Le orche femmina, in un dato momento, entrano in menopausa e per il resto della vita si concentrano sullo sfruttare e condividere l’esperienza e la saggezza accumulata negli anni al fine di garantire la sopravvivenza del gruppo in cui vivono, specialmente nelle situazioni di necessità; potremmo definirle come degli oracoli del loro mondo.
Darren Croft, ricercatore dell’Università di Exeter nel Regno Unito, descrive lo studio a cui ha preso parte come il primo che dimostri in che modo le orche femmina in menopausa, vista la loro incapacità di procreare nel futuro a venire, svolgano essenzialmente il ruolo di depositarie di informazioni fondamentali per la sopravvivenza.
Allo stesso modo i risultati ci aiutano a comprendere perché le orche femmina vivano anche oltre 90 anni (nonostante smettano di riprodursi intorno ai 40) mentre gli esemplari maschi raramente superano i 50 anni di età.
Le uniche altre due specie conosciute che vivono così a lungo senza generare prole sono i globicefali e, naturalmente, l’uomo.
Maschi e Femmine
Croft e i suoi colleghi hanno visionato più di 750 ore di filmati di gruppi familiari di orche, per un totale di 100 esemplari distintamente riconoscibili, che erano state monitorati nelle acque del Pacifico, al largo delle coste dello stato americano di Washington e della provincia canadese della Columbia Britannica, a partire dal 1976.
Il team ha così stabilito come le orche in menopausa fossero a capo del branco il 32% più spesso rispetto a quelle in età fertile ed il 57% più spesso di quanto non lo fossero degli esemplari maschi.
Queste percentuali si sono rivelate poi ancora più alte nelle annate in cui l’alimento che costituisce il fondamento della loro dieta, la carne del Salmone Reale, era scarsamente reperibile.
“È molto probabile che ciò sia dovuto all’esperienza accumulata, chiunque vada a pesca di trote e salmoni migratori potrà confermare come il tempismo sia fondamentale, poiché i pesci si ripresentano in determinati luoghi solo in certi momenti dell’anno ed in specifiche condizioni di marea.
Le orche in menopausa sanno muoversi con sicurezza, sapendo quando e dove cercare.”
Alcune ricerche condotte in precedenza dallo stesso team avevano messo in rilievo come i maschi siano estremamente dipendenti dalle loro madri per sopravvivere: i figli maschi orfani morivano, entro un anno, con un’incidenza 14 volte maggiore rispetto agli esemplari la cui madre era ancora viva. Le femmine, tuttavia, presentavano una mortalità (a parità di condizioni) solo 5,4 volte maggiore, stando a significare che non solo le orche femmina sono maggiormente in grado di provvedere alla sopravvivenza del branco, ma sono anche più capaci di badare a loro stesse.
Allo stesso modo, i giovani maschi tendono a restare più vicini alle loro madri, seguendole a breve distanza il 29% più spesso di quanto non facciano le piccole femmine.
Questo significa che le madri non sono importanti in quanto tali (altrimenti avremmo dati equiparabili tra figli maschi e femmine), ma che si tratta di una virtù legata al genere, una superiore capacità di sopravvivenza che garantisce l’incolumità dei figli piuttosto che delle figlie.
La Famiglia e Nonna Orca
Secondo Croft “sacrificare la capacità di procreare per poter assistere gli altri membri ha senso dal punto di vista evolutivo, visto la differente struttura familiare delle orche, simile a quella umana, rispetto alle altre specie conosciute”.
Le orche restano all’interno del gruppo familiare per tutta la vita, con l’unica eccezione di temporanei scambi da parte dei maschi a scopo riproduttivo, che però poi tornano a stare con la propria famiglia, insieme alle femmine. Pertanto è realmente nell’interesse delle orche vivere a lungo e procreare per i primi 30 o 40 anni di vita, potendo così mantenere numeroso il branco e stabile il patrimonio genetico familiare.
“Esiste un vero e proprio punto di non ritorno, a partire dal quale smettono di riprodursi e si dedicano alle cure della discendenza, proprio come se fossero delle nonne”.
Tutti gli elementi sono quindi a sostegno di questa sorta di “ipotesi della nonna” secondo cui, similmente a quanto è avvenuto già dai tempi delle comunità di raccoglitori e cacciatori umani, le orche (come le donne) si sono evolute in modo da sopravvivere oltre l’arrivo della menopausa, con lo scopo di trasmettere la loro saggezza e i loro trucchi di sopravvivenza (in particolare riguardo il reperimento del cibo), senza il peso di eventuali figli piccoli a cui stare attente.
L’evoluzione culturale delle orche
Ruth Mace, dell’University College di Londra, ribadisce come ci siano ancora diversi elementi che non sono del tutto chiari, primo fra tutti la questione “maschi”.
Perché i maschi non imparano quello che c’è da sapere sul cibo (dove, quando e come trovarlo) per poi impartire, a loro volta, importanti lezioni agli altri membri della famiglia?
Sono ostacolati nel farlo per via del fatto che muoiono giovani oppure muoiono giovani proprio perché non possiedono una ragione evolutiva che permetta loro di aiutare il branco?
Un altro aspetto che gli studiosi delle orche di tutto il mondo stanno studiando è, infine, quello di una loro evoluzione culturale. Prima abbiamo sottolineato come le orche più anziane fungano da caposaldo dei gruppi familiari, piuttosto numerosi, affinché i membri non si disperdano e con essi il patrimonio genetico, questo perché il patrimonio genetico contiene informazioni che vanno al di là dei concetti di appartenenza e discendenza.
Esistono diverse sottopopolazioni di orche che si sono evolute con abitudini alimentari differenti, riconducibili a differenti modalità di caccia: alcune lo fanno in mare aperto, altre prediligono cacciare lungo la costa specie animali di altro tipo. Queste sottopopolazioni, composte quindi da gruppi di famiglie, hanno subito una pressione evoluzionistica e, potremmo dire, culturale in direzioni diverse e perciò è importante che i membri di un gruppo restino insieme tutta la vita, poiché la diversità in termini di abitudini e patrimonio genetico non gioverebbero alla loro sopravvivenza.