Che il linguaggio del videogioco sia ormai difficile da scindere completamente da quello del cinema è un dato di fatto. Soprattutto per quei titoli che nutrono di grandi risorse (i cosiddetti tripla A) i grandissimi passi avanti a livello di dettaglio geometrico e illuminazione hanno determinato un livello di fotorealismo tale da fare spesso inevitabilmente sovrapporre i due medium. La differenza ovvia è che comunque il videogioco presuppone interazione, la sua grande qualità distintiva, quindi a meno di situazioni estremamente sperimentali una completa sostituzione è impossibile.

Tuttavia, come specificato sopra, i punti di contatto sono davvero impossibili da tralasciare, con un’industria che cerca sempre di più di inseguire quel tipo di spettacolarità un tempo solo dettata da grandi blockbuster cinematografici. Se guardiamo ai più grandi successi recenti in ambito single player, quasi tutti sono esperienze che in qualche modo richiamano quel tipo di influenze, soprattutto sotto quel genere estremamente ampio e poco specifico degli action adventure.

In questo pezzo, in collaborazione con Bim Distribution per il lancio su piattaforme on demand di A cena con il lupo – Werewolves Within, film basato sull’omonimo videogioco VR Ubisoft (che riprende il celebre gioco di gruppo Lupus/Mafia), elenchiamo una decina di videogiochi/serie/studi che si sono avvicinati o hanno valicato il confine con il cinema e/o le sue grandi proprietà intellettuali, prendendone linguaggio e capacità espressiva. Chiaramente non sarà una lista iper esaustiva e verrà fatta una cernita pure per rendere un minimo eterogena la scelta degli studi, quindi considerate questo fattore.

Prima di partire, vi ricordo che A cena con il lupo è disponibile per il noleggio dal 2 luglio su Sky Primafila, PlayStation Store, Infinity, Prime Video, Chili, Apple TV, Google Play, Tim Vision, Rakuten TV e YouTube.

Uncharted e The Last of Us – Naughty Dog

Uncharted 4 Videogiochi al confine con il cinemaSenza minima ombra di dubbio una delle serie videoludiche più seminali degli ultimi vent’anni, la serie di Uncharted è una delle più celebri e più vendute di casa PlayStation, avviata in Naughty Dog da Amy Hennig a metà degli anni 2000 e conclusa (almeno nel suo arco narrativo principale) da Neil Druckmann e Bruce Straley, le stesse menti al timone dello sviluppo del primo The Last of Us.

Con la loro impronta cinematografica e volutamente strutturata su setpiece clamorosi, tutti i capitoli di Uncharted (+ lo spin-off L’eredità perduta) hanno tirato il meglio a livello tecnico dalle piattaforme di riferimento (PlayStation 3 e PlayStation 4) e hanno senza ombra di dubbio consolidato una formula di design così rilevante da essere oggi senza dubbio abusata e onnipresente nell’industria. Nei suoi quattro episodi (più uno su PS Vita) l’impronta narrativa e visiva di Uncharted è chiaramente erede di quella degli Indiana Jones, con tanto di un utilizzo molto simile di elementi sovrannaturali e di una caratterizzazione del protagonista Nathan Drake difficile da non accostare a quella di Indiana.

Le due parti di The Last of Us sono invece qualcosa di sicuramente più sofisticato, anche perché capaci in gran parte di sfruttare l’elemento interattivo che arricchisce il videogioco. Laddove Uncharted creava quella che chiamiamo “dissonanza ludonarrativa”, ovvero uno scostamento netto e straniante tra giocato e narrato, The Last of Us, specie con il finale della sua prima parte e in generale con l’intera struttura della seconda, cerca di unire le due dimensioni per rafforzarle in maniera reciproca.

Il risultato è quello di due giochi cult, che sicuramente non reinventano la ruota da un punto di vista di puro gameplay, ma che si piazzano come veri e propri gioielli narrativi, esperienze coraggiose e densissime, di temi (anche i più spinosi e delicati) e di emozioni, senza dimenticare un fotorealismo che per The Last of Us Parte II (come anche per Uncharted 4) rende a tratti indistinguibile la differenza tra filmati girati e renderizzati, con anche un grandissimo lavoro degli interpreti per voci e motion/performance capture.

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Death Stranding – Kojima Productions

Death Stranding Mads Mikkelsen

Un altro esempio molto chiaro e molto sensato da fare nel sottolineare la vicinanza tra cinema e videogioco è sicuramente quello di Death Stranding, l’esperienza estremamente controversa nata dall’estro di Hideo Kojima, già celebre per essere la mente alle spalle della serie di Metal Gear.

Lea Seydoux (007, La vita di Adele), Norman Reedus (The Walking Dead), Mads Mikkelsen (Hannibal, Il sospetto, Un altro giro), Margaret Qualley (C’era una volta… a Hollywood) e due grandi registi come Guillermo del Toro (La forma dell’acqua, Il labirinto del fauno, Pacific Rim) e William Wending Refn (Pusher, The Neon Demon, Drive), che prestano l’aspetto, ma non la performance, sono solo alcuni dei grandi nomi coinvolti nel cast virtuale della produzione, per un videogioco estremamente pretenzioso nella scrittura e geniale nel suo soggetto. Annunciato in pompa magna e aspettato con ansia – visto il nome di Kojima – per diversi anni, il gioco alla fine si è presentato come quello che potremmo definire un simulatore di consegne DHS, solo in uno dei più visionari immaginari di fantascienza di sempre e con un sistema di multiplayer asincrono altrettanto visionario, stimolando un senso di socialità poggiato sulla collaborazione tra utenti.

Detta così potrebbe non sembrare niente di particolarmente affascinante, almeno dal punto di vista ludico, e infatti non tutti lo hanno amato, ma rimane uno dei videogiochi più importanti della scorsa generazione, su questo c’è poco da discutere. Personalmente ho amato Death Stranding (e il suo peculiare ciclo di attività) e a mio avviso merita di essere giocato, ma alcuni problemi di sceneggiatura (molto retorica e didascalica), ritmo e rifinitura generale del gameplay vanno in ogni caso sottolineati. In ogni caso uno dei giochi più cinematografici in assoluto, con un lunghissimo finale (di circa tre ore) che su questo piano spinge davvero molto.

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Kingdom Hearts III – Square Enix

Kingdom Hearts III videogiochi al confine con il cinema

Sicuramente un gioco molto lontano dall’avere la pretesa di un linguaggio prettamente cinematografico, ma impressionante nella capacità di replicare alcuni dei più celebri immaginari Disney e Pixar, Kingdom Hearts III è senza dubbio una gioia per gli occhi. Celebre per essere una sorta di punto d’incontro tra Final Fantasy e le proprietà intellettuali Disney, l’ultimo capitolo del franchise di Square Enix vede mondi da Pirati dei Caraibi (già presente nel secondo episodio, ma qui con un salto grafico galattico), Monster & Co., Toy Story, Hercules, Rapunzel, Big Hero 6 e Frozen, con personaggi annessi e storie originali o rivisitate.

I circa quindici anni di distanza dal precedente capitolo principale, con un salto di due generazioni e un prestante Unreal Engine 4, si vedono tutti in un comparto grafico a tratti portentoso (per quanto non pulitissimo) e in una direzione artistica davvero minuziosa, che non può non fare felici i fan degli immaginari di riferimento. Un risultato visivo a tratti impressionante che anche da solo può giustificare l’acquisto, non fosse per una trama generale estremamente intricata e completamente dipendente dai molti capitoli usciti nei due decenni precedenti, cosa che rende il gioco quasi inaccessibile al pubblico casual.

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Batman Arkham – Rocksteady

Batman Arkham Knight

Una delle trilogie videoludiche migliori di sempre e a mani bassissime una delle migliori combinazioni supereroi/videogioco non poteva non comparire in questo articolo, considerando pure l’ambizione cinematografica dimostrata in maniera sempre crescente. Al netto di un racconto sempre interessantissimo e molto sfaccettato nel caratterizzare situazioni e personaggi, fin dal primo Arkham Asylum, è sicuramente Arkham Knight a potersi fregiare maggiormente di uno spazio in questo contesto, un gioco per certi versi ingiustamente sottovalutato e per quanto mi riguarda uno dei migliori risultati della precedente generazione, con un’ambizione produttiva superiore per ordini di grandezza al resto della serie.

Il meraviglioso prologo del gioco è una sorta di dichiarazione di intenti, ma anche il resto dell’avventura – anche al di fuori delle scene di intermezzo – brilla incondizionatamente grazie ad una grandissima direzione, che sfocia poi in un finale piuttosto potente, esaltando con massima lucidità il rapporto tra Batman e Joker, per mezzo pure di un ottimo lavoro nel gestire lo spaventapasseri.

Ludicamente parlando parliamo comunque di titoli piacevolissimi, estremamente seminali (vedasi lo Spider-Man di Insomniac) e celebri soprattutto per avere reso una pietra miliare dell’industria un sistema di combattimento ormai iconico come il free flow combat. Se non avete giocato la trilogia di Rocksteady, volate a comprarla perché è un must buy.

God of War – Santa Monica Studio

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Se il prologo di God of War III (come da tradizione per i prologhi della serie) aveva settato standard sulla carta irraggiungibili, la spettacolarità del nuovo soft reboot di God of War, con di nuovo Cory Barlog al timone, ci si avvicina abbastanza prepotentemente, regalando una esperienza che rivisita completamente la formula dei precedenti capitoli, cambiando camera (che passa ad una inquadratura di quinta), progressione generale, mitologia di riferimento (da quella greca a quella nordica), esplorazione e dinamiche e ritmo del combattimento.

Un capitolo quasi irriconoscibile rispetto alla base di partenza, che spreme al cento per cento l’hardware di PlayStation 4 per regalare sequenze folli in una ininterrotta continuità, con la scelta di un unico grande piano sequenza per avvolgere l’intera avventura. A patto di non interrompere mai il gameplay, God of War può infatti essere affrontato senza un singolo stacco, cosa che regala un virtuosismo nella gestione dell’azione e dei setpiece che non ha particolari eguali nell’industria.

Anche la sceneggiatura compie passi in avanti galattici rispetto alla precedente trilogia, e il semidio Kratos viene ripensato con intelligenza nel ruolo di un padre in cerca di redenzione, ma ben consapevole dei propri errori e della mostruosità delle azioni commesse in passato (ha trucidato il pantheon greco e ammazzato la chiunque, compresi per errore moglie e figlia). Laddove l’impostazione del rapporto padre/figlio non può fare a meno di essere reminiscente di The Last of Us, God of War brilla con Kratos in quello che è probabilmente uno dei più azzeccati lavori di aggiornamento di un personaggio che abbia mai visto, con un rispetto infinito pure per gli appassionati del franchise della prima ora.

Una regia illuminata costruisce più e più momenti instant cult, specie per mezzo di un’azione estremamente fisica e definita che trova pochissimi rivali anche nel panorama cinematografico. La scazzottata del prologo del gioco è da incorniciare, come pure il finale e lo scontro con il drago; il seguito in uscita il prossimo anno su PlayStation 4 e 5 dovrebbe trasporre il ragnarok, come confermato pure dall’unico teaser pubblicato.

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Red Dead Redemption 2 – Rockstar Studios

Red Dead Redemption 2

Altro grandissimo blockbuster di questo articolo, questa volta rappresentante di casa Rockstar, Red Dead Redemption 2 è a dispetto del titolo un prequel rispetto al precedente capitolo, a cui si lega direttamente con un lungo epilogo. Non credo sia un gioco che ha particolare bisogno di presentazioni a meno che si viva in una caverna, ma parliamo di un’epopea western con momenti altissimi di vero cinema e un racconto alla base semplicemente straordinario, merito pure di un protagonista, Arthur Morgan, la cui parabola è scritta da Dio e approfondita nell’esplorazione dell’open world e dei suoi personaggi, come pure nelle meravigliose missioni secondarie.

Parliamo di un gioco con alle spalle un budget fuori dal mondo (centinaia di milioni di dollari) e la cosa si vede tutta, in primis per l’attenzione al dettaglio, la profondità dell’interazione e dell’esplorazione (entro certi limiti) del mondo di gioco e la scala generale della produzione. A livello di sceneggiatura siamo al vertice dei titoli presenti in questo pezzo, pur con pezzi grossi come The Last of Us Parte II.

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Heavy Rain – Quantic Dream

Heavy Rain

Il titolo più noto tra le avventure grafiche di Quantic Dream e uno dei videogiochi simbolo di PlayStation 3, Heavy Rain è un notevole crime noir/hard boiled con un pizzico di sadismo à la Saw, poggiato su una trama tanto opprimente quanto stimolante e incentrato su un misterioso serial killer che uccide le proprie vittime con acqua piovana e lascia alle proprie spalle come firma degli origami.

Uno dei più potenti colpi di scena della storia dei videogiochi sigla una narrativa parecchio densa e capace di tenere alta l’attenzione, al costo di qualche inconsistenza logica molto evidente e molto straniante (che è l’unica cosa che si può criticare al gioco). In ogni caso gioco iper cult, iper cinematografico e molto più godibile e ispirato dei successivi Detroit: Become Human e Beyond: Two Souls: da giocare – specie ora che è arrivato anche su PC Windows – foste tra gli eretici che ancora non lo hanno toccato. Preparatevi a sudare per gli impegnativi quick time event nelle frazioni più concitate.

Star Wars Jedi: Fallen Order – Respawn Entertainment

Da Titanfall a Star Wars, con Fallen Order Respawn Entertainment ha fatto godere qualsiasi appassionato dell’immaginario di Lucas, rispettando e riprendendo moltissimi degli elementi introdotti nel canone secondario (che secondario non è) di The Clone Wars e Rebels, con una narrativa inedita purtroppo mal ritmata e con pochissimi guizzi, al di là del maestoso finale (che è talmente stupendo da quasi riscattare tutto il resto).

Per un fan parliamo però di qualcosa di assolutamente imperdibile, e mano a mano che si prosegue, con tantissimi succosi riferimenti diretti o meno, importanti o minori, è davvero complesso non esaltarsi. Al netto di una sceneggiatura quasi sempre molto pigra, Respawn ha davvero toccato tutte le corde giuste, pure con un sistema di combattimento molto derivativo da Sekiro che però si abbina perfettamente agli scontri all’arma bianca con lightsaber.

Lo scontro conclusivo di Fallen Order, le due/tre ore precedenti e il momento immediatamente successivo se la giocano tranquillamente con alcuni dei maggiori picchi del franchise in generale, anche sul piano dell’impatto visivo e della capacità di costruire scene molto evocative, complice pure una complessivamente ottima direzione artistica.

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Ghost of Tsushima – Sucker Punch Productions

Fortemente (e esplicitamente, con tanto di omonimo filtro B&N) legato al cinema chambara di Akira Kurosawa, Ghost of Tsushima è il più recente gioco di Sucker Punch, gli stessi ragazzi della serie di Infamous. Ambientato sull’isola di Tsushima durante l’invasione mongola del Giappone del 1274, il gioco ci vede nei panni di Jin Sakai, un samurai (tra i pochissimi sopravvissuti all’assalto mongolo) unico superstite del proprio clan e nipote di Lord Shimura, signore dell’isola.

Di fronte alla minaccia mongola, Jin si trova a dover capire come bilanciare il bushido (la morale di un samurai) con il pragmatismo necessario alla sconfitta del nemico, scegliendo a volte la furtività a costo del proprio onore (da qui il titolo del gioco).

Parliamo di una esperienza comunque molto suggestiva, grazie al setting e ad una resa artistica che viaggia dal valido al superbo, per quanto ci siano a flagellare il tutto una miriade di problemi anacronistici di gameplay, di struttura e di scrittura. Tante criticità, sottolineate pure nella nostra recensione, ma in ogni caso un enorme di successo di pubblico (capiremo poco noi, evidentemente).

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Control – Remedy Entertainment

Control Remedy

Remedy ha un certo nome nell’industria, essendo lo studio alle spalle di Max Payne, Alan Wake e del meno acclamato/rispettato Quantum Break, oltre che appunto di Control, il loro più recente lavoro, datato 2019, a mio avviso gioco di quell’anno (contendendosi il titolo con altri grandi pesi massimi).

Come per la struttura seriale, citazionista e sperimentale di Alan Wake e Quantum Break, Control ha uno strettissimo rapporto con l’altra sponda dell’intrattenimento, quello della televisione e del cinema, e alcune sequenze sembrano uscire fuori da qualche momento allucinato kubrickiano, con un pizzico del surreale di Lynch (che già emergeva nelle influenze di Twin Peaks su Alan Wake) e elementi nolaniani à la Inception. Il risultato è che molti frame di Control potrebbero essere appesi al muro di una camera tanto sono sorprendenti e affascinanti, per merito soprattutto di uno degli immaginari fantascientifici più pazzi e intriganti abbia avuto modo di esplorare negli ultimi anni.

Tra l’altro l’ultimo parto di Remedy è anche un gioco molto divertente, che al netto di qualche mancanza (come la ripetitività dei nemici e qualcos’altro) rimane sempre estremamente fluido nell’azione e dotato di una certa piacevole profondità in un’esplorazione ricca di sorprese, attraverso un’impostazione da metroidvania nella macrostruttura della misteriosa Oldest House.

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Wolfenstein II: The New Colossus – MachineGames

Exploitation che sembra uscita da Bastardi senza Gloria nel secondo capitolo principale dell’ucronia targata FPS di MachineGames, reboot di un franchise in realtà storico (a partire dal celebre lavoro di id Software con Wolfenstein 3D). Uno dei migliori shooter della scorsa generazione, insieme ai due nuovi capitoli di Doom, Wolfenstein II: The New Colossus, sequel diretto di The New Order, vede il protagonista/macchina da guerra B.J. Blazkowicz cercare di riconquistare gli Stati Uniti d’America dai nazisti dopo la loro vittoria nella seconda guerra mondiale (causata dalla scoperta di tecnologia avanzata, ma è una storia lunga).

Il lavoro di MachineGames è un’avventura pulp fuori di testa in un immaginario infinitamente ispirato, ucronico e retrofuturista, con grandissime ambizioni cinematografiche e sequenze indimenticabili, forte pure di una scrittura sopra le righe molto ben ritmata, con alcuni colpi di scena folli, immersi in un gameplay tanto divertente, denso e assetato di sangue quanto punitivo.

Se non avete giocato The New Colossus e The New Order (più il prequel The Old Blood) dovete volare a consumarli, davvero esperienze irripetibili. È stato pubblicato anche il sequel Youngblood, che dovrebbe fare da ponte per un terzo capitolo principale: aspettiamo pazientemente.

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A cena con il lupo – Werewolves Within è disponibile dal 2 luglio per il noleggio su piattaforme on demand!