Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science, i cui autori sono ricercatori del Center for Climate Physics Institute for Basic Science, Korea, e un italiano Pasquale Raia, dell’Università di Napoli, Federico II, ha rivelato importanti scoperte sull’adattamento delle prime specie umane ai cambiamenti climatici e ai diversi paesaggi. Questo studio fornisce una visione senza precedenti della preistoria umana e delle strategie di sopravvivenza e fa riflettere sull’uso degli habitat da parte del Sapiens contemporaneo.
Evoluzione umana in un mondo in cambiamento: lo studio dei biomi
Negli ultimi 3 milioni di anni, il genere Homo si è evoluto in un periodo caratterizzato da fluttuazioni climatiche calde e fredde. Tuttavia, rimaneva ancora un mistero: come hanno fatto le prime specie umane ad adattarsi a questi estremi climatici, alle ere glaciali e ai cambiamenti su larga dei paesaggi e della vegetazione? Gli scienziati si sono chiesti se i nostri antenati si fossero adattati ai cambiamenti nel corso del tempo o avessero cercato ambienti più stabili con diverse risorse alimentari. Inoltre, era fondamentale comprendere se i cambiamenti temporali del clima, o le caratteristiche spaziali dell’ambiente, avessero influenzato maggiormente la nostra evoluzione. Per affrontare queste importanti questioni, il team di ricerca ha condotto uno studio quantitativo utilizzando una vasta collezione di oltre tremila esemplari umani fossili e siti archeologici accuratamente datati, rappresentanti sei diverse specie umane. Inoltre, hanno utilizzato simulazioni realistiche di modelli climatici e di vegetazione che coprono un arco temporale di 3 milioni di anni. L’analisi si è concentrata sui biomi, che rappresentano regioni geografiche caratterizzate da climi, piante e comunità animali simili, come savana, foresta pluviale o tundra.
Un bioma è una grande unità ecologica che comprende diverse comunità di piante, animali e microorganismi che interagiscono tra loro e con l’ambiente fisico in cui si trovano. I biomi sono caratterizzati da tipi specifici di clima, suolo, vegetazione e fauna che si verificano in un’ampia area geografica. Ogni bioma ha una serie di caratteristiche distintive che lo differenziano dagli altri. Ad esempio, la foresta pluviale tropicale è un bioma caratterizzato da un clima caldo e umido, abbondante precipitazione e una vegetazione lussureggiante con una grande biodiversità. Al contrario, la tundra è un bioma freddo e secco, caratterizzato da basse temperature, scarsa vegetazione e una fauna adattata alle dure condizioni. Altri esempi di biomi includono la savana, la foresta temperata, il deserto, la taiga e la prateria. Ogni bioma ha una sua importanza ecologica e fornisce habitat per una varietà di specie. Gli esseri umani sono influenzati dai biomi in cui vivono, poiché questi forniscono risorse essenziali come cibo, acqua e materiali naturali. Studiare i diversi biomi e le loro peculiarità è importante per la conservazione della biodiversità e per la gestione sostenibile delle risorse naturali. Inoltre, lo studio dei biomi aiuta a comprendere come gli organismi si sono adattati alle diverse condizioni ambientali nel corso dell’evoluzione, homo sapiens compreso.
Risultati e scoperte
L’analisi condotta nello studio ha rivelato che i primi gruppi africani delle specie umane preferivano vivere in ambienti aperti come praterie e arbusteti secchi. Tuttavia, quando migrarono in Eurasia, circa 1,8 milioni di anni fa, gli ominini si adattarono sviluppando una maggiore tolleranza ad altri biomi, tra cui foreste temperate e boreali. Questo adattamento è stato accompagnato da un miglioramento delle abilità strumentali in pietra e, potenzialmente, anche delle abilità sociali. Infine, circa 200.000 anni fa, H. sapiens emerse in Africa, dimostrando di essere eccezionalmente mobile, flessibile e competitivo, sopravvivendo in ambienti difficili come deserti e tundra.
Ruolo della diversità degli ecosistemi
Ulteriori esami delle caratteristiche del paesaggio hanno mostrato che i primi siti di occupazione umana tendevano a trovarsi in regioni con una maggiore diversità di biomi. Questo suggerisce che i nostri antenati umani prediligevano paesaggi cosiddetti a mosaico, ricchi di risorse vegetali e animali nelle immediate vicinanze. La diversità degli ecosistemi ha giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione umana, poiché le specie Homo, in particolare H. sapiens, erano dotate di abilità uniche per sfruttare biomi eterogenei. La diversità del paesaggio e delle piante sono state identificate come fattori selettivi cruciali per gli esseri umani e potenziali motori degli sviluppi socioculturali.
L’importanza del calcolo scientifico
La ricerca è stata possibile grazie alle simulazioni dei modelli climatici e di vegetazione condotte su uno dei supercomputer scientifici più veloci della Corea del Sud, chiamato Aleph. L’Institute for Basic Science (IBS), in collaborazione con l’IBS Center for Climate Physics (ICCP) del quale fanno parte gli autori dello studio, ha acquistato nel 2018 un nuovo supercomputer Cray XC50™. Situato presso il centro dati dell’IBS e integrato da un sistema di archiviazione di big-data, questa struttura all’avanguardia consente ai ricercatori di avanzare nuove frontiere nella ricerca sul clima, nella fisica e nella matematica. ALEPH – il nome del supercomputer IBS – è la prima lettera dell’alfabeto ebraico, a significare che si tratta del “primo” supercomputer per IBS e ICCP. Inoltre, significa anche “vento” o “aria” e si riferisce ad alcune delle ricerche condotte sul supercomputer. Secondo i ricercatori è “l’unico luogo sulla terra in cui tutti i luoghi sono visibili da ogni angolazione, ognuno in modo chiaro, senza alcuna confusione o mescolanza”.
L’evoluzione dell’H. Sapiens: dai paesaggi a mosaico verso la pericolosa frammentazione degli habitat
Come fa capire bene lo studio pubblicato su Science con dati alla mano, nella storia della nostra evoluzione noi sapiens siamo riusciti ad adattarci a cambiamenti climatici e ad ambienti in costante cambiamento, prediligendo paesaggi ricchi di risorse vegetali e animali. La diversità degli ecosistemi ha giocato un ruolo cruciale. Tuttavia, l’uomo moderno, impegnato nel suo avanzamento di specie, ha causato un fenomeno che va a minare la sua stessa evoluzione: la frammentazione degli habitat naturali, processo per cui gli habitat vengono divisi in piccole e isolate aree a causa dell’attività umana. Per attività umana si intendono la deforestazione, l’urbanizzazione (costruzione di strade, dalla creazione di dighe) o altre modifiche dell’ambiente. Ad esempio, quando una foresta viene rasa al suolo per creare campi coltivati o per costruire insediamenti umani o allevamenti di animali da reddito (allevamento bovino, suino), gli habitat forestali vengono frammentati in piccoli pezzi circondati da aree urbane o agricole. Questo porta alla separazione delle popolazioni di specie e alla riduzione della connettività tra gli habitat. Questa separazione in compartimenti stagni può avere conseguenze negative per la biodiversità e per il funzionamento degli ecosistemi. Quando gli habitat vengono frammentati, le specie possono essere isolate in piccole isole di habitat, con una ridotta disponibilità di risorse e una maggiore esposizione a predatori o a interferenze umane. Ciò può portare a una diminuzione della diversità biologica, poiché le popolazioni isolate possono sperimentare una maggiore consanguineità, una minore possibilità di dispersione e una ridotta dimensione della loro nicchia.
Un processo dinamico e in continua crescita
La frammentazione degli habitat è, inoltre, un processo dinamico e in continua espansione, legato all’aumento vertiginoso della popolazione umana che necessita di nuove terre da coltivare, di ampliare i centri urbani e le vie di comunicazione. Dividere un ambiente naturale in frammenti più o meno disgiunti tra loro, riducendone la superficie originaria, può anche influenzare la dinamica delle popolazioni, rendendole più vulnerabili agli effetti dello sfruttamento, dei cambiamenti climatici e delle malattie (vedi Covid). Le conseguenze più catastrofiche si registrano negli ambienti tropicali soprattutto perché le specie in questo bioma si adattano più difficilmente ai cambiamenti ambientali rispetto alle specie di habitat dei climi temperati. Per fare un esempio, in Brasile, le attività antropiche hanno distrutto il 95% dell’originaria foresta pluviale atlantica; in Australia occidentale, l’agricoltura ha ridotto a meno del 10% la vegetazione originaria. Simili perdite si verificano già in tutto il mondo e interessano tutti i livelli della diversità biologica. Mentre la diversità degli ecosistemi ha giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione umana, la frammentazione degli habitat di derivazione antropica (causata dall’uomo) può portare a una diminuzione della diversità biologica e alla perdita di specie. Scienziati, climatologi e ricercatori, da anni invitano i responsabili politici a prendere in considerazione piani d’azione per ridurre i rischi associati alla frammentazione degli habitat. Queste questioni richiedono un’attenzione particolare: la natura è armonica, l’uomo distrugge l’armonia e poi deve correre ai ripari (nel breve periodo) con metodi per rimettere le cose al loro posto, cercando di evitare problemi che influenzeranno tutti i decenni a venire.
Le Green belt contro la frammentazione degli habitat
È importante cercare di ridurre gli effetti negativi attraverso strategie come, ad esempio, la creazione di corridoi ecologici: Il corridoio biologico (o biocorridoio o corridoio ecologico) è un’area di un habitat che connette tra loro delle popolazioni biologiche separate da barriere prodotte dalle attività umane come strade, case, colture agricole. Un esempio virtuoso in tal senso è la green belt (cintura verde), nel Regno Unito: una norma che regola il controllo dello sviluppo urbano. L’idea è che debba essere mantenuta, attorno ai centri abitati, una fascia verde occupata da boschi, terreni coltivati e luoghi di svago all’aria aperta. Lo scopo fondamentale di una cintura verde è impedire la scomposta proliferazione di costruzioni che vadano ad inquinare spazi verdi e nicchie ecologiche già esistenti ma distrutte dall’attività umana. Essa venne proposta, per la prima volta, già nel 1935. Il Town and Country Planning Act 1947 consentì alle autorità locali di includere proposte per la costituzione di green belt nei loro piani di sviluppo e successivamente applicato nel territorio di Londra come strumento di controllo dello sviluppo urbano. Essenzialmente, la green belt può essere vista come un polmone verde che circonda la città con la molteplice funzione di:
- tutela del territorio agricolo;
- contenimento contro l’espansione urbana e la cementificazione selvaggia;
- offerta di spazi verdi e strutture ricreative per la periferia;
- riqualificazione del paesaggio e delle aree dismesse e degradate
Nel preservare la disposizione urbanistica delle città storiche, questa striscia di verde contribuisce inoltre a migliorare il microclima, attenuando gli squilibri ambientali provocati dalle dinamiche metropolitane. La cintura verde che delimita e racchiude il territorio urbano è in genere composta da parchi pubblici, orti comunitari, da boschi, ma anche da aree agricole coltivate. In Italia siamo in presenza di un aumento dell’interesse per il recupero degli spazi verdi, ma a confronto con le esperienze internazionali siamo ancora indietro. Tra i pochi esempi nostrani citiamo la città di Ferrara (unico esempio italiano che vede un centro storico abbracciato da una cintura verde di 1500 ettari di terreno agricolo) e il progetto Metrobosco, che prevede attorno a Milano l’integrazione di tutti i parchi di prima fascia (Parco Lambro, Forlanini, Trenno-Bosco in Città-Cave, Parco Nord, ecc.) e la conversione di ampi terreni agricoli in parchi naturali.
Lo studio recentemente pubblicato su Science ha fornito nuove prospettive sull’evoluzione umana e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Le prime specie umane si sono adattate ai diversi paesaggi e alle risorse alimentari, aumentando così la loro resilienza di fronte ai cambiamenti climatici del passato. La preferenza per i paesaggi a mosaico con una grande diversità di ecosistemi ha giocato un ruolo cruciale nella nostra evoluzione. Queste scoperte ci informano sulle strategie di sopravvivenza nell’era preistorica. Invece, l’uomo moderno ha questa predisposizione – certe volte- ad involvere.