«Dio esiste ed è americano.» Così si pronunciava Milton Glass nel decadente mondo ideato da Alan Moore e disegnato da Dave Gibbons. Così si pronunciavano i grandi mezzi di informazione una volta presa coscienza dell’esistenza del Dr. Manhattan. O meglio, della venuta del Dr. Manhattan. L’unico Watchmen veramente dotato di poteri fuori dal normale, condannato da un incidente di laboratorio.
Perché questo è essere il Dr. Manhattan: una condanna. La condanna alla magnificenza, coscienza del Destino e della sua ineluttabile essenza, scolpita nelle trame del Tempo.
Panoramica
La silenziosa guardia degli Watchmen vide il suo inizio trent’anni or sono, nell’ormai distante 1986. Dall’innovativa penna dello scrittore britannico Alan Moore sgorgò lo spartiacque che segnò un solco per il classico filone supereroistico, portando la dimensione del supereroe a discendere nei piani più oscuri e melmosi della sua figura, a scontrarsi concretamente, per la prima volta, con la propria personalità.
E questo viaggio nelle profondità troverà ancor più risalto nelle taglienti e sanguinose tavole di Dave Gibbons, che allontanandosi dalla tradizione fumettistica passata, realizzerà delle illustrazioni dall’incredibile e preciso taglio cinematografico.
Il contesto socio-politico sul quale ruota questo mondo contorto e malato è quello della Guerra Fredda. Le due superpotenze mondiali rappresentate dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Sovietica vivono una fase di intensa e febbrile contrapposizione, giocata sulla staticità apparente e sulla minaccia di uno scontro diretto alle porte.
Questa sensazione di uno stallo che potrebbe sfociare presto nell’annientamento atomico fa sprofondare l’intero pianeta in una nevrosi collettiva, che trascina tutti quanti sul reale campo di battaglia, ovvero quello della psiche umana.
Da questo contesto non si scostano, ma anzi partecipano come elementi attivi ed incarnanti quella tensione stessa, gli Watchmen, la seconda generazione di vigilanti che ha raccolto il gravoso compito dagli originali Minutemen. Ognuno dei personaggi disegnati e caratterizzati dal duo Moore-Gibbons vive (e subisce) quella realtà interpretandola come trasposizione della propria caratteristica interiorità.
Gli eventi della saga prendono l’avvio con la morte di Edward Blake, alias il Comico, del cui spietato e freddo cinismo verremo a conoscenza tramite i vari flashback sparsi nei dodici albi. Ed il primo a sospettare dell’ambiguità dell’omicidio di Blake è Rorschach, Walter Kovacs, l’estremamente violento e sociopatico vigilante che all’interno di questo schizzato teatro dei burattini è l’unico, paradossalmente, a mantenere il più lucido e freddo sguardo sulla realtà dei fatti.
Da qui, le fragili fondamenta di un mondo inquinato e marcio iniziano a cedere, facendo precipitare la narrazione in un vortice convulso e sempre più oscuro, sul quale sfondo la minaccia della guerra atomica incombe opprimente.
In tutto questo, il Dottor Manhattan ha rappresentato per decenni il peso della bilancia. Se è vero che gli eventi narrati in Watchmen si discostano dalla nostra realtà per molti eventi minori e secondari, l’elemento chiave dell’allontanamento dell’universo dei vigilanti dal nostro è riconoscibile nella figura del Dottore. Vera e propria arma indistruttibile e padrona della materia, ha fatto pendere quella bilancia a favore degli Stati Uniti per molti anni.
L’inizio
Tutto incomincia nell’agosto del 1959, quando Jon Osterman, fisico nucleare in un laboratorio del New Jersey, si ritrova chiuso all’interno di una cella blindata per esperimenti subatomici. Tra le mani regge un orologio da polso, riparato con l’abilità appresa in giovane età dal padre, orologiaio, e motivo per il quale era tornato all’interno della cella. Pochi attimi dopo, il Jon che conoscono tutti non esiste più.
Delle porzioni di scheletro, sistema nervoso e poi apparato muscolare vengono avvistati aggirarsi all’interno della struttura governativa nei giorni successivi l’incidente.
Alcuni mesi più tardi, nel novembre dello stesso anno, nel laboratorio sorge il Dr. Manhattan, essere indistruttibile ed immutabile, lì dove Osterman si era perso nelle trame della materia. Proprio in quel momento, nell’istante dell’apparizione del Superuomo dalla pelle blu, la stessa struttura del Tempo si sfalda in tutta la sua relatività.
Nel laboratorio sorge il Dr. Manhattan, essere indistruttibile ed immutabile, lì dove Osterman si era perso nelle trame della materia.
Nella cella con Jon vi era l’orologio, che segnava gli ultimi istanti di concretezza di quella creatura: entrata umana e sottoposta alla severità dello scorrere, uscita elevata al di là dell’esprimibile ed interpretabile.
Quell’orologio racchiude causa ed essenza del Dr. Manhattan stesso, il cui Destino era uno ed uno soltanto, inevitabile e predeterminato. Quegli ingranaggi rappresentano la chiave di volta del personaggio, che corre inconsapevole verso quel fatidico attimo che cambierà la sua vita terrena. E nell’istante in cui si scoprirà Dr. Manhattan, figura per la quale il suo esistere era tale da sempre, il cercare di riconoscere il prima ed il dopo la trasformazione perde di ogni minimo significato.
Analisi psicologica
Abbiamo detto come l’opera di Moore sposti l’attenzione della narrazione dalla mera componente supereroistica al piano interiore e psicologico di ogni individuo. Si cerca di sviscerare l’animo umano degli attori sulla scena, scavando nel loro passato e nelle loro storie e cavandone fuori quegli elementi che hanno reso gli Watchmen quello che sono ora. Si tenta di comprendere come la loro volubile e fragile natura di esseri umani sia plasmata e plasmi il mondo che gli ruota attorno.
Così scopriamo della terribile infanzia di Rorschach, costretto a vivere nell’ombra di una madre prostituta e noncurante del figlio; ci viene narrato delle orrende azioni del Comico, tra stupri ed omicidi a sangue freddo; di Spettro di Seta (II), spinta a prendere il costume mascherato dall’ambigua madre (Spettro di Seta I); si parla di Gufo Notturno (II), elemento dalla spiccata intraprendenza e conoscenze tecnologiche; c’è spazio anche per Ozymandias, autoproclamatosi uomo più intelligente del pianeta e scienziato di una brillantezza unica.
Tutti questi approfondimenti sulle vite e sull’aspetto interiore dei personaggi, sono necessari per meglio riuscire ad inquadrare e, appunto, comprendere quelle che sono le azioni e le decisioni con le quali i protagonisti della saga vanno a rapportarsi con la dimensione che li circonda.
Questa metodologia di comprensione, però, risulta inutilizzabile per analizzare la figura del Dr. Manhattan.
Nel progredire della sua piuttosto anonima storia come Osterman, arriva il già citato incidente e tutto si incrina, varia irrimediabilmente. Se per gli altri protagonisti si può delineare un quadro psicologico che aiuta nella comprensione degli stessi, per il Doc la cosa non è possibile. Perché il dottor Manhattan non ha più una personalità, intesa come codice comportamentale umano, alla quale ricondursi. Non vi sono più dei comportamenti analizzabili attraverso un’interpretazione freudiana della psiche umana. Perché il Dr. Manhattan ha smesso, in quell’agosto del 1959, di essere un umano, per divenire qualcosa che pone le proprie radici in un piano superiore rispetto alla dimensione mortale.
Se siamo desiderosi di strutturare un giudizio dell’incredibile figura del Superuomo, dobbiamo vedere la realtà tramite i suoi occhi: è una realtà che poggia su di un livello subatomico, fatta di interazioni a livello particellare, dove il Tempo è una struttura in cui passato, presente e futuro si fondono e si intersecano in modo sincronico, dove il senso intrinseco della materia non è altro se non il fatto stesso della sua esistenza. Il tutto esiste, è un dato di fatto. Le interazioni umane ed il loro senso, in quanto astratte, non esistono e quindi sfuggono alla comprensione del Dr. Manhattan.
Bisogna però sottolineare come la trasformazione di Jon nell’indistruttibile forma del Dottore non abbia compromesso la sua capacità di provare delle emozioni. L’allontanamento del personaggio da quella che è la sfera emotiva in favore di un sempre più crescente “nichilismo delle emozioni” è indice della sua trovata dimensione divina. Elevato ad una posizione di dominatore e padrone della materia, tutto ciò che non è governato da precise e puntuali ragioni fisiche è impossibile da carpire per un essere che pone la sua esistenza nella logica meccanicista del cosmo.
Il Dr. Manhattan non si trova nella posizione di non poter provare empatia verso gli altri individui, semplicemente è una capacità che, risultando illogica alla sua visione delle cose, non riesce a sfruttare con il mondo che vive intorno a lui.
Il tipo di indifferenza cui è vittima il vigilante blu è del tutto lontana da quella manifestata da altri personaggi della saga, come Blake o Kovacs.
All’interno della serie viene più volte portata alla luce la natura estremamente cinica del Comico, personaggio del quale ci giungono frammenti filtrati attraverso la memoria degli altri protagonisti. In un passo dell’ottavo albo il Dottore lo ricorda cosi: «Blake è diverso. Lui ha capito alla perfezione.. e non gliene importa niente».
Questo è un passaggio chiave per mettere in luce la distinzione che intercorre tra il tipo di emotività che differenzia i due: Blake è tanto violento quanto lucido, e la sua visione del mondo, considerato come una grottesca e ridente parodia nella quale gli uomini sono marionette da tenere in riga, lo conduce ad allontanarsi, volutamente, da qualsivoglia tipologia di empatia nei confronti del prossimo.
Il Dr. Manhattan no, non decide di sua spontanea volontà di raffreddare il suo animo interiore, di percepire come eco lontane le persone che lo circondano. Egli non è più in grado di capire quali dinamiche conducano le persone ad amare, a soffrire, ad essere felici o tristi e quindi, ribadendo la sua ancor viva capacità di provare delle emozioni, non può applicare il modello empatico alla sua realtà.
Vorrebbe, e tenta disperatamente di farlo, ma la sua nuova natura glielo impedisce.
Altrettanto severo e marcato è il confine che allontana il Dr. Manhattan da Walter Kovacs. Di quest’ultimo abbiamo già accennato di una infanzia fatta di violenza, abusi e di un ambiente all’interno del quale un bambino non potrebbe che crescere deviato dall’oscurità del mondo. Quindi Rorschach non è altro se non la proiezione adulta e matura di quel bambino, temprato nel marcio e nell’orrore. Egli ha perso fiducia nell’umanità, così profondamente corrotta ed assuefatta dal vizio, e finisce per considerarla solo come una patina malata da grattar via.
Nel primo albo, dopo aver appreso la notizia della morte del Comico, Rorschach decide di avvertire i suoi ex compagni per metterli in guardia su di un possibile “assassino di maschere“. Nel momento in cui giunge nella base militare Rockefeller per parlare con il Dr. Manhattan, ottiene da lui questa risposta: «Un corpo vivo e un corpo morto contengono lo stesso numero di particelle. Strutturalmente, non c’è una differenza apprezzabile. Vita e morte sono astrazioni non quantificabili. Perché dovrebbe interessarmi?».
E’ l’ennesima (prima in ordine cronologico) dimostrazione di come il vecchio Jon Osterman stia lentamente dissolvendosi del tutto, se qualche traccia ne era ancora rimasta. Ed a farne le spese, nel corso della saga, saranno in particolar modo le compagne del Dottore, Janey Slater prima e Laurie Juspeczyk (Spettro di Seta II) poi, che subiranno la lenta e graduale perdita emotiva da parte del Superuomo, sempre più attratto e slanciato nei suoi profondi e complessi studi fisici.
Il Destino
D’altronde il destino del Dr. Manhattan era inciso nelle remote trame del cosmo, segnato ed inevitabile. Come Jon Osterman sta già vivendo e procedendo verso quella realtà che lo attende, ma solamente tramite la consacrazione nei panni dell'(super)uomo blu può finalmente vedere ciò che lo aspetta, ciò che lo ha sempre aspettato ed aspetterà per il resto del Tempo.
Non ci si può sottrarre ad un qualcosa già deciso, da catene così robuste ed inviolabili. Questo fattore contribuirà in modo sostanziale al suo processo di alienazione. La possibilità di percepire e vedere gli avvenimenti e le azioni future, già predeterminate e scritte, crea un abisso nel suo animo, che lo porterà a non abbandonare mai la consapevolezza dell’inesistenza del libero arbitrio.
E la tensione dell’immobilità segnerà ancora più profondamente un confine nella natura dualistica del Dottore, tesa tra la predominante figura divina e la flebile ed inutilizzabile figura emotiva.
Il Dr. Manhattan si ritrova, quindi, a vivere in uno stallo esistenziale. Non può decidere più nulla che non sia già stato deciso o scegliere di compiere un movimento che non fosse già stato registrato nei meandri della realtà. Ed è proprio da questa straziante e soffocante consapevolezza che compie il balzo definitivo che gli permette di abbandonare e lasciare indietro l’ultima parvenza di umanità che lo bloccava in una dimensione non sua.
La visione dell’eternità lo condanna all’impassibilità come Uomo, ma eleva, tramite esercizio ascetico, ad un Dio.
Manhattan si slega definitivamente dai vincoli del senso e del non-senso, trovando l‘essenza nell’essere stesso, dove unico punto focale diviene l’esistenza della realtà e delle sue innumerevoli e plasmabili forme.
Nella sua ultima apparizione nella serie a fumetti si possono rintracciare dei riferimenti che rendono piuttosto chiara la dimensione di creatura divina che oramai ha raggiunto la sua figura: camminando sull’acqua, rivolgendosi ad Adrian Veidt, afferma che probabilmente si recherà a creare vita nel cosmo.
Tutto iniziò quando il padre di Jon decise che lui non avrebbe dovuto seguire le sue orme, di orologiaio. Tutto si è chiuso con il Dr. Manhattan divenuto, infine, l’Orologiaio.
Forse il mondo non viene creato. Forse niente viene creato. Semplicemente c’è, c’è stato, ci sarà sempre. Un orologio senza orologiaio.
- Dottor Manhattan (Wikipedia.org)
- Watchmen (Wikipedia.org)
- Consiglio una lettura qui.
- Foto tratte dal film Watchmen di Zack Snyder (2009) e dal fumetto.
Postato originariamente il 12 settembre 2016 sul Menterrante.