I bambini crescono molto nei nove mesi che intercorrono tra il concepimento e la nascita e non a caso, ovviamente. Questa rapida crescita prenatale serve per permettere al cervello del nascituro di svilupparsi in modo più complesso, rimanendo protetto dall’involucro materno, aumentando le probabilità di sopravvivenza una volta nati
Non è mai stato chiaro come l’evoluzione sia arrivata a garantire agli esseri umani un tasso di crescita prenatale così rapido. Sappiamo però che gli umani sono caratterizzati da un cervello molto grande rispetto alle dimensioni del corpo e che le sue dimensioni influenzano a loro volta le dimensioni delle mascelle. Per questo gli sforzi dei ricercatori hanno ipotizzato che i denti potessero contenere informazioni preziose sulle gravidanze dell’uomo e, primariamente, dei nostri antenati.
I denti iniziano a formarsi nel feto già a 6 settimane di gestazione circa, ma non sviluppano i loro strati esterni fino al secondo trimestre. Da quel momento però, rappresentano degli ottimi resti fossili
“I resti dentali sono le parti più abbondanti nella documentazione fossile”, spiega la paleobiologa Leslea Hlusko del Centro Nazionale di Ricerca per l’Evoluzione Umana (CENIEH). Infatti, precedenti ricerche del suo team sulle scimmie hanno rilevato che la crescita più lenta di un animale (non ancora nato) è collegata a un mancato sviluppo del terzo molare. Partendo da questo dato il team, insieme ai colleghi della Western Washington University, ha misurato i rapporti tra la lunghezza del terzo e del primo molare nelle specie di primati ancora in vita oggi.
Denti più grandi, cervello più sviluppato
Hanno scoperto che il tasso di crescita prenatale, le dimensioni della testa e le dimensioni relative dei molari seguono lo stesso andamento in tutti i primati. Hanno quindi utilizzato questo schema per approfondire la nostra storia evolutiva, analizzando fossili di primati che vanno da 6 milioni a 12.000 mila anni fa, relativi a 13 specie di ominidi.
I resti cranici e dentali indicano che i tassi di crescita prenatale sono aumentati negli ultimi 6 milioni di anni. Insieme all’anatomia fossile del bacino e della testa, questi risultati supportano la teoria secondo cui le lunghe gravidanze, simili a quelle umane, si sono evolute già negli ultimi centinaia di migliaia o milioni di anni
Quando i primati diventarono bipedi e a camminare su due zampe nel primo Pliocene, circa 5.333 milioni di anni fa, i tassi di crescita del feto durante la gravidanza, erano ancora molto simili a quelli delle scimmie viventi oggi, rispetto che ai nostri. Ma con l’evoluzione dell‘Homo erectus nel primo Pleistocene – circa 2.580.000 anni fa- si è verificato un netto cambiamento, che si è riflesso anche nell’anatomia pelvica. “Il cambiamento dell’anatomia pelvica, il volume endocranico e i tassi di crescita prenatale previsti forniscono tutti gli elementi che supportano l’evoluzione della gravidanza e del parto simili a quelli umani nel Pleistocene (nelle specie di Homo più tardive), prima dell’emergere dell’Homo sapiens”, scrive il team.
I progressi negli strumenti utilizzati per la caccia, che si sono verificati in questo periodo, potrebbero essere un riflesso delle crescenti dimensioni del cervello del nostro antenato, nonché della probabile evoluzione della caccia di gruppo, lo sviluppo del linguaggio precoce, che a sua volta avrebbe fornito ancora più risorse.
“L’insieme dei dati raccolti supporta un paesaggio morfologico ed ecologico in evoluzione, caratterizzato da un aumento delle risorse disponibili per le madri in gestazione e per i loro neonati indifesi. Questo circolo di feedback potrebbe a sua volta aver permesso l’evoluzione di cervelli ancora più grandi e di una maggiore capacità cranica nell’Homo successivo, portando all’H. sapiens”, conclude il team.