, come dicevo, non vale solo per Geralt ma vale anche Ciri, la quale condivide lo stesso bagaglio emozionale dello strigo, con la differenza che stiamo parlando di una pre-adolescente che si ritrova orfana di tutto: casa, famiglia, affetto, sicurezze e certezze. Deve andare incontro a quello che sembra essere un destino tanto oscuro quanto crudele, sotto gli occhi di chi continua a metterla alla prova, alza uno scudo di freddezza e incapacità di comprensione nei confronti di una giovanissima ragazza catapultata in un mondo di mostri.
Non è facile essere una giovane adolescente in un gruppo di witcher, parliamoci chiaro!
Ciri, però, ci mostra fin da subito essere una combattente. In questa seconda stagione la vediamo risplendere, sbocciare in tutta la sua fragilità e testardaggine. Non vuole essere un peso, non vuole essere la responsabilità di nessuno se non di se stessa. Vuole essere forte e non una principessa indifesa, ma vuole essere una… witcher.
Per chi ha giocato The Witcher 3: Wild Hunt, il déjà vu è assicurato. Facile ricordarsi le atmosfere e situazioni dei flashback iniziali. Il non potersi fermare, il voler fare di più, di più, sempre più. Senza mai arrendersi. Una principessa dei ghiacci ma con il fuoco della battaglia nelle vene. Una svolta a questo personaggio, che abbiamo potuto conoscere poco nella prima stagione, davvero apprezzatissima. E, in questo, Freya Allan si mostra essere straordinaria. Vera punta di diamante di questi otto episodi. L’interpretazione principale e che spicca di più in questa seconda stagione.
Se nella prima la concentrazione si era focalizzata molto più su Yen e sulle doti della Chalotra, qui non c’è confronto. È la Allan la vera protagonista, capace di sorprendere episodio dopo episodio. Anche in questo caso l’empatia con lo spettatore non manca, e il lavoro di caratterizzazione e approfondimento emotivo è importante. Fondamentale in questa fase di crescita e passaggio. Siamo nella formazione di Ciri, la parte più delicata e Freya Allan adotta un approccio basato su una grande sensibilità, rispetto e concentrazione nei confronti di un personaggio, come quello di Cirilla, tanto bello quanto complesso.
Aspettando la Caccia Selvaggia
Il tempo della riflessione, del confronto, della preparazione è qualcosa di molto condiviso dalla maggior parte dei personaggi di questa seconda stagione, tanto quelli che già abbiamo conosciuto, quanto per quelli che sono le novità.
Notevole sviluppo nel personaggio di Yen in una veste e mood molto diverso rispetto a quello della prima stagione. Ma Yennefer sa riservare molte sorprese e la sua interprete, Anya Chalotra, conferma la scelta azzeccata fatta precedentemente. Ci troviamo con una Yen ancora più divisa, ancora più ansante ed emotivamente provata. Disposta a tutto, veramente a tutto. E quindi con un cambio, anche piuttosto importante, tra la prima e la seconda parte di questa seconda stagione.
Ma questo vale anche per Triss (finalmente con la capigliatura rossa), Ranuncolo, Tissaia, Istreed e perfino il “Cavaliere Nero” Cahir. Meno azione, sicuramente malus in alcuni punti del racconto, ma molta più introspezione, analisi, riflessione sul futuro. Studio e capacità strategica, elementi fondamentali in un momento così delicato per le sorti del Continente.
E, quindi, così come stiamo vendendo in questa recensione di The Witcher 2, ecco che dalla formazione si passa al… passaggio. Non parliamo di una canonica, per fortuna, seconda stagione di passaggio, ma sicuramente siamo lontani dalle battaglie che impazzano ripetutamente di episodio in episodio.
A dominare è l’attesa, la strategia, le alleanze e i tradimenti (fondamentali in questa parte della storia), il raccogliere le proprie forze, compiere determinate scelte, non sempre facili o comprensibili agli occhi di terzi.
E mentre il Continente si prepara ad entrare nuovamente in guerra, approfittando della caduta di Cintra avvenuta nella prima stagione e perseguitando sempre di più gli Elfi, il presagio della Caccia Selvaggia diventa un sentimento sempre più esteso, sempre più forte.
Il problema, vero punto debole di questa seconda stagione che alza l’asticella rispetto alla precedente, di quando ci si trova a fare i conti con narrazioni corali meno dinamiche e più introspettive, soprattutto in fase pre-bellica, mettendo sul piatto riferimenti storici, date, nomi e personaggi che compaiono e scompaiono “magicamente”, è il rischio di alterare l’andamento del ritmo.
Nel caso di The Witcher 2 non è un rischio, è davvero ciò che succede. Nella parte centrale, quindi in prossimità degli episodi tra il 4 e il 6, si assiste ad una battuta d’arresto. La sensazione di un calo di ritmo nel corso di ogni episodio è sempre presente. Si passa a momenti in cui si è presissimi, a momenti in cui è più facile distrarsi, uscire dalla magia creata dalla serie. Questa sensazione diventa però ben più concreta a metà dell’arco di sviluppo di questa stagione.
I personaggi vengono un po’ trascinati. Costretti a “movimenti” ridondanti, come se si volesse esasperare l’attesa di un evento. Siamo in questo equilibrio precario di stasi in continua attesa che avvenga qualcosa. Aspettiamo, aspettiamo, ma sembra non accadere nulla. Non ci vengono date informazioni aggiuntive. Non si esplorano di più i personaggi. La scrittura si fa più macchinosa, più lenta. Fino a quando poi non arriva il momento del guizzo, del grande climax preceduto finalmente da uno scontro – un po’ troppo snyderiano nella realizzazione – dove si viene travolti come un fiume in piena, rilasciando poi tutta una serie di informazioni, in maniera quasi bulimica che confondo e un po’ stordiscono.
Va bene l’attesa, va bene il ridurre l’azione per una scrittura più interiore e discorsiva, ma al tempo stesso cedere così facilmente sull’equilibrio di una serie che, invece, dovrebbe essere molto precisa dal punto di vista del ritmo, del susseguirsi degli eventi e del rilascio di informazioni, non è esattamente un punto a favore. Ma in qualcosa si doveva pur peccare, no!?
Toss more coins to your The Witcher 2
In arrivo verso la conclusione della recensione di The Witcher 2, occupiamoci della parte più soddisfacente e che più ci rende orgogliosi di questa seconda stagione e dell’aver creduto a questa serie; perché, non so se ricordate, una cosa sulla quale si è molto insistito sulla prima stagione è che The Witcher fosse un atto di fede.
Purtroppo con le serie fantasy dobbiamo sottostare a questa “regola” assurda: il budget arriva dopo. Ci troviamo affollati da queste prime stagioni dove l’elemento più importante, gli effetti grafici e speciali, è sempre quello più calante, patinato, stantio, cheap o, come direbbero i ccciovani, cringe.
La prima cosa che colpisce di The Witcher 2 è come, finalmente, i soldi siano arrivati e siano stati usati bene, molto molto bene. Tra prima e seconda stagione, a livello di qualità visiva, non c’è paragone. Non solo l’asticella si è alzata di tantissimo, ma dalle ambientazioni agli scenari, passando addirittura per la parrucca di Geralt (LOL), tutto in The Witcher 2 trasuda qualità, bellezza, realismo – per così dire – fantastico.
Le creature sono finalmente fatte come dovrebbero essere fatte: divinamente.
I dettagli sono fantastici, finissimi e curati alla perfezione. C’è una lavoro importante di costruzione che si sente fin dall’inizio e che influisce positivamente anche sull’atmosfera della stessa serie. Diciamo addio al patinato anni ’90 e prepariamoci a dare il benvenuto ad un mood più cupo, oscuro, maturo e decisamente più contemporaneo.
Partendo da Nivelle (Kristofer Hivju) fino ad arrivare al mostruoso Miriapode, a volte si fa davvero fatica a capire se si sta usando la computer grafica, del trucco prostetico o addirittura se si è ricorsi all’uso di animatronics, sottolineando il livello di professionalità degno di un epico blockbuster movie hollywoodiano.
Credibile, realistico e suggestivo. Ci voleva tanto? No, giusto “qualche soldino” in più.
In più non dimentichiamoci le ambientazioni. Queste erano un punto forte anche nella prima stagione dove, però, per comodità si era preferito utilizzare ambienti naturali ed esterni, nettamente meno costosi. In questa seconda stagione, invece, si fa un uso più largo anche degli interni, perfettamente curati, in modo particolare la magnifica, e scusate se esagero ma è veramente magnifica, Kaer Morhen.
Se questo è il futuro di The Witcher, se Netflix ha in serbo per questa saga un continuo spronare, alzare l’asticella, investire per stagioni sempre più complete e suggestive, allora non vediamo davvero l’ora di vedere come andrà a finire (o meglio, per chi come me ha letto i libri, come tutto questo prenderà forma).
E con questa The Witcher 2 si comincia a fare sul serio. I giochi sono appena iniziati e la Caccia Selvaggia ci aspetta al varco!
The Witcher 2 vi aspetta dal 17 Dicembre su Netflix
Un'ottima seconda stagione che, nonostante qualche sbavatura ed imperfezione narrativa, si dimostra all'altezza delle aspettative, lavorando tanto sui punti deboli della prima stagione, migliorandoli nettamente, quanto sui punti forti. Scenicamente è incredibilmente suggestiva e molto più realistica. Gli interpreti confermano il loro affiatamento e anche il loro essere in parte, in particolar modo Freya Allan con la sua Ciri, centro di tutta questa seconda stagione - a tratti di passaggio - che preferisce essere più introspettiva, più intima, lasciando meno spazio a combattimenti e scene adrenaliniche per approfondire, più da un punto di vista emotivo e psicologico, tutti i personaggi, tanto i principali quanto i comprimari.
- Si confermano le ambientazioni suggestive, ariose e d'atmosfera alle quali si aggiungono location interne curate e dettagliate. Kaer Morhen spicca su tutte.
- La creazione delle creature è di tutt'altro livello. Dimentichiamoci della patina cheap della prima stagione, qui si fa sul serio e le bestie che incontreremo sul nostro cammino sono incredibili
- Freya Allan spicca su tutti. Finalmente abbiamo modo di vedere e approfondire meglio il personaggio di Ciri e lei le da la giustizia che si merita, nell'incertezza, sofferenza e caparbietà di quella che è una vera e propria stagione di formazione
- La qualità generale di questa seconda stagione è nettamente superiore rispetto alla prima. C'è uno sforzo produttivo importante e che fa venire voglia di un "moar moar The Witcher"
- Henry Cavill si conferma un ottimo Geralt di Rivia, perfettamente in parte. Più mentore che witcher, riesce a rendere perfettamente la stanchezza e il dolore di ferite procurate dalle scelte e dalle conseguenze, dalle responsabilità che pesano sulla sua schiena.
- Per chi si aspetta una stagione più action, come la prima, resterà deluso. I combattimenti sono molto sacrificati per un racconto più intimista.
- Il ritmo della narrazione è altalenante, soprattutto negli episodi centrali, a volte facendo perdere, nel corso dell'episodio, un po' di interesse per gli avvenimenti o situazioni che tendono ad essere fin troppo diluite
- Nella seconda parte della stagione si assiste ad un improvviso incremento di informazioni molto veloce, come date, nomi, avvenimenti passati, con cui è difficile stare al passo, rischiando un po' di "indigestione"