Raya e l’Ultimo Drago è l’imminente film di Disney Animation Studios che arriverà ad inizio marzo su Disney+ in Premiere Access, abbiamo assistito alla conferenza stampa del film e qui ve la raccontiamo.
Aspettando l’uscita del film e l’arrivo della nostra recensione in anteprima, ecco il resoconto della conferenza stampa del nuovo film Disney Raya e l’Ultimo Drago, atteso per il 5 Marzo su Disney+.
Aspettato da molti e distribuito come il remake di Mulan tramite Premiere Access su Disney+ (quindi ad un costo premium una tantum aggiuntivo al costo dell’abbonamento), Raya e l’Ultimo Drago si concentra su Raya, l’ultima di una stirpe di guardiani di una gemma che secoli prima ha salvato il mondo da un misterioso flagello, chiamato Druun. Ci troviamo a Kumandra, una terra un tempo unita e resa prosperosa grazie all’aiuto dei draghi; l’arrivo del Druun porta al sacrificio collettivo di queste creature divine e alla formazione della gemma, che ne contiene il potere.
Gli umani però sono umani, e dalla scomparsa dei draghi e dalla formazione di questa gemma nasce divisione e conflitto, con il risultato che Kumandra diventa una terra divisa in cinque nazioni, ognuna rivale rispetto all’altra. Una serie di situazioni portano al risveglio del Druun, e l’unica speranza rimane trovare l’ultimo drago, Sisu.
Questa è la premessa generale del film di Disney Animation Studios, che torna dopo l’uscita di Frozen II nel 2019. Sul film nello specifico potrei dirvi molto di più, ma per quello bisognerà aspettare l’uscita della recensione il 5 Marzo, giorno d’uscita del film.
Nel mentre, ho partecipato ad una conferenza stampa di Raya e l’Ultimo Drago con i due registi (Don Hall e Carlos Lòpez Estrada), i due sceneggiatori (Adele Lim e Qui Nguyen) e la producer Osnat Shurer, dove si è discusso dei temi del film – focalizzato sulla fiducia verso il prossimo e l’importanza del sentirsi comunità -, della curiosa attualità di determinate dinamiche e più in generale del processo creativo e delle intenzioni alle spalle dell’ultimo film d’animazione Disney.
Raya e l’Ultimo Drago fin dal concept è fino al midollo un film fantasy, e come molte produzioni d’animazione può essere inquadrato in primo luogo come una fonte di escapismo dal quotidiano, un modo per stimolare la fantasia e in qualche modo colpire gli spettatori attraverso le generazioni, con un particolare occhio ai più piccoli. Interpellato riguardo l’importanza di mantenere viva l’immaginazione nel quotidiano (specie in questo momento complesso), uno dei due registi, Carlos Lopez Estrada, ha commentato così:
Credo che una delle cose più importanti che possiamo fare sia quella di continuare a nutrirci della nostra immaginazione e delle cose che ci entusiasmano.
Credo che quella sia una delle cose per cui devo ringraziare Disney in particolare, perché essere cresciuto vedendo tutti quegli splendidi film animati ha davvero modificato la mia mente e il modo in cui funziona. E questo ha espanso molto la mia immaginazione in modi che davvero hanno impattato tutta la mia infanzia e il modo in cui vivo la mia vita da adulto.
Quindi mi piace pensare che Raya sarà in grado di offrire un’opportunità molto simile per giovani e meno giovani, portandoli su un lungo un viaggio verso luoghi che non hanno mai visto prima, introducendogli personaggi che ritengono affascinanti e così differenti da loro stessi, facendogli vivere una storia che sia veramente capace di ampliare le loro menti e di portarli a pensare a temi e idee che per noi sono così importanti.
È anche un’opportunità per avere un po’ di escapismo verso diversi mondi. In ogni caso, tutto questo per dire che credo sia veramente importante [tenere viva la fantasia], e spero che con questo film daremo quell’opportunità, quella di una gita a Fantasyland.
Il nuovo parto Walt Disney Animation cerca in qualche modo anche di offrire una prospettiva artistica e etnica fresca, guardando a luoghi e contesti diversi da quanto siamo abituati a vedere in questo contesto, come ad esempio già fatto da Oceania o Coco, che vivevano pure di quella componente. Nello specifico, Raya e l’Ultimo Drago guarda al sudest asiatico nel definire l’immaginario fantastico di Kumandra e dei suoi biomi.
Parliamo quindi di un approccio che guarda ad un pubblico multietnico, ma quanto è stato importante ampliare il bacino di spettatori? Quanto è stato rilevante questo elemento lungo tutta la produzione? Stavolta è Osnat Shurer, producer del film, a rispondere:
Questi film sono molto personali; ci siamo seduti e abbiamo esplorato il messaggio che volevamo trasmettere. Poi ci siamo guardati intorno, abbiamo visto il mondo, la divisione, come le differenze possono creare antagonismo e quanto è importante andare oltre tutto questo. In ogni singola cosa che facciamo, questo ci richiede di porre attenzione verso ciascuna persona, di avere rispetto reciproco.
Essere andati nel sudest asiatico, esserci innamorati di quello che abbiamo trovato lì, di questo senso di unità, del noi più importante del singolo, aiuta il nostro film a poggiarsi su quella storia [e quella morale/quel messaggio].
Poi io sono una di quelle persone che crede che più vai nello specifico a livello di riferimento e ispirazione culturale dietro quello che in questo caso è un fantasy, più universale diventa il film. Quindi credo che questo ci permetta di far crescere dell’empatia reciproca.
È davvero super eccitante avere la possibilità di esplorare tante culture diverse nell’ispirazione di quella che è alla fine una sorta di storia universale.
Dopo una parentesi della sceneggiatrice Adele Lim relativa al personaggio di Namaari (antagonista del film), alla sua dualità con Raya e alla sua radicale crescita lungo il film e la sua scrittura (ne riparleremo dopo), la palla passa all’altro sceneggiatore del film, Qui Nguyen, che approfondisce la questione etnica aperta poco prima. Quanto è importante preservare la nostra tradizione?
Penso che per me sia stato un qualcosa di estremamente importante, perché per quanto mi riguarda è un atto molto personale quello di essere in grado di fare un film che enfatizza e celebra le culture del sudest asiatico, in quanto appunto sono le culture da cui proveniamo e sappiamo che i nostri figli non hanno la possibilità di vedersi molto spesso rappresentati come eroi in una grande produzione hollywoodiana.
Quindi essere riusciti a portare avanti questo film con Don, Carlos e Osnat dà ai nostri piccoli queste immagini eroiche che gli danno ispirazione nell’avere potere sul proprio agire, nell’essere i protagonisti di loro stessi nelle loro vite. [Questo] è stato così importante sia per me, sia per Adele, mentre stavamo scrivendo; il film è una sorta di dono per loro [per i piccoli], un dono che spero sia in grado di influire su di loro e ispirarli a crescere come individui forti, forti quanto Raya, quanto Namaari, quanto Sisu.
Raya e l’Ultimo Drago chiaramente poi non arriva in un momento qualsiasi, e la variabile pandemia si ripercuote non solo sulla distribuzione del film, ma anche probabilmente nel modo in cui verranno inquadrate e metabolizzate/digerite dal pubblico determinate dinamiche narrative. Risponde qui il regista Don Hall:
È interessante come il film sia diventato progressivamente più attuale mano mano che lo producevamo. Ovviamente è stato in sviluppo per cinque/sei anni, e questa idea di un mondo fratturato che diventa unito è sempre stato nel DNA del film. Quindi vogliamo osservare la cosa attraverso la lente della fiducia, fiducia che è la colla che riunirà questa terra, perché senza fiducia non puoi raggiungere quell’obiettivo, semplicemente non puoi.
Non avremmo mai, assolutamente mai, pensato quanto il film sarebbe diventato d’attualità a causa della pandemia. Difatti prima ancora che andassimo in lockdown a causa della pandemia ci riferivamo al Druun come una piaga, e nelle nostre menti quella era la minaccia esistenziale che questo mondo [quello di Kumandra] era stato chiamato ad affrontare, con l’intenzione di dare molta importanza a questa idea di fiducia.
Di nuovo, tutto questo senza avere nessuna idea di quello che ci sarebbe accaduto e quanto il film sarebbe diventato d’attualità, ma anche senza sapere quanta fiducia avremmo dovuto avere uno nell’altro, visto che ci saremmo trovati a dover lavorare in un modo molto diverso rispetto a quanto eravamo abituati in Disney Animation. Quindi, insomma, non posso certo dire che la cosa fosse programmata.
Un altro argomento interessante concerne il cast principale tutto al femminile, protagonista, deuteragonista e antagonista (Raya, l’ultimo drago Sisu e Namaari), e il fatto che la coppia di avversarie (Raya e Namaari) non segua una direzione univoca, mantenendo quindi una certa complessità a livello di dinamiche. Probabilmente il punto di vista più interessante qui è quello di Osnat Shurer, la producer del film, che ragiona anche sullo sviluppo progressivo della scrittura del film:
Sono stata sul film per quattro anni, e quindi l’inizio della produzione precede anche me. Al tempo sapevamo che Raya sarebbe stata una forte guerriera e una leader, sapevamo anche che sarebbe stato un personaggio che cambia, un personaggio con difetti.
Capisco che un personaggio femminile imperfetto e interessante, che si relaziona con altri personaggi femminili, non dovrebbe essere niente di particolare, ma lo è. Poi abbiamo anche avuto Sisu come personaggio femminile, e Namaari è cresciuta maggiormente [nella scrittura]; Adele (la sceneggiatrice, ndr) davvero è entrata in contatto con il personaggio.
Quello che è diventato affascinante per noi, per quelle di noi che hanno desiderato di vedere più di noi stesse a schermo, è stato la possibilità di giocare con l’amicizia di due personaggi femminili, cosa che non molti film ad Hollywood permettono sia il fulcro della storia. Però è stato tutto organico, è cresciuto in maniera organica.
E se è vero che ho sempre posto attenzione nel controllare che nulla fosse fatto a questi personaggi femminili, come ammorbidirli troppo o qualsiasi altra cosa facevano le persone in passato, devo dire che non c’è stata nessuna resistenza su questo piano dal team. Era l’obiettivo di tutti raccontare una storia organica di queste eroine, del loro viaggio da eroine, il cui problema non è il loro gender, il loro problema è che il mondo sta cadendo a pezzi e loro devono risolvere la situazione.
E sì, qualcosa del loro modo di approcciarsi ai problemi concerne il loro essere donne perché concerne tutto quello che riguarda loro come personaggi.
Chiudiamo con questo ultimo intervento dello sceneggiatore Qui Nguyen, che riflette sull’importanza della caratterizzazione dei personaggi e soprattutto sulla necessità di un villain che sia possibile comprendere, un antagonista con cui sia possibile empatizzare. Prende ad esempio – a mio avviso giustamente – Killmonger, il villain di Black Panther, e illustra un punto di cui sicuramente riparlerò in fase di recensione:
[…]non volevamo una cattivona senza spessore. Credo quello sia buon film-making; penso che gli antagonisti più interessanti sono sempre quelli che puoi in qualche modo capire. Credo Killmonger sia un bel cattivo in Black Panther perché hai empatia verso la sua situazione.
E in maniera simile con Namaari, lei alla fine sta percorrendo davvero lo stesso percorso di Raya; l’unica differenza sta nel fatto che Raya ha la chance di incontrare Sisu all’inizio del film, mentre Namaari no. E avremmo potuto fare una versione differente dove Namaari incontra per prima Sisu, e il suo percorso stava nel cambiare Raya. Chiaramente però il film non si chiama Namaari e l’Ultimo Drago, quindi abbiamo invertito i ruoli [rispetto alla possibile altra versione].