Tra i film più attesi della XI Festa del Cinema di Roma c’è The Accountant, crime story di Gavin O’Connor con protagonista Ben Affleck e con Anna Kendrick, J.K. Simmons, Jon Bernthal, Jeffrey Tambor e John Lithgow.
The Accountant è sicuramente uno dei titoli più attesi di questo fine 2016 cinematografico. Gavin O’Connor, noto al grande pubblico per film come Pride and Glory – Il prezzo dell’onore e Warrior con Tom Hardy, Joel Edgerton e Nick Nolte, porta sul grande schermo un thriller che si consuma tra colpi di fucile e calcoli numeri.
La pellicola si apre dando subito l’idea del mood e delle atmosfere, intrigando lo spettatore e portandolo all’interno della narrazione. Così come la lezione più antica del thriller insegna, lo sceneggiatore Bill Dubunque ci introduce una scena dove non sappiamo dove siamo. Non da un volto ai suoi personaggi, ma solo ombre e voci, movimenti lenti di gambe e veloci di pistola. Una scena ad altissima tensione che si consuma in pochi secondi, concludendosi con l’inconfondibile suono della sicura della pistola e l’ombra di un uomo che punta l’oggetto verso qualcun altro.
The Accountant si apre in questo mondo. Una sequenza che non sappiamo se appartenga al presente o al passato, o addirittura al futuro della nostra storia. Lo spettatore lo scoprirà molto più tardi, restando anche piacevolmente sorpreso.
Il continuo spetta all’infanzia del nostro protagonista, Christian Wolff (Ben Affleck), uomo che si sente molto più a suo agio tra numeri e armi piuttosto che con le persone. Chris è affetto da una forma di autismo, che con gli anni riesce a controllare grazie anche a un pesante addestramento sull’autocontrollo quasi autolesionista.
Chris cresce con il trauma dell’abbandono della madre e questo lo rende ancora più indifferente a qualsiasi tipo di emozione, portandolo ad allontanarsi, per quanto ne possiamo sapere all’inizio, sia dal padre che dal fratello minore.
Anni dopo, vediamo Chris dal vetro di una piccola agenzia di consulenza fiscale, dove lavora come account, appunto contabile. Sta offrendo una sua consulenza a due coniugi anziani, e lo studiamo nel suo modo di essere terribilmente impassibile e distaccato. Tutto sommato, un lavoro umile e tranquille, anche piuttosto denigrante per un uomo dalle sue capacità.
Un passaggio molto bello, in cui il personaggio viene raccontato attraverso le immagini, dando però una versione di lui totalmente sbagliata.
Quella di Chris è solo una copertura per il suo vero lavoro, ovvero fare il commercialista freelance per le più pericolose organizzazioni del mondo, custodendo segreti molto appetibili.
Proprio per questo motivo, sulle tracce di Chris, il quale è abilissimo a cambiare nomi, nascondere soldi e non venir mai fotografato in volto, c’è sia la Sezione Crimini del Dipartimento del Tesoro, capitanata da Ray King (J.K. Simmons), che un uomo sconosciuto (Jon Bernthal) appartenente, molto probabilmente, ad un cliente di Chris deciso a farlo fuori.
È sempre avvincente sapere che le persone custodiscono dei segreti—quando pensiamo di conoscere qualcuno, per poi rivelarsi tutt’altra cosa
Afferma il regista Gavin O’Connor che porta avanti, per gran parte del film, tre storie parallele, le quali sono destinate a incrociarsi in risvolti imprevedibili, o quasi.
La prima parte del film è destinata, per lo più, a inquadrare il personaggio di Chris, sempre in bilico tra passato e presente. Lo vediamo immerso nella sua ossessiva e compulsiva routine, nel suo tamburellare le dita e poi soffiarci sopra prima di un lavoro, nel suo andare di matto se gli viene impedito di portare a termine ciò che aveva incominciato. Un microcosmo all’interno del quale è facile venire coinvolti.
Un personaggio che nelle sue nevrosi è assolutamente lucido. Il suo modo di fare distaccato riesce a creare comunque empatia, portando lo spettatore a sorridere per quei momenti in cui le emozioni del protagonista non vengono espresse dal viso, costringendolo a dire se ha appena fatto una battuta, se è triste, arrabbiato o felice.
C’è del paradossale in tutto questo. Una paradossale che è l’elemento più convincente del The Accountant di Gavin O’Connor, cioè il suo protagonista e il suo interprete.
Tra le critiche che spesso sono state mosse a Ben Affleck c’è la sua mancanza di comunicazione facciale all’interno dei suoi personaggi, il più delle volte monoespressivi e incapaci di comunicare con lo spettatore. In questo caso il limite di Affleck si rivela essere la sua arma migliore, e non a caso parliamo di una storia con protagonista qualcuno che ha un limite e che sa sfruttarlo a suo vantaggio.
Ben Affleck è sicuramente l’elemento più convincente di The Accountant. Chris Wolff è un personaggio colmo di nevrosi, di dettagli, di piccoli particolari che prendono vita in ogni sua azione, da quelle sensate a quelle prive di qualsiasi controllo. Il suo modo di fare, ricordando inevitabilmente un incrocio tra il Forest Gump di Tom Hanks e il John Forbes Nash jr. di Russell Crowe, coinvolge e diverte. Convince lo spettatore e gli fa credere in quel tipo di personaggio, incapace di provare esplicite emozioni ma che saluta timidamente i vicini dopo aver ucciso, senza pensarci due volte, una coppia di killer.
Certo, il deja-vu con Batman è inevitabile. A violenza, combattimento ed espressioni statiche siamo proprio lì.
Sempre sul pezzo J.K. Simmons che, in qualsiasi ruolo lo si voglia mettere, risulta essere sempre efficace e soddisfacente.
Senza lode e senza infamia il personaggio di Jon Bernthal, non abbastanza approfondito e sicuramente volto più al contorno del protagonista, così come Anna Kendrick. Un personaggio che vuole essere la novità, l’elemento di disturbo alla routine del protagonista, e che lo porterà a calcolare un’opzione diversa dal solito. A parte questo, il personaggio è di pura funzione, abbastanza piatto e scialbo.
I guai per The Accountant iniziano a farsi vedere dopo i primi quaranta minuti del film. Quando raggiungiamo la zona d’ombra più intensa del film, quella fatta dagli intrecci più fitti e che portano lo spettatore a munirsi di taccuino e fungere da investigatori della situazione.
Arrivati al momento apice della narrazione, l’attenzione inizia a scemare. Personaggi, situazioni e svolte diventano fin troppo prevedibili, rovinando, inevitabilmente, l’effetto sorpresa sul finale.
Il ritmo si fa altalenante, passando da scene cariche di adrenalina a momenti in cui la pressione si abbassa totalmente, arrivando a toccare il punto di massima decompressione con un lunghissimo flusso di parole di J.K. Simmons che rivela importanti informazioni sul protagonista.
Un passaggio fin troppo verboso e che si sarebbe potuto risolvere con un paio di scene aggiunte, per far scoprire in modo differente le verità sul protagonista, e che viene subito dopo seguito da una scena ad altissima azione che fa sobbalzare dalla sedia, unicamente per il sonoro dei colpi di pistola.
Perfino sul finale The Accountant non riesce a frenare questa battuta di arresto, inserendo un momento di intimità del tutto privo di senso in quella determinata scena. Sicuramente il paradosso vuole essere al centro della scena, ma in questo caso viene decisamente abusato.
Questo quadro più action va a discapito di quelle line story interiori, le quali vogliono essere risolte sul finale, facendolo affievolire e diventando superficiali. Viene da dire che la colpa è sempre delle mamme, tornando nuovamente a Batman, ma il perché lo capirete vedendo il film.
The Accountant si trasforma, strada facendo, nel solito crime story che sacrifica la sua parte più interessante e thriller per lunghissime e tedianti scene fatte di combattimenti, colpi di pistola alla John Wick. A questo punto della narrazione il caro “Forest Gump” dei numeri lascia il posto per un Terminator ancora più spietato contro i propri nemici.
Non è certo un mistero che a Gavin O’Connor piacciano le pellicole con moltissima azione e un buon numero di pugni, ma un maggiore equilibrio alla storia non avrebbe guastato, soprattutto quando si ha per le mani un bel personaggio, scritto e interpretato, come quello di Chris Wolff.
The Accountant è un film sulla diversità, sui limiti ma soprattutto sul sapere affrontare i propri difetti e gestirli a proprio modo. Inutile provare a definire il concetto di normalità, nel nostro essere differenti siamo tutti normali, ognuno con delle particolarità proprie. Purtroppo la tematica, in questo caso, viene sacrificata per un po’ di azione in più, non riuscendo a convincere del tutto e portando al cinema un prodotto che di diverso o particolare, rispetto ai molti film del genere usciti negli ultimi anni, non ha nulla.
The Accountant sarà nelle sale cinematografiche italiane dal 27 Ottobre.