Le emissioni di metano, rilasciate accidentalmente dagli impianti a gas fossile e petrolio, non sono percettibili a occhio nudo, ma possono creare gravi danni al Pianeta e al clima. In Italia queste perdite si verificano molto spesso lungo tutta la filiera produttiva.

Le perdite di gas possono verificarsi per diversi motivi: da una scarsa manutenzione a guasti improvvisi, ma possono essere causate da pratiche rischiose come il rilascio controllato di gas  “inutile” chiamato venting. Questi motivi non sono solo causa di perdita di una risorsa preziosa, ma rilasciano nell’atmosfera il metano, un gas 86 volte più inquinante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni.

Delle osservazioni di Legambiente, effettuate nello scorso ottobre nell’ambito della campagna di informazione e sensibilizzazione “C’è puzza di gas” che hanno richiesto l’uso di telecamere a infrarossi, hanno individuato ben 13 impianti su 25 monitorati tra Sicilia e Basilicata che hanno registrato perdite significative: 15 casi di rilascio diretto e 68 perdite per un totale di 80 punti di rilascio.

In particolare, su 13 impianti in cui si sono verificate delle emissioni di metano, ben 11 sono infrastrutture legate al trasporto di gas fossile di cui 10 gestite da SNAM, 1 da Italgas, e 1 gestita da Greenstream BV (ENI e NOC).

Il regolamento europeo invece propone di intervenire solo sulle perdite di una certa grandezza, lasciando che il resto del gas metano venga sprecato. Solo così si aiuterebbe ad evitare il 42% delle emissioni dirette che si verificano oggi in Italia.

Legambiente