Finora, praticamente tutto ciò che la razza umana ha costruito, dagli utensili rudimentali alle case a un piano fino ai grattacieli più alti, ha avuto una limitazione fondamentale: la gravità terrestre. Tuttavia, se alcuni scienziati faranno la loro parte, le cose potrebbero presto cambiare. A bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) c’è una scatola di metallo al cui interno, un erogatore aiuta a costruire piccole componenti che non è possibile realizzare sulla Terra. Se gli ingegneri cercassero di realizzare queste strutture sulla Terra, si guasterebbero sotto la gravità terrestre.
“Questi saranno i primi risultati di un processo davvero innovativo in microgravità”, afferma Ariel Ekblaw, architetto spaziale fondatore della Space Exploration Initiative del MIT e uno dei ricercatori (sulla Terra) che hanno ideato il progetto. Il processo del gruppo del MIT consiste nel prendere una pelle di silicone flessibile, con la forma del pezzo che si andrà a creare, e riempirla con una resina liquida. “Si può pensare che siano come dei palloncini”, dice Martin Nisser, ingegnere del MIT e altro ricercatore del progetto. “Invece di iniettarli con l’aria, li iniettiamo con la resina“. Sia la pelle che la resina sono prodotti disponibili in commercio. La resina è sensibile alla luce ultravioletta. Quando i palloncini vengono colpiti da un flash ultravioletto, la luce attraversa la pelle e investe la resina. Questa si indurisce e si irrigidisce, trasformandosi in una struttura solida. Una volta indurita, gli astronauti possono tagliare la pelle e rivelare la parte interna.
Tutto questo avviene all’interno della scatola lanciata dalla Terra verso la Iss il 23 novembre e destinata a trascorrere 45 giorni a bordo. Se tutto andrà bene, la ISS spedirà sulla Terra alcune parti sperimentali che i ricercatori del MIT potranno testare. I ricercatori del MIT devono assicurarsi che le parti realizzate siano strutturalmente valide. Dopodiché, altri test. “Il secondo passo sarà probabilmente quello di ripetere l’esperimento all’interno della Stazione Spaziale Internazionale”, dice Ekblaw, “e magari di provare forme un po’ più complicate o di mettere a punto la formulazione della resina”. Dopodiché, si vorrebbe provare a realizzare i pezzi all’esterno, nel vuoto dello spazio stesso.
Il vantaggio di costruire parti come queste in orbita è che il fattore di stress più importante della Terra, ovvero la gravità del pianeta, grazie a questi esperimenti, non è più un fattore limitante. Supponiamo che si cerchi di realizzare travi particolarmente lunghe con questo metodo. “Che la gravità le farebbe cedere”, dice Ekblaw.
Costruire in autonomia i pezzi che servono senza chiedere aiuto alla Terra
I ricercatori immaginano un futuro prossimo in cui, se un astronauta avesse bisogno di sostituire un pezzo prodotto in serie, ad esempio una vite o un bullone, non avrebbe bisogno di farne spedire uno dalla Terra. Al contrario, potrebbe semplicemente inserire una pelle a forma di vite o di bullone in una scatola come questa e riempirla di resina. Ma i ricercatori pensano anche a lungo termine. Se riuscissero a produrre parti molto lunghe nello spazio, potrebbero accelerare i grandi progetti di costruzione, come le strutture degli habitat spaziali. Potrebbero anche essere utilizzati per formare i telai strutturali dei pannelli solari che servono per l’energia stessa della stazione spaziale. Costruire nello spazio presenta anche alcuni vantaggi fondamentali. Se avete mai visto un razzo dal vivo, saprete che, per quanto impressionanti, non sono particolarmente larghi. È uno dei motivi per cui grandi strutture come la ISS o il Tiangong cinese vengono costruite in modo frammentario, assemblando un modulo alla volta nel corso di anni.
Oggi i pianificatori delle missioni devono spesso impegnarsi a fondo per cercare di far entrare telescopi e altre apparecchiature in quel piccolo spazio di carico disponibile sulla ISS. Il telescopio spaziale James Webb, ad esempio, ha uno schermo solare grande come un campo da tennis. Per inserirlo nel suo razzo, gli ingegneri hanno dovuto piegarlo delicatamente e pianificare un elaborato processo di srotolamento una volta che il JWST ha raggiunto la sua destinazione. Ogni pannello solare che si può assemblare in orbita terrestre è un pannello solare in meno da infilare in un razzo.
Ekblaw, Nisser e i loro colleghi sperano che il loro approccio basato sulla resina possa eccellere. Non creerà componenti intricati o circuiti complessi nello spazio, ma ogni piccolo pezzo è un pezzo in meno che gli astronauti dovranno trasportare individualmente.
“Lo scopo è quello di rendere questo processo produttivo disponibile e accessibile ad altri ricercatori”, afferma Nisser.