Di fronte al pericolo, gli umani si avvicinano. Il distanziamento sociale ostacola questo impulso. Quali le conseguenze?

Stringersi, fare branco e stare vicini: questi sono gli impulsi primordiali degli animali che si sentono in pericolo.

Oggi invece all’umanità in pandemia si chiede non di stare vicina ma l’esatto opposto il distanziamento sociale, ossia stare più lontani possibile.

La professoressa Ophelia Deroy della Ludwigs-Maximilians Universitaet di Monaco (LMU) e colleghi hanno pubblicato un lavoro sulla rivista Current Biology in cui discutono l’impatto psicologico di questa necessaria misura protettiva. La stessa Deroy afferma:

Le condizioni pericolose ci rendono più – non meno – sociali. Far fronte a questa contraddizione è la più grande sfida psicologica che dobbiamo affrontare ora.

Questo punto di vista potrebbe dare un’ulteriore spiegazione alla difficoltà che tutti sentiamo nel rispettare queste misure.

Deroy e i suoi co-autori Chris Frith (un noto neurobiologo sociale dell’University College di Londra) e Guillaume Dezecache (uno psicologo sociale dell’Université Clermont Alvernia) sostengono che il fatto che le persone escano magari con i passeggini e i cani e cerchino di incontrarsi comunque nasce dal naturale istinto di raccogliersi di fronte a un grave pericolo e non solo da comportamenti giustificabili con l’egoismo.

Studi nei campi della neuroscienza, della psicologia e della biologia evolutiva hanno già dimostrato che non siamo egoisti come pensano alcune discipline (o come a volte ci fanno sentire i mezzi di informazione).

Le situazioni minacciose ci rendono ancora più cooperativi e i contatti sociali non sono un “extra”, che siamo liberi di mettere da parte. Fanno parte di noi e del nostro essere “normali”. Gli autori del lavoro sostengono quindi che, poiché il distanziamento sociale si oppone alla nostra reazione naturale a rischi incombenti, le nostre stesse inclinazioni sociali ora rischiano di esacerbare il pericolo.

Come possiamo quindi fare per ritrovare un equilibrio dentro di noi?

Secondo Deroy, dobbiamo usare la tecnologia più possibile per sentirci vicini, internet ci offre di certo un’alternativa accettabile ed efficace al contatto fisico.

Resta da vedere se, e per quanto tempo, il nostro bisogno di contatto sociale può essere soddisfatto dai social media.

afferma Deroy.

Io aggiungo che, per quanto mi riguarda e sono certa di rappresentare il pensiero di molti lettori, la conoscenza è sempre una terapia.

In questo caso, conoscere i meccanismi psicologici, può essere la giusta arma che permetta di trovare dei compromessi e delle soluzioni personali per rendere più accettabile quello che, dopo quasi due mesi, tutti noi iniziamo a fare fatica ad accettare pur consapevoli dell’importanza e della necessità di questo sacrificio.