Chiunque sia passato per le strade di Bologna lo scorso weekend se li è trovati davanti: muri ricoperti da uno strato di vernice fresca, là dove fino a poche ore prima c’erano le opere dello street artist italiano Blu. Ma anche per le strade virtuali dei social media non si è parlato d’altro per tutto il weekend; vediamo di fare un attimo il punto della situazione.
Siamo arrivati ormai alla data fatidica del 18 marzo, giorno d’apertura della mostra intitolata Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano a Palazzo Pepoli, promossa da Genus Bonomiae e con il sostegno della Fondazione Carisbo.
La mostra si incentra attorno agli artisti che negli ultimi trenta anni sono emersi tra il folto popolo della street art, con un occhio particolare a quelli che hanno lasciato un segno -grafico – nella città Felsina. Gli organizzatori della mostra hanno voluto proporre un passo ulteriore; parte del progetto prevede di “salvare” dalla demolizione alcuni murales, con lo scopo di conservarli poi in sede museale.
È proprio qui che la polemica è nata.
Perché molti, tra cui gli artisti stessi, Blu in primis, hanno voluto leggere un motivo ulteriore o ultimo al proposito della mostra: ovvero di far diventare un murales di street art un’opera fruibile ad un pubblico ristretto, ancor peggio ad un pubblico pagante; quando il concetto base della street art è di essere visibile a tutti gratuitamente, di rivalutare un dato luogo per strapparlo al degrado e al grigiore e di esistere per rappresentare lo spirito della gente e di un quartiere o una città.
È in questo clima che Blu ha deciso di coprire i murales che ha dipinto a Bologna negli ultimi vent’anni, forse non a caso di grigio, e di affidare un comunicato al vetriolo al collettivo Wu Ming, che ha già fatto il giro del mondo. Parte della polemica si accentra attorno ai poteri che reggono Genus Bonomiae, nella fattispecie nella persona di Fabio Roversi-Monaco, presidente di Genus Bonomiae e passato rettore dell’università di Bologna.
Il comunicato recita:
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. (…)
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui. Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città.
Tantissime le persone che si sono schierate con l’artista, ma non sono mancate anche le polemiche sulla polemica. Blu non è nuovo a misure così estreme: a dicembre 2014 aveva deciso di coprire i graffiti di Berlino di Kreuzberg, adducendo come causa la gentrificazione e la “fighettizzazione” del quartiere che li ospitava. Se da un lato come abbiamo già detto è sacrosanto che si cerchi di mantenere un’opera pubblica nel vero senso della parola, è giusto anche chiedersi chi è l’artista per decidere quale genere di persone, o nel caso di Berlino, quale classe possa godere di un’opera d’arte?
In un mare di consenso per le azioni di Blu non tutti lo vedono come un paladino della giustizia, c’è chi lo accusa di eccessivo candore e giudica questa sua decisione unilaterale di distruggere i suoi graffiti come sterile intransigenza.
Non solo, si apre anche il dibattito sulla paternità di un graffito: la street art impone solitamente che gli artisti rimangano di fatto anonimi, se non altro perché nella grande maggioranza dei casi, cioè quando un murales non viene commissionato dalla città stessa, è di fatto un’azione illegale e abusiva; ed è comunque sempre considerata un regalo alla comunità.
Un altro quesito importante riguarda la vita stessa delle opere di street art: il fatto stesso che qualcuno voglia impedire che un graffito venga demolito con la struttura che lo ospita (senza contare che quel qualcuno potrebbe monetizzare sul salvataggio di tale opera), è per molti un’idea che stride con il concetto stesso di arte di strada: molti artisti sanno che le loro opere hanno un’esistenza fulgida e fugace e vedono anzi la demolizione dell’opera come parte dell’esistenza del loro murales.
In questo altalenarsi di polemiche ci sono altrettante contraddizioni: da una parte Bologna nel tentativo di “salvare” le sue opere d’arte è riuscita a perderle tutte; dall’altra parte Blu per mantenere intatta la sua purezza ha perso quasi tutto quello che aveva creato a Bologna e le uniche opere superstiti sono quelle proprio in mostra a Palazzo Pepoli.
In questa battaglia senza veri perdenti e vincitori chi ci ha perso sono sicuramente i bolognesi e Bologna che
in una grigia mattinata di marzo si è svegliata più grigia e più brutta di prima.
- Wu Ming (comunicato di Blu)
- Street Art. Banksy & Co. (sito ufficiale della mostra)
- bologna.repubblica.it