Non esistono due parole più dannose di “bel lavoro”. Così la pensa quel tuo insegnante di musica. Quello che ha fama di genio, ma anche di bastardo totale. Quello che non è mai soddisfatto. Quello che prima ti accarezza e poi ti lancia contro una sedia. Quello che ti fa credere di essere a un passo dall’eccellenza e poi ti spedisce a suon di urla e insulti fuori dalla porta, fuori dalla sua band, dalla sua classe, dalla sua scuola. Perché vuole trasformare il tuo talento in qualcosa che rasenta il puro genio. E se non ci riesce, è colpa tua che sei un imbecille.
Benvenuto in Whiplash, opera cinematografica sul dramma di un giovane batterista che ha sorpreso e colpito (mai parola è stata più azzeccata) milioni di spettatori in tutto il mondo, partendo dal Sundance Festival per arrivare alla notte degli Oscar, dove ha ballato a suon di jazz a fianco di concorrenti più blasonati e si è portato a casa tre statuette strameritate.
Questa è la storia di una ragazzo non ancora trentenne, Damien Chazelle, che ha messo piede due volte al Sundance Film Festival. Prima nel 2013, poi nel 2014.
Prima con un cortometraggio, poi con un lungometraggio.
A 28 anni ha girato un corto su un batterista e il suo severo, quasi sadico insegnante.
A 29 anni, ha girato un film su quei due personaggi e ha vinto 3 Oscar.
Poteva scrivere un libro, ha deciso di fare un film. Manco a dirlo, la sua vicenda è fortemente autobiografica. La passione che trasuda da ogni fotogramma non mente.
Chazelle è cresciuto a Princeton, figlio di insegnanti, e si è fatto strada col coltello tra i denti e un po’ di talento nella altamente competitiva Princeton High School Band.
Ha avuto un insegnante inflessibile, insensibile, impossibile. Ha fatto pratica a testa bassa sulla sua batteria per ore isolandosi dal mondo. Ha dato pugni ai tamburi per la frustrazione. Sa benissimo cosa significa mettere in scena lo stato mentale di una giovane promessa della musica torturata psicologicamente e messa alla prova in modo estremo.
La sua carriera musicale si è interrotta per un’altra forma d’arte, quella del cinema e della scrittura. Chazelle ha diretto cortometraggi prima di laurearsi in cinema e ha venduto un paio di sceneggiature di film che magari vi fanno suonare qualche campanella: l’horror The Last Exorcism – Liberaci dal male e il thriller Grand Piano (in Italia Il Ricatto), con Elijah “Frodo” Wood, non a caso, nei panni di un pianista famoso avviluppato in una trama ad alto tasso di tensione e adrenalina.
Ha quindi fatto la sua gavetta prima di mettere nero su bianco la storia di una parte importante della sua esistenza, di sicuro la più sofferta: Whiplash è la traduzione in immagini di esperienze di vita vissuta e questo, qualunque sia il giudizio dello spettatore, è un valore aggiunto che regala potenza e credibilità al racconto, che non cala mai di intensità e tensione per tutta la sua durata.
Se il Sgt. Hartman insegna musica
Come descrivere questo film a chi non lo ha visto? Facciamo un passo indietro e pensiamo, tu e io, di avere l’idea di base e di doverla spiegare ad un produttore.
“Pensa a Full Metal Jacket ambientato in una scuola di musica“, gli diremmo quasi sicuramente. Al che il produttore ci guarderebbe abbastanza preoccupato e ci manderebbe a casa con una risata.
Già, perché da buon artista con i piedi per terra, quando il regista Jason Reitman (figlio del grande Ivan) ha letto lo script di Chazelle e se ne è innamorato, sapeva bene che questo sarebbe stato un ostacolo, più che un motivo per portare gli spettatori in sala. “Perché diamine dovrei andare a vedere dei musicisti che vengono strapazzati? Almeno i marine servono alla sicurezza nazionale, giusto che siano messi in riga in modo brutale! Ma un musicista, why?”
Dunque, ha convinto il giovane Damien a girare prima un cortometraggio. Alla fine, quei 18 minuti gli hanno fatto brillare gli occhi. Il talento del ragazzo era cristallino, la forza della storia, raccontata come un thriller psicologico + film di sport + una fottuta seduta dallo psichiatra, pure. Pronti, via: si va al Sundance, si porta a casa il premio del pubblico e il premio della giuria.
Prova generale superata a pieni voti, ecco i soldi per il lungometraggio della Bold Films (quelli di Nightcrawler con Jake Gyllenhaal): 3 bei milioni di dollaroni più spiccioli per il tuo film indie-ma-congrandipossibilità.
Capitolo cast: J.K. Simmons, sempre sia lodato, era già nel cortometraggio e non vedeva l’ora di riprendere ed espandere il ruolo del bastardissimo insegnante Terence Fletcher. Come protagonista, Chazelle ha inseguito e stalkerato la promessa Miles Teller (che vedremo come Reed Richards nei Fantastici 4 a breve) che la batteria l’aveva suonata solo per divertimento da ragazzino, e per il rock, mica per il fuckin‘ jazz. Così – dopo avergli strappato l’ok con la lettura dello script – Damien lo ha sequestrato, gli ha installato la sua batteria dei tempi della scuola nel seminterrato e gli ha fatto un corso accelerato e massacrante.
Missione riuscita: sullo schermo Teller appare credibile come batterista jazz, mica poco.
Con 19 giorni a disposizione per le riprese, Chazelle e la troupe hanno lavorato con ritmi folli per rimanere dentro al budget e lasciare gli attori liberi per gli impegni successivi già contrattualizzati. Leggenda o realtà, pare che il regista abbia subito lo stesso incidente d’auto che a un certo punto vediamo occorrere al protagonista (non è uno spoiler che vi rovina qualcosa, tranquilli: anzi, non siete più curiosi adesso?). La mattina dopo, nonostante il trauma, Damien lo stoico era di nuovo su set.
E non è tutto: gli scontri che si trasferiscono dal piano emotivo e psicologico al piano fisico non avevano controfigure. E il buon vecchio J.K. Simmons, prima di ritirare l’agognata e meritatissima statuetta dorata, si è incrinato un paio di costole (ben gli sta, a quello stronzo di jazzista-torturatore di giovani allievi).
Ma la vera sfida, al di là dell’incredibile tour de force attoriale e artistico che ha coinvolto tutti i membri del cast e i tecnici, è stato il montaggio. Nessun film che parla di emozioni o imprese esistenziali riesce a “bucare” lo schermo senza un montaggio serrato, figuriamoci un’opera che mira a rendere l’atto del suonare musica particolare, come il jazz, simile a un incontro di lotta libera.
Entra in gioco dunque il montatore Tom Cross, adesso citabile con “premio Oscar” prima del nome, al quale Chazelle ha dato una direttiva secca e precisa come un pugno sul naso: “Pensa di lavorare su un action movie, non su un film drammatico”. Stop. Il risultato finale doveva essere qualcosa che – soprattutto per le sequenze musicali e lo showdown finale che sa di duello alla Sergio Leone – sembrasse diretto dallo stesso insegnante sadico Fletcher e visto con gli occhi del maniacale e testardo batterista Andrew.
Il jazz è una cosa seria (e complicata, direbbe Elio)
Questo approccio alla musica jazz e in generale allo sviluppo del talento può essere entusiasmante per gli spettatori di cinema (e per le giurie dei festival), forse un po’ meno per chi mastica musica da una vita e ha milioni di esperienze alle spalle. Certo, è “solo” un film che esaspera un tratto del vissuto e non va preso per oro colato, però una leggenda della batteria jazz & rock come Peter Erskine (del supergruppo Weather Report e poi musicista di millanta artisti) si è sentito in dovere di dire la sua, e di sottolineare un paio di concetti: primo, che si fa musica solo se si ama davvero la musica, altrimenti si affonda in brevissimo tempo e non ci sono allenamenti sovrumani che tengano; secondo, non c’è inflessibilità che tenga, un insegnante come Fletcher avrebbe una carriera molto breve e poco fruttuosa perché il terrore non porta risultati artistici negli ensemble musicali.
Ma, dicevo, Whiplash è un film e deve dare spettacolo: e lo spettacolo c’è. Si soffre, si rimane basiti, ci si immedesima e si fa la ola sulla poltrona.
Su Whiplash, dalla critica cinematografica, è stato detto di tutto, come nella miglior tradizione dei film che sanno rimanere nella storia. Capolavoro, bluff, film di destra, geniale, esagerato, scritto apposta per vincere premi, genuino ed emozionante. Una cosa è certa: è uno dei migliori film del 2014, nel senso che deve essere visto, metabolizzato e poi, magari, rivisto.
Perchè di Whiplash non ci si libera con una parola, una recensione, una visione: è una storia fatta di testardaggine e sangue, molto più del “Rocky-style” che alcuni gli appiccicano, diversa dalla storiellina del “se ti impegni avrai quello che vuoi”.
Un film che strazia, stupisce, lascia interdetti, disorienta, fa arrabbiare: alla fine ti lascia con un’autostrada di sentimenti lanciati a folle velocità, con uno storia che potrebbe essere appena iniziata, o forse conclusa per sempre. Non lo sappiamo, non possiamo saperlo, ma abbiamo assistito a un momento che – nei libri di storia – potrebbe essere definito epocale.
See you soon, Damien!
Così, Chazelle è diventato uno dei più giovani registi mai candidati agli Oscar. In compagnia di un paio di nomi interessanti, uno è stato John Singleton, ad appena 24 anni, l’altro un ventiseienne dicono abbastanza bravino, un certo Orson Welles.
Compagni di viaggio scomodi per il giovane regista, che si ritrova ad essere la “next big thing” del cinema indipendente e probabilmente un po’ sotto pressione in vista delle sue prossime mosse di carriera. Per fortuna, non ha un produttore cattivo quanto il “suo” maestro J.K. Simmons nel film.
Whiplash sarà disponibile in blu-ray e DVD a partire dal 10 giugno prossimo, potete preordinare su Amazon.it