I ricercatori dell’Università di Helsinki hanno scoperto le prime evidenze storiche circa la pratica dell’equitazione studiando i resti scheletrici umani trovati in tumuli chiamati kurgan, risalenti a un’età compresa tra 4500 e 5000 anni, appartenenti alla cultura Yamnaya. Secondo il professore di archeologia Volker Heyd, l’equitazione sembra essersi evoluta non molto tempo dopo la presunta domesticazione dei cavalli nelle steppe eurasiatiche occidentali, durante il quarto millennio a.C. Era già piuttosto comune nei membri della cultura Yamnaya tra il 3000 e il 2500 a.C. Gli Yamnayan erano migrati dalle steppe pontico-caspiche (area che si estende dalla regione settentrionale del Mar Nero fino a oriente del Mar Caspio, nonché dall’Ucraina centrale al Kazakistan occidentale, passando dalla Russia meridionale) per trovare pascoli più verdi negli attuali Paesi della Romania e della Bulgaria, fino all’Ungheria e alla Serbia. Queste regioni a ovest del Mar Nero costituiscono una zona di contatto tra i gruppi mobili di pastori della cultura Yamnaya e le comunità di agricoltori delle tradizioni del tardo Neolitico e del Calcolitico. La ricerca si è concentrata sui resti umani piuttosto che sui resti di cavalli, in quanto l’equitazione è un’interazione di due componenti – il cavaliere e il cavallo – e i resti umani sono disponibili in numero maggiore e in condizioni più complete rispetto ai reperti dell’animale.
La sindrome da equitazione
Utilizzando sei criteri diagnostici stabiliti come indicatori dell’attività di equitazione, il team ha scoperto segni di equitazione nei resti scheletrici umani, inclusi siti di attacco muscolare sul bacino e sull’osso della coscia, cambiamenti nella forma delle cavità dell’anca, segni di impronta causati dalla pressione del bordo acetabolare sul collo del femore, il diametro e la forma dell’asta del femore, degenerazione vertebrale causata da ripetuti impatti verticali e traumi che tipicamente possono essere causati da cadute, calci o morsi di cavalli, che sono tutti i sintomi della “Sindrome da equitazione”. Secondo Martin Trautmann, bioantropologo di Helsinki e autore principale dello studio, la diagnosi dei modelli di attività negli scheletri umani non è univoca. Non esistono tratti singolari che indichino una certa occupazione o un certo comportamento. Solo nella loro combinazione, come sindrome, i sintomi forniscono indicazioni affidabili per comprendere le attività abituali del passato. L’uso degli animali per il trasporto, in particolare del cavallo, ha segnato una svolta nella storia dell’umanità. Il notevole guadagno in termini di mobilità e distanza ha avuto effetti profondi sull’uso del territorio, sul commercio e sulle guerre.
Gli autori dello studio hanno analizzato oltre 217 scheletri provenienti da 39 siti, di cui circa 150 trovati nei tumuli appartenenti agli Yamnayan. Grazie a un sistema di filtraggio diagnostico sviluppato dai ricercatori stessi, che tiene conto del valore diagnostico, della peculiarità e dell’affidabilità di ciascun sintomo, è stato possibile estrarre alcune importanti informazioni dall’analisi dei resti: complessivamente, dei 156 individui adulti del campione totale almeno 24 (15,4%) possono essere classificati come “possibili cavalieri”, mentre cinque Yamnaya e due individui più tardivi e due forse più antichi si qualificano come “cavalieri altamente probabili”. “La prevalenza piuttosto elevata di questi tratti nello scheletro, soprattutto rispetto alla limitata completezza complessiva, dimostra che queste persone andavano regolarmente a cavallo”, afferma Trautmann. Se l’uso primario dell’equitazione fosse una comodità in uno stile di vita pastorale mobile, per consentire una più efficace pastorizia del bestiame, come mezzo per rapide e lontane incursioni o semplicemente come simbolo di status, è un aspetto che necessita di ulteriori ricerche.
Gli Yamnayan, i primi veri nomadi
Gli Yamnayan erano una popolazione e una cultura che si è evoluta nelle steppe pontico-caspiche alla fine del IV millennio a.C. Adottando l’innovazione chiave della ruota e del carro, furono in grado di migliorare notevolmente la loro mobilità e di sfruttare un’enorme risorsa energetica altrimenti irraggiungibile: le sconfinate distese di erba della steppa lontano dai fiumi, che consentiva loro di mantenere grandi mandrie di bovini e ovini. Impegnandosi così in un nuovo stile di vita, questi pastori, se non i primi veri nomadi del mondo, si espansero drasticamente nei due secoli successivi fino a coprire più di 5.000 chilometri tra l’Ungheria a ovest e, sotto forma della cosiddetta cultura Afanasievo, la Mongolia e la Cina occidentale a est. Avendo seppellito i loro morti in fosse sotto grandi tumuli, chiamati kurgan, si dice che gli Yamnayan siano stati i primi a diffondere le lingue protoindoeuropee.