La storia dei videogiochi si è sempre articolata su rivalità più o meno marcate tra le diverse console lanciate sul mercato. Da queste rivalità alla fine di ogni generazione c’è chi esce vincitore e chi sconfitto, osserviamo in questa retrospettiva cosa è andato storto per i perdenti più illustri.
In principio fu Atari. Fondata nel 1972 da Nolan Bushnell e Ted Dabney, si può dire che la società statunitense sia stata la prima vera scintilla di quella che noi oggi conosciamo come una delle più fiorenti e ricche industrie della tecnologia: i videogiochi.
Probabilmente per i lettori più giovani il nome Atari rappresenta infatti solo un qualcosa di un’altra epoca, un bel logo per t-shirt e felpe da nerd piacioni. Ma c’è stato un tempo in cui tutti i ragazzi del mondo sbavavano al sol pensiero di possedere una Atari 2600. Non mi dilungherò moltissimo su questo punto che rappresenta l’incipit di una grande storia, una storia che lega a doppio filo intere industrie con il gradimento di critica e giocatori, un filo che può segnare il successo illimitato o il fallimento di una società e dei suoi prodotti.
Correva l’anno 1982 e il modo migliore per vendere a giovani e meno giovani un videogioco, viste le povere capacità tecniche degli stessi all’epoca, era quello di realizzare tie-in dei più celebri cartoni animati, fumetti oppure film in voga.
Atari, forte di una crescita come raramente se ne registravano in quella giovane industria, aveva tra le mani i diritti per la realizzazione di un videogioco su E.T. L’extraterrestre (di Steven Spielberg) che potenzialmente si sarebbe potuto rivelare una vera e propria gallina dalle uova d’oro. Non fosse per il fatto che il gioco si meritò il titolo di peggior videogioco mai realizzato, ritenuto incomprensibilmente difficile sia da critica che da pubblico.
La leggenda delle cassette di E.T. sepolte nel deserto ha per anni alimentato la curiosità degli appassionati, rappresentando la sepoltura stessa di Atari che in quel momento vedeva l’inizio del proprio declino. Se voleste approfondire questa storia e i risvolti ad essa legati, vi consiglio il documentario Atari: Game Over che si può trovare su Netflix e che offre un quadro completo di questi eventi.
Ma facciamo un salto in avanti nel tempo ed analizziamo velocemente quella che è stata fino a metà degli anni novanta una vera e propria guerra senza esclusione di colpi, quella tra due colossi chiamati Nintendo e Sega, quella da cui nasce il termine stesso Console Wars, anche titolo del libro in cui Blake Harris analizza questo fenomeno che ha coinvolto le due società Giapponesi dall’inizio alla fine.
Sempre per la serie “consigli per gli acquisti” non posso non consigliare questo testo che ho trovato davvero illuminante e che aiuta a comprendere anche molti dei meccanismi economici dietro all’industria video-ludica. In Italia il libro è edito da Multiplayer Edizioni.
La mia analisi verterà, dunque, principalmente su queste due grandi case per quelle che sono andate alla storia come terza e quarta generazione di console, ma ci sarà spazio per parlare anche di qualche outsider annoverabile tra i perdenti, e (in alcuni casi) anche tra i grandi dimenticati della storia video-ludica, più o meno meritatamente.
Sega, invece, era una traballante compagnia di giochi arcade con grandi aspirazioni che avrebbero iniziato a concretizzarsi con l’arrivo di Tom Kalinske, ex dirigente Mattel. Con un anno di ritardo rispetto all’uscita dello storico Famicom (Nintendo Entertainment System per l’occidente) anche Sega decise di entrare nel mercato delle console a 8-bit con il suo Master System.
Colui che fu il primo vero perdente di una console war, non tanto per enormi carenze di potenziale rispetto al concorrente, quanto per mancate strategie di marketing, problemi ad interfacciarsi tra divisione Giapponese ed Americana, ma più di ogni altra cosa per l’assenza di una killer application, di una mascotte.
Quella mascotte che invece Nintendo aveva, che trainava le vendite come un carro armato e che ancora oggi noi tutti conosciamo e continuiamo ad apprezzare, l’idraulico italiano di nome Super Mario, partorito dalla geniale mente di Shigeru Miyamoto. Mario era infatti una vera e propria macchina da guerra, capace di far vendere milioni di console e non sarebbe sbagliato dire che è a lui che Nintendo deve la sua fama. Complici del successo delle piattaforme made in Kyoto sarebbero stati poi tanti altri fortissimi brand ancora oggi attivi e subito riconoscibili, alcuni collegati al macrouniverso di Mario come Donkey Kong, Yoshi, Kirby, e altri non meno noti come The Legend of Zelda.
Se il Master System rappresenta la sconfitta di Sega contro lo strapotere di Nintendo in quella che chiamiamo terza generazione di console (o era 8-bit) è doveroso annoverare anche gli altri giocatori usciti sconfitti da questo tavolo. Atari con il suo 7800 e con la sua disastrosa console portatile Lynx, il Commodore C64 Game System e l’Amstrad GX4000 e il TurboGrafx-16 (o PC Engine) che riscosse però non poco successo in Giappone.
Reduci dunque da una cocente sconfitta, i vertici di Sega decisero di anticipare i tempi e rilasciarono, nel 1989, il Mega Drive (anche conosciuto come Genesis) con il quale venne inaugurata ufficialmente la generazione a 16-bit.
Sega aveva finalmente trovato la sua dimensione, il Mega Drive fu un vero successo in termini di vendite e riscontro di critica e giocatori. Molto più performante del NES, iniziò a guadagnarsi il favore di molti sviluppatori terze parti, ma soprattutto poté contare su una sua mascotte che rivaleggiasse con il temibile Mario: Sonic the Hedgehog.
Il porcospino blu fu letteralmente un successo, e la cosa più interessante è che la sua caratteristica principale (ovvero la possibilità di correre a velocità elevatissime) aveva come scopo iniziale quello di mostrare i muscoli del Mega Drive, di palesare quanto le capacità di calcolo della console fossero superiori rispetto alla “lentezza” di Nintendo.
Sempre nel 1989 però Nintendo presentò al mondo qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la concezione stessa del videogiocare: il Game Boy.
Se sul terreno delle console casalinghe Sega aveva conquistato i salotti di tantissime case nel mondo, con il Game Boy Nintendo aveva reinventato il concetto di console da gioco portatile. Il Game Boy permetteva di giocare in mobilità a tutti i brand più amati di Nintendo, da Super Mario a Donkey Kong, oltre che a conversioni di alcuni tra i titoli terze parti più in voga come Mortal Kombat, e nel corso degli anni ’90 il suo parco titoli si arricchì con nuove pietre miliari tra cui, per citarne una, i giochi Pokémon.
Bisognava però correre ai ripari anche sul fronte casalingo perchè il Mega Drive di Sega iniziava a spaventare non poco i vertici di Nintendo. Fu così che nel 1991 vide la luce il Super Famicom (o Super Nintendo Entertainment System) che riusciva a contrastare in modo più che efficiente il Mega Drive dando vita ad uno scontro virtuoso che vide una anomala situazione di sostanziale pareggio per la generazione 16-bit, in quanto se Sega poteva contare sulla forza di Sonic e delle conversioni dei propri titoli arcade, Nintendo aveva ancora dalla sua la forza di Mario e di fortissimi brand come Final Fantasy di Squaresoft.
Non proprio. Purtroppo a regalarci nuovi perdenti fu di nuovo Sega, con il suo fallimentare GameGear che nel 1991 venne rilasciato con l’ambizione di sfidare a viso aperto il Game Boy, ma fallì clamorosamente nel suo intento andando alla storia come la console Sega con il peggior gioco di Sonic mai realizzato. Come se non bastasse sempre nel 1991 vedeva la luce una delle periferiche più fallimentari dell’industria video-ludica: il Sega Mega CD.
Sviluppato congiuntamente da Sega e JVC, aggiungeva alla console la capacità di riprodurre CD audio e caricare giochi da CD. Nelle intenzioni della casa nipponica era stato sviluppato per competere col PC Engine, che era dotato di un CD-ROM esterno, ma a conti fatti non venne per niente supportato da sviluppatori e utenza, causando soltanto ingenti perdite economiche alla sfortunata Sega.
Mentre Sega continuava la sua incessante battaglia con Nintendo, la quarta generazione di console (o era 16-bit) vedeva anche due outsider che sono da considerare a conti fatti i veri grossi perdenti di quell’epoca: il Neo Geo di SNK e il CD-i di Philips.
Il Neo Geo di SNK ebbe in realtà un discreto successo all’epoca, ma rappresentò una scintilla destinata ad estinguersi presto. Nata nel 1989 come scheda arcade poteva già contare su titoli apprezzatissimi quali Nam-1975, Magician Lord, Top Player’s Golf e Baseball Stars Professional. Nel 1990 venne rilasciata ufficialmente la versione console ad un prezzo non troppo popolare (599$) e senza la conversione di tutti i titoli apprezzati della controparte arcade. Nonostante dunque enormi potenzialità tecniche, il Neo Geo è al momento rimasta solo nel cuore di alcuni nostalgici, diventando una delle console più rare da reperire in ambito collezionistico (così come le sue cartucce, introvabili).
Il CD-i di Philips invece non ha attenuanti, era un fallimento sotto ogni punto di vista in termini video-ludici. Questo perché a conti fatti si trattava di un lettore multimediale pensato anche (ma non primariamente) per il gaming. Commercializzato nel 1991 a 400$, era in grado di leggere dischi in formato CD-i, CD audio, CD+G, CD Karaoke e Video CD.
In un primo momento furono resi disponibili videogiochi a quiz cui il mercato rispose in maniera fortemente negativa, e a nulla servirono gli ulteriori tentativi per una console che nonostante avesse sulla carta buone potenzialità tecniche, proponeva software di gioco già superati dalla diretta concorrenza da almeno un decennio.
Rilasciata più precisamente nel 1994 in Giappone, e l’anno successivo in Occidente, la prima PlayStation di Sony avrebbe cambiato per sempre l’assetto dei giocatori al tavolo della console war. Forse alcuni di voi già sapranno della controversa origine di questa ormai leggendaria console: in origine Sony avrebbe dovuto collaborare con Nintendo per la realizzazione di un chip sonoro e un lettore per CD-ROM (che non videro mai la luce in via ufficiale) per il Super Nintendo. In seguito però a incomprensioni sorte sulla questione con il coinvolgimento a sorpresa di Philips, Sony decise di tagliare i ponti con Nintendo e grazie all’intuizione e alla visione di Ken Kutaragi si fondarono i presupposti per la nascita di PlayStation.
Non intendo però parlarne oltre, anche perchè questo articolo vuole dare spazio ai perdenti e PlayStation decisamente non è da annoverare in questa categoria. Se siete curiosi però di approfondire nascita ed evoluzione di un brand che ad oggi si è imposto come sinonimo stesso di videogioco, vi consiglio la visione del Punto Doc realizzato dai colleghi di Multiplayer.it che analizza nel dettaglio proprio questa storia.
- [Punto Doc] PlayStation: la potenza da non sottovalutare (multiplayer.it)
Probabilmente dalla foto sopra si intuisce già a chi mi riferisca quando parlo di due grandi flop, ma distaccandoci ancora una volta dalla bollente sfida Nintendo vs Sega voglio dare spazio ad altri tre grandi sconfitti della quinta generazione: il Jaguar di Atari, il 3DO di Panasonic e il CD32 di Amiga Commodore.
Presentata nel 1993 come una potente piattaforma di nuova generazione, l’Atari Jaguar è stata spesso erroneamente definita come il primo sistema a 64 bit, cosa che a conti fatti non era.
Era sì, effettivamente, molto più potente di tutti i sistemi allora in commercio, ma si dimostrò un gigantesco flop, decretando definitivamente il ritiro dal mercato console da parte di Atari (un morto che camminava ormai da più di un decennio, come detto all’inizio dell’articolo). Anche questa console è oggi diventata oggetto di un culto collezionistico e, in un certo senso, anche di affetto da parte dei più nostalgici.
Il 3DO Interactive Multiplayer di Panasonic invece è una console presentata nel 1993 e realizzata a fine dello stesso anno in collaborazione con GoldStar, Sanyo e Creative Technology. La console era prodotta da diverse società licenziatarie da 3DO Company, fondata da Trip Hawkins dopo aver abbandonato Electronic Arts. La ricordiamo come uno dei maggiori flop commerciali della storia del videogioco perché nonostante la sua incredibile potenza (per l’epoca) i suoi creatori la fecero distribuire alle terze parti.
Questo diede vita a numerosi cloni della stessa console diversi fra loro. Inoltre il 3DO era stato progettato come una console d’élite e il suo prezzo oscillava tra i 599-699$ (fattore che ha spinto la maggior parte dei giocatori ad orientarsi su console meno potenti ma con prezzi più economici).
Anche i giochi non erano esaltanti e all’altezza della macchina e, forse per coprire ciò, vennero inserite frequenti mini-scene stile film sgradite al pubblico. Dopo non pochi tentativi di rilanciare il 3DO, la società dichiarò fallimento nel 2003 rappresentando, dopo la sfortunata vicenda di Atari, la potenza del giudizio del pubblico dei videogiocatori.
Anche noto come Commodore Amiga CD32, questa console fu presentata al Museo della Scienza di Londra del 1993 ed ottenne un discreto successo commerciale nel suo primo periodo di vita. Successo non sufficiente ad evitare, nel 1994, il fallimento di Commodore International, che navigava in cattive acque già da tempo.
Si trattava di una console con ottime potenzialità tecniche, decisamente al passo coi tempi e che, se non fosse stato per la disastrosa situazione dello stesso producer, avrebbe potuto tranquillamente andare alla storia come uno dei protagonisti indiscussi dell’era 32-bit.
Ma cosa stavano progettando, dunque, Sega e Nintendo in quegli anni?
Partiamo con Sega che nel 1994 in Giappone e l’anno successivo in occidente, lanciava sul mercato il suo Saturn, nuova console ammiraglia a 32-bit che mandava in pensione il glorioso Mega Drive.
L’esigenza primaria di Sega era quella di non rimanere indietro ora che il mercato aveva eletto il CD-ROM come nuovo supporto principe del gaming, e dopo aver accantonato progetti come il Sega 32X e il Mega CD (risultati dispendiosi, difficili da programmare e soprattutto da distribuire) la società iniziò a lavorare al Saturn.
Come già detto sopra però, nessuno aveva idea di dover fare i conti con un nuovo temibile rivale chiamato PlayStation, le cui alte caratteristiche tecniche, una volta rese pubbliche, fecero impallidire un po’ tutti. La macchina di Sony prometteva la miglior grafica 3D ottenibile per l’epoca, questo spinse Sega a riprogettare la sua console, per fornirla di un’architettura 3D al livello della concorrenza. Vennero proposte due idee: una dalla filiale statunitense, che propose una nuova console a singolo processore in collaborazione con Silicon Graphics, l’altra dalla casa madre giapponese, basata su due processori paralleli in grado di ricreare la potenza di calcolo di PlayStation.
Venne scelta l’idea del doppio processore, tecnologia già sperimentata con il Mega CD e veloce da produrre, in modo da poter giocare in anticipo contro Sony per il lancio sul mercato.
Purtroppo quell’idea finì col creare molti problemi agli sviluppatori terze parti, che si ritrovarono a dover gestire due processori in modo tanto complesso da spingere molti ad utilizzarne uno solo, dimezzando ovviamente le prestazioni della macchina e riportandola allo stato di ibrido 2D-3D iniziale.
I kit di sviluppo Sega inoltre erano in un linguaggio più arduo rispetto a quelli di Sony. Fu così che, al lancio nipponico, la console poté contare su di un parco titoli ristrettissimo, che vedeva in Virtua Fighter l’unica, reale attrattiva che riuscì a garantire buone vendite e a tenere il Saturn in testa alle classifiche per 6 mesi di fila, a discapito della stessa PlayStation, arrivata con una settimana di ritardo.
Sega aveva bisogno di giochi per vendere il Saturn, e doveva ingegnarsi internamente perché gli sviluppatori terze parti non erano granché di aiuto. Nacque così il controverso progetto Sonic X-Treme, mai completato a causa di numerosissime problematiche interne.
Non si salvò la situazione nemmeno con l’ottimo Nights: Into Dreams ne con la raccolta Sonic Jam. I software per Saturn erano pochi, e molti generi erano scarsamente supportati, come il jrpg, che aveva visto un ritorno agli albori grazie alla collaborazione tra Squaresoft e Sony per i nuovi Final Fantasy.
Il Saturn fu ufficialmente abbandonato il 10 agosto 1998, dopo che Sega aveva perso quasi metà della dirigenza e ridotto la fetta di mercato nordamericano all’1%, contro l’oltre 50% dei tempi del glorioso Mega Drive. Un enorme flop per una console controversa, da molti amata e sicuramente incompresa al suo tempo, sulla cui vicenda però torneremo fra non molto, in occasione della conclusione del viaggio di Sega nella console war.
Intanto in quel di Kyoto…
Nintendo non ha certo dormito durante questo periodo di forte fermento, ed è andata alla storia nella quinta generazione di console per aver rilasciato due prodotti all’opposto tra loro per filosofia, entrambi usciti sconfitti contro lo strapotere conquistato da Sony con PlayStation nell’era 32-bit, ma di cui uno va considerato il più grande flop nella storia degli hardware di casa Nintendo: il Virtual Boy.
Questa console stereoscopica, uscita nel 1995, cercò di anticipare i tempi proponendo una sorta di realtà virtuale, per molto tempo chimera dell’industria oggi tornata in gran voga grazie ai vari visori (Oculus VR, HTC Vive, PlayStation VR) e che recentemente Palmer Luckey, creatore di Oculus, ha definito essere stato il più grande danno per questa industria. Il Virtual Boy infatti proiettava negli occhi del giocatore le immagini tridimensionali monocromatiche (rosse su sfondo nero) dei giochi, usando una singola linea di 224 led che faceva scorrere orizzontalmente i fotogrammi, sincronizzata con le oscillazioni dello specchio per proiettare agli occhi immagini complete e stereoscopiche.
Se qualcuno di voi ha mai avuto la (s)fortuna di giocare per qualche minuto con il Virtual Boy capirà subito i motivi che hanno portato sia la critica dell’epoca, che i giocatori, a ritenerlo un capitolo da dimenticare.
Fortunatamente Nintendo non puntò tutto sul fallimentare progetto del Virtual Boy, e nel 1996 rilasciò ufficialmente la sua nuova console: il Nintendo 64. Successore ufficiale del Super Nintendo, prende il proprio nome dall’ambiziosa intuizione di Nintendo di voler proporre, nel momento in cui molte case optarono per il passaggio ai 32-bit, una console a 64-bit. Sulla carta, dunque, uno dei concorrenti potenzialmente più temibili per quella console war, perché dunque annoverarlo tra gli sconfitti? Il Nintendo 64 vendette molto soprattutto in Giappone, ed ebbe buon riscontro in tutto il mondo superando le 30 milioni di unità vendute. Ma nonostante i buoni risultati, non riuscì a spuntarla contro PlayStation, che stabilì un record assoluto vendendo oltre 100 milioni di unità.
La scelta di Nintendo di usare anche per questa console il sistema a cartucce, giustificata dal desiderio di scongiurare la pirateria, deluse molti fan e si rivelò infelice dal punto di vista commerciale. Se Sega aveva cambiato all’ultimo le carte in tavola con Saturn pur di rivaleggiare con PlayStation, Nintendo non capì il potenziale del CD-ROM e ne pagò le conseguenze. La macchina di Sony poteva riprodurre anche CD musicali oltre ai giochi, offrendo quindi un intrattenimento multimediale che colpì particolarmente i consumatori.
Inoltre il basso costo di produzione dei CD-ROM consentì a Sony di rimettere in vendita i giochi non più di punta a prezzi ridottissimi, cosa che invece Nintendo non poteva fare a causa dell’alto prezzo di fabbricazione delle cartucce. Sarebbe però ingeneroso indicare Nintendo 64 come un vero e proprio perdente, su questa piattaforma sono infatti usciti molti dei titoli più innovativi e apprezzati di sempre, tra cui Super Mario 64, GoldenEye 007, The Legend of Zelda: Ocarina of Time e Majora’s Mask.
Un millennio finisce, e un altro inizia, dando il via alla sesta generazione
Sesta generazione in cui indiscutibilmente, anche i più giovani tra i lettori, potranno con facilità identificare a caratteri cubitali il nome di un grande vincitore: PlayStation 2.
Il monolite di casa Sony è la console più venduta della storia dei videogiochi, con oltre 150 milioni di unità piazzate in tutto il mondo, motivo per cui non ci soffermeremo qui a parlarne ancora (vi rimando per ulteriori info a riguardo al Punto Doc di Multiplayer.it sulla storia di PlayStation che trovate sopra). Nella battaglia della sesta generazione in molti validi ed illustri combattenti perirono sotto i colpi di PlayStation 2, scopriamo chi sono.
Sega Dreamcast
Anno 1999, Sega inaugura la sesta generazione di console con il suo spettacolare Dreamcast a 128-bit. Sviluppato con un’architettura molto differente rispetto alla complessità del Saturn, il Dreamcast proponeva di essere più versatile nella programmazione soprattutto per gli sviluppatori di terze parti, e a questo fine Sega incluse nella console anche un supporto per le librerie grafiche DirectX ed un sistema operativo Windows CE, sviluppato da Microsoft. La console vantava un notevole comparto tecnico, rispetto a ciò che ci si sarebbe potuto aspettare alla fine del secolo: il processore centrale era il doppio più potente di quello del Nintendo 64 e sempre rispetto a quest’ultimo montava una RAM di circa 6 volte e mezzo superiore. Il chip grafico del Dreamcast era in grado di elaborare la creazione volumetrica di ombre e sorgenti di luce a colori, anti-aliasing della scena, e texture mapping con correzione prospettica.
Vantava inoltre un sistema H.S.R (Hidden Surface Removal) grazie alla quale venivano renderizzati solo i poligoni realmente visibili su schermo, mentre le altre console applicavano il rendering e gli effetti su tutta le scena, comprese parti che, nascoste da altri oggetti su schermo, non saranno mai visibili.
Sega adottò inoltre per il Dreamcast il GD-ROM (Giga Disc), che offriva una memoria dati fino a 1.2 Gb, supporto proprietario nettamente superiore al CD-ROM. Seguendo quanto detto finora viene spontaneo chiedersi: cos’è andato storto? Se Sega era riuscita prima di chiunque altro a confezionare un hardware tanto performante ed innovativo, perché mai il mondo ricorda la sesta generazione come quella di PlayStation 2? Il Dreamcast venne lanciato in Giappone a fine 1998, e un anno dopo in America (al prezzo di $199.99) oltre che in Europa con qualche mese di ritardo.
In Giappone inizialmente faticò a vendere, mentre negli USA ottenne un ottimo successo con circa 300.000 preordini e 500.000 unità vendute in due settimane. Con un milione di unità vendute in due mesi, Dreamcast superò il record detenuto dalla prima PlayStation. Purtroppo però, il 31 gennaio 2001, Sega annunciò che la produzione del Dreamcast sarebbe terminata a marzo.
La console continuò a riscuotere un buon successo commerciale, che trovò il proprio limite a causa delle gravi perdite finanziarie subite da Sega, a causa del Saturn sul quale investì buona parte del proprio capitale, e che non potevano essere risanate durante il periodo di dura concorrenza con Sony. Come anticipato prima, dunque, si può dire che l’insuccesso del Saturn abbia trascinato nella tomba Dreamcast, una console che tecnicamente era di gran lunga la migliore e più performante della sua generazione e che ha regalato a tutti i giocatori alcuni dei migliori videogiochi mai realizzati nella storia, come Soul Calibur, Sonic Adventure, Power Stone, Skies of Arcadia e Shenmue (I e II).
Nintendo GameCube
Se sull’ambito portatile Nintendo continuava a dominare il mercato con le successive versioni del Game Boy (ovvero il Game Boy Color, rilasciato nella quinta generazione di console e il Game Boy Advance per questa sesta) in ambito casalingo gli hardware della grande N di Kyoto accusavano ormai da due generazioni qualche colpo, e i tempi del monopolio con il NES sembravano sempre più lontani. Presentato nel 2000 con nome in codice Dolphin, il GameCube di Nintendo venne commercializzato ufficialmente a partire dal 2001 e rappresenta, per tutti i fan delusi dall’assenza di un supporto ottico su N64, la macchina che avrebbe dovuto riportare alla ribalta Nintendo.
Forma a cubo (da cui il nome) e diversi colori, di cui i principali restano l’indaco e il nero, attirano da subito l’attenzione di molti anche per l’originalità del pad. GameCube utilizzava dischi ottici dal diametro di circa 8 cm con capacità di circa 1.5 Gb e mini dvd dual layer da circa 3 Gb di formato proprietario Panasonic. Questo da un lato era un fattore molto positivo che permetteva a Nintendo di superare l’arretratezza delle cartucce, adottando un supporto ottico non proprio agevole per la pirateria, d’altro canto rendeva la console potenzialmente inferiore rispetto alla diretta concorrenza di Sony che, con la possibilità di riprodurre CD audio e film in DVD, rendeva PlayStation 2 il lettore multimediale definitivo da salotto. Nonostante questi limiti però, GameCube era superiore per potenza grafica e di calcolo PlayStation 2, ma non riuscì a spuntarla contro il monolite che venne preferito dalla maggior parte dei giocatori e degli sviluppatori terze parti che in svariati casi hanno portato i propri titoli in ritardo su GameCube, talvolta non li hanno nemmeno convertiti.
Nintendo però ha piazzato un buon numero di cubi nelle case di tutto il mondo, forte di brand storici ed affermatissimi come Mario, Zelda, Pokémon ecc.. uscendo però ancora una volta a testa bassa tra gli sconfitti di una console war.
Microsoft Xbox
Forse ad alcuni sembrerà strano, ma Microsoft è entrata ufficialmente nell’arena della console war con la sua Xbox solo nel 2001 (negli USA) e nel 2002 nel resto del mondo. Se ricordate poco fa, parlando del Dreamcast di Sega, abbiamo citato la collaborazione che all’epoca i due colossi attuarono per quella meravigliosa, sfortunata console. Non è sbagliato dire che in parte anche dalle ceneri del Dreamcast è nata Xbox, che poteva vantare nel proprio parco titoli molte conversioni di titoli Dreamcast (tra cui Shenmue II) e capitoli inediti realizzati appositamente per Xbox di serie famose come Jet Set Radio.
Per restare in tema, anche questa console era tecnicamente più potente di PlayStation 2, tra le varie innovazioni che portò c’erano come già nel Dreamcast l’uso di DirectX (da cui ha origine anche il nome della console) e di un OS basato su Windows, ma soprattutto un hard disk interno che andava a sostituire le famose Memory Card o Memory Unit esterne e la possibilità di collegarsi ad Internet per sfruttare nuove funzionalità dei giochi tramite il sistema Xbox Live pensato da Microsoft, che getterà in parte le basi del gaming odierno.
Soprattutto nel suo ultimo periodo di vita Xbox vendette abbastanza (anche grazie alla diffusione di Xbox Live come servizio) ma non riuscì a concorrere faccia a faccia con la temibile macchina di Sony, pur avendo sulla carta le stesse potenzialità multimediali in quanto anche su Xbox era possibile riprodurre CD audio e film in DVD. Ciò che mancò fondamentalmente a Xbox fu il sostegno dei produttori terze parti, all’epoca ancora per lo più Giapponesi, che sviluppavano preferenzialmente per Sony e Nintendo.
Nonostante ciò questa console ha dato origine ad alcuni dei brand più forti e amati di Microsoft, tra cui Halo (sviluppato da Bungie) e Fable (dell’ora compianto Lionhead Studios) oltre ad aver posto le basi per un ingresso di prepotenza della casa di Redmond nel mercato console. Xbox è uno degli sconfitti, dunque, della sesta generazione, ma sicuramente non quello più disastroso se si considera anche il suo ruolo di new entry.
La settima generazione video-ludica
Siamo arrivati (quasi) ai giorni nostri, tempi di serrata console war in cui non è più così semplice decretare un vincitore e degli sconfitti. Questo per molteplici motivi, primo fra tutti la drastica riduzione degli attori del mercato: con Sega ormai fuori dai giochi, e con essa anche molti altri nomi illustri precedentemente analizzati, osserviamo a partire dalla settima generazione di console fondamentalmente un trittico formato da Nintendo, Sony e Microsoft. Se ragioniamo in termini meramente numerici, la settima generazione ha visto senza ombra di dubbio il trionfo su tutti i fronti di Nintendo con Wii e Nintendo DS.
Il compianto Iwata ha letteralmente rivoluzionato del tutto il mondo dei videogiochi con Wii e Nintendo DS. La nuova console casalinga di Nintendo, pur avendo un hardware abbastanza arretrato e non supportando l’alta definizione, introduceva nuove meccaniche a noi tutti ormai ben note basate sul movimento fisico del giocatore, grazie al controller Wii Mote e alla barra sensore in dotazione con la console.
Un software più che elementare come Wii Sports diventava un campione di incassi, avvicinando per la prima volta ai videogames anche nuove fasce di pubblico. Wii era perfetta per i bambini come per gli adulti, per i core gamer come per le casalinghe e i nonni, rappresentava la soluzione definitiva di gioco da salotto con una forte inclinazione al party gaming. E con questa console Nintendo ha letteralmente distrutto in termini di vendite la concorrenza per la settima generazione, raggiungendo in soli due anni dal lancio del 2006 oltre 45 milioni di unità vendute in tutto il mondo.
Bisogna però considerare anche il rovescio della medaglia, la particolare gestione dei comandi e assenza di un controller “tradizionale”, unitamente alle limitate potenzialità tecniche della console, costarono a Nintendo un graduale abbandono da parte degli sviluppatori terze parti costretti, il più delle volte, a dover convertire al ribasso la loro versione del gioco per Wii. Ciò ha comportato l’assenza di alcuni tra i blockbuster che hanno caratterizzato il cuore della settima generazione, da Assassin’s Creed a Call of Duty, e le conseguenze di questo mancato supporto si sarebbero riverberate sulla generazione successiva (in modo analogo a quanto accadde con Saturn e Dreamcast).
Al pari di Wii, anche il Nintendo DS portava una ventata di aria fresca nel suo ambito. Con un doppio schermo, di cui uno touch screen, Nintendo ridisegnava ancora una volta il concetto di console portatile.
Nonostante le migliori potenzialità tecniche della PlayStation Portable (PSP) di Sony, che si ritagliò comunque una sostanziosa fetta di pubblico, il DS poteva sempre contare sugli ormai storici brand Nintendo quali Mario e Pokémon che ne hanno assicurato una vittoria clamorosa. Possiamo dunque indicare come uno dei perdenti per questa settima generazione la PSP che si attesta pur sempre con un ottimo numero di unità piazzate, tra le varie versioni, di circa 80 milioni contro i 154 milioni di Nintendo DS.
Nintendo ha trionfato quanto a vendite ponendosi da outsider, chi l’ha spuntata invece tra Sony e Microsoft?
Siamo di fronte ad una incredibile situazione di sostanziale pareggio. Microsoft ha infatti venduto 85.02 milioni di unità della sua Xbox 360, contro gli 85.83 milioni di PlayStation 3 di Sony. La settima generazione ha visto una battaglia tra i due colossi, giocata a fasi alterne di vittoria e sconfitta sia per l’una che per l’altra fazione, fermo restando che tutte e due hanno subito il peso delle oltre 100 milioni di Wii piazzate da Nintendo.
Microsoft decise di giocare d’anticipo e rilasciò la sua Xbox 360 nel 2005, inaugurando di fatto la settima generazione. Sicuramente la miglior console mai realizzata da Redmond, è da subito diventata il punto di riferimento di moltissimi giocatori per l’allora next gen.
La nuova console Microsoft introduceva il supporto all’alta definizione, con un hardware di nuova generazione estremamente performante per l’epoca, realizzato in collaborazione con IBM, ATI Technologies e Samsung, oltre ad un software facilmente utilizzabile da parte degli sviluppatori (motivo per cui per molti anni i giochi terze parti giravano sempre meglio su Xbox 360 di quanto non facessero su PlayStation 3). Inoltre Microsoft migliorò incredibilmente il servizio Xbox Live inaugurato con la prima Xbox, permettendo ai giochi su console di implementare sempre più spesso funzionalità di gioco online, componente oggi essenziale per la stragrande maggioranza delle produzioni tripla A.
Sony arrivò leggermente in ritardo con la sua PlayStation 3, rilasciata in Giappone e USA nel 2006 e in Europa solo nel 2007, con un prezzo di lancio entrato negli annali. Molto più alto di quello della rivale Xbox 360, era dovuto all’implementazione da parte di Sony di un nuovo supporto ottico, il Blu-Ray Disc (mentre Xbox 360 era dotata di DVD Dual Layer). Questi fattori, uniti ad una struttura hardware molto potente ma estremamente difficile da programmare, resero i primi anni di vita di PlayStation 3 molto duri da affrontare con un rivale che conquistava sempre più terreno accaparrandosi anche il favore di software house terze parti storicamente legate al colosso giapponese (quali Square-Enix e Bandai Namco).
Fino al 2010, infatti, Xbox 360 si confermava nettamente in vantaggio su PlayStation 3 e poteva contare, oltre che su tutte le produzioni terze parti, anche su esclusive first party di enorme importanza, da Halo 3 alla serie Gears of War, senza dimenticare chicche anche in ambito jrpg quali Blue Dragon e Lost Odissey. Inizialmente persino titoli del calibro di Bioshock e Mass Effect erano esclusive Xbox 360, convertiti solo in seguito anche per la console Sony. Per contrastare lo strapotere della Wii di Nintendo però, entrambe le case corsero ai ripari con soluzioni più o meno efficaci. Nello specifico Microsoft investì molto sul progetto Kinect, rivelatosi inadatto a combattere a viso aperto con la semplicità di Wii e costato sia in termini economici che di consensi, fin troppo.
Sony rispose con i suoi PS Move collegabili ad una nuova versione della EyeCamera, un progetto decisamente meno dispendioso del Kinect che ebbe in proporzione un buon riscontro dagli utenti. Ma mentre Kinect monopolizzava quasi le produzioni software di Xbox 360, PlayStation 3 recuperava inesorabilmente terreno grazie a produzioni del calibro di Uncharted e The Last of Us. Complici poi anche nuove versioni Slim meno costose di PlayStation 3 e la lenta ascesa del Blu-Ray come supporto principe anche per i film in alta definizione, la guerra tra Sony e Microsoft per la settima generazione andò pian piano attestandosi in quella sostanziale situazione di pareggio di cui parlavamo sopra.
Ed eccoci giunti, finalmente, ai giorni nostri con l’ottava generazione
Sebbene è inutile negare che questa generazione ha visto il grande ritorno di Sony alla guida del mercato con la sua PlayStation 4, sarebbe prematuro nonché ingeneroso tirare le somme di una console war che, a conti fatti, può ancora essere stravolta. E se ancora una volta a stravolgerla fosse Nintendo?
Una certezza tra coloro che andranno alla storia come gli sconfitti dell’ottava generazione infatti è sicuramente Wii U, tant’è che è ormai noto un nuovo progetto in cantiere (nome in codice Nintendo NX) che dovrebbe essere presentato ufficialmente nel corso del 2016, probabilmente all’E3 di Los Angeles. Wii U è stata la vittima del successo di Wii oltre che di errate strategie da parte di Nintendo.
Per stupido che possa sembrare, il primo errore sta nel nome: se infatti Wii ha rappresentato un termine così diffuso da essere ritenuto dagli utenti meno avvezzi al mercato video-ludico una cosa a parte da Nintendo, il naturale problema di chiamare una console in modo così simile è che la gente le confonda, o peggio ancora ne confonda i giochi.
I problemi che hanno decretato un prematuro addio a questa console (che pure conta nel suo parco titoli giochi di altissimo livello quali Mario 3D World, Bayonetta 2 e Xenoblade Chronicles X) sono anche altri. Già prima ho anticipato, parlando di Wii, come questa abbia indirettamente causato problemi a Wii U a causa della perdita di supporto degli sviluppatori terze parti che in pochi mesi hanno completamente abbandonato anche Wii U (e parliamo di colossi quali Activision, Ubisoft ed Electronic Arts) per il medesimo motivo: la console è nata con un hardware decisamente poco performante per la sua epoca.
Pur avendo giocato in anticipo rispetto alla concorrenza, uscendo sul mercato nel 2012, Wii U si attestava come capacità tecniche più o meno al livello di Xbox 360 e PlayStation 3. Sarebbe bastato però un solo anno a Microsoft e Sony per presentare al mondo Xbox One e PlayStation 4, console con caratteristiche hardware molto simili ad un PC da gioco di fascia medio-alta per il 2013. Wii U ha quindi tirato avanti fino ad oggi basandosi sulle sole forze dei titoli first party e piazzando un totale di appena 12 milioni di unità, contro gli attualmente stimati 20 milioni di Xbox One e 36 milioni di PlayStation 4. Attualmente tutti si chiedono cosa tirerà fuori dal cilindro Nintendo per salvarsi da questa situazione, e per scoprirlo non ci resta che aspettare il fatidico momento in cui verrà presentato al mondo NX.
Dobbiamo spostarci in ambito portable, dove Nintendo ha ancora il primato in ambito console messo però a dura prova dalla potenza di fuoco dei nuovi smartphone e tablet, sempre più utilizzati per giocare in mobilità. Dopo l’enorme successo di Nintendo DS, la naturale evoluzione è stata il Nintendo 3DS (stessa filosofia del suo predecessore, ma implementazione di un 3D stereoscopico nello schermo superiore) che ha da subito conquistato i cuori di milioni di giocatori nel mondo e ha contribuito a tenere a galla Nintendo in questi difficili anni per Wii U. Ma l’avversario diretto sul terreno delle console portatili ha una storia ed un nome: PlayStation Vita.
PlayStation Vita venne svelata ufficialmente alla stampa videoludica a Tokyo il 27 gennaio del 2011 come successore della PSP, ed ha inizialmente catalizzato l’attenzione di molti per le sue enormi potenzialità tecniche (di nuovo superiori alla controparte Nintendo) e per la possibilità di riprodurre, oltre ai giochi, filmati, musica, immagini, di navigare sul web e altre caratteristiche innovative. Furono commercializzati due modelli, uno solo Wi-Fi e l’altro con anche un modulo di connessione 3G.
Sebbene su PlayStation Vita siano usciti molti titoli degni di nota, quali Gravity Rush (da poco rimasterizzato per PS4) o lo spin-off della serie Uncharted (Golden Abyss), ancora una volta il peso delle produzioni Nintendo ha sconfitto le ottime capacità della portatile Sony. Dopo il primo anno di vita le vendite occidentali erano talmente deludenti da non spingere le software house a localizzare le proprie produzioni nipponiche, per la maggior parte visual novel (molto apprezzate in Giappone, dove la console ha comunque venduto abbastanza) e PlayStation Vita si è ritrovata a conti fatti ad essere poco più di un costoso ferma carte tecnologico.
Enorme flop è stato anche PlayStation TV, una rivisitazione della console portatile collegabile alle TV tramite HDMI, la cui produzione è stata ufficialmente interrotta proprio questo mese da parte di Sony. Una storia fallimentare fin da subito, che ha visto forse la sconfitta più cocente (per ora) all’interno dell’ottava generazione.
Questo lungo viaggio attraverso le varie ere video-ludiche per analizzare le storie dei perdenti si conclude qui, ma quanti altri perdenti ci riserverà il futuro?
- Atari: Game Over, di Zak Penn
- Console Wars, di Blake J. Harris
- La storia di Nintendo 1980-1981, di Florent Gorges e Isao Yamazaki
- La storia di Nintendo 1983-2003. Famicon/Nintendo Entertainment System, di Florent Gorges e Isao Yamazaki
- La storia di Nintendo 1889-1980. Dalla carta da gioco ai game & watch, di Florent Gorges e Isao Yamazaki