Nella recensione di Pleasure vi parliamo di un altro dei titoli selezionati per far parte dell’edizione del Festival di Cannes che non c’è mai stata a causa di tutto quello che sappiamo, parte di un tornado che si è abbattuto su di noi e che non cenna, a dispetto di percezioni varie ed eventuali, a placarsi. Il nuovo palcoscenico per la sua premiere, il debutto alla regia della svedese Ninja Thyberg, l’ha trovato allora presso il Sundance Film Festival del 2021 (edizione online), per poi cominciare a collezionare premi in giro per l’Europa fino alla consacrazione avvenuta in patria dove ha fatto una scorpacciata dei maggiori riconoscimenti nazionali. La successiva distribuzione e le reazioni che ha suscitato sia tra il pubblico che tra varie personalità del mondo del porno (di cui si occupa) hanno lanciato la regista tra gli autori europei da tenere sott’occhio. Nel suo Paese probabilmente ora seconda solo dietro a Ruben Östlund, che ha il “piccolo” merito di essersi aggiudicato quest’anno la seconda Palma D’oro della sua carriera.
Al netto di qualche banalità in termini di esposizione delle tematiche e di ricostruzione del mondo a luci rosse targato USA, il film è di un’attualità incredibile e di una potenza nell’uso del mezzo cinematografico veramente importanti.
Bravissima la sua protagonista Sofia Kappell, posta al centro di una struttura classica, come quella della vicenda di un alieno che arriva su un pianeta Terra carico di promesse, ma dove è costretto a divenire il suo lato oscuro per riuscire a farsi strada (ribaltamento del Sogno Americano, in cui da prede bisogna diventare predatori), sulla quale il film riesce a costruire un impianto analitico della società contemporanea violento, risoluto e interessante.
Ancora un film che sceglie di parlare del porno in chiave di metafora dei tempi in cui viviamo, ma che riesce a ribaltare il senso stesso del linguaggio del mondo di cui si occupa, togliendo gradualmente l’oggettificazione di ciò che viene filmato. Non con le sequenze lontane dai vari set, ma proprio partendo dall’occhio della camera che registra ciò che avviene quando si va in scena, in grado di deformare la realtà al punto di capovolgerla e ispirare un senso di disagio anche nel più accanito voyeurista.
Pleasure è disponibile su MUBI dal 17 giugno 2022, dopo un brev(issimo) passaggio in sala in occasione del Biografilm Festival.
Una svedese annoiata dalla Svezia
Linnéa (Kappell) (in arte Bella Cherry) è una raggiante ragazza svedese di 19 anni di belle speranze, “una performer“, se doveste chiedere direttamente a lei, che ha deciso di migrare in America in cerca di fortuna perché annoiata dai sui compatrioti e perché… le piace fare sesso. Un profilo perfetto della next big thing nel mondo del porno, status che la giovane vuole raggiungere a tutti i costi, non sapendo però che dovrà costringere se stesse a scendere a compromessi con una realtà tossica, crudele e dominata da uomini che trovano in essa un contesto ideale per una violenza assolta da qualche modulo di consenso che fanno firmare alle attrici di turno.
Una violenza racchiusa in una camera, rappresentazione simbolica di una dissonanza cognitiva di cui si approfitta chi guarda ed è vittima chi è guardato.
Tra scene sempre più estreme e una vita in condivisione con coinquiline, che assume sempre più la forma di una confraternita modello college americano tutta al femminile, la ragazza intraprende un percorso che la costringerà a rivelare la parte più fredda e incurante di se stessa, avvelenandole l’anima e annullando l’innocenza con la quale è arrivata negli Stati Uniti. Incoraggiata anche dalla voce della madre (una scena molto significativa), ennesima altra importante metafora di quella violenta deformazione della realtà con cui deve misurarsi la protagonista.
Di fatto uno schema molto classico, che difetta di una didascalia, di una schematicità e di un’eccessiva esposizione, che in più non è aiutata dall’idea formale della sua regista, la quale si rifà al cinema indie americano e strizza l’occhio ad un estetismo refniano, soprattutto guardando a The Neon Demon, con cui in fin dei conti ha ben poco a che vedere, fuorché nella rappresentazione della sua protagonista.
In guerra tra due anime
Ciò che interessa sul serio alla Thyberg è quello che succede quando Bella va sul set.
Una situazione che vive di contrasti, in primis nel modo in cui vengono trattate le professioniste femminili nel mondo nordamericano, intrappolate in un ricatto maschile in cui vengono poste su di un piedistallo solamente quando vengono sfruttate. In questo caso il messaggio è ancora più potente perché la loro funzione viene ridotta al soddisfacimento dei desideri più bassi del maschio, sempre imponente, orripilante, violento, anche troglodita e preistorico.
In questo il film è straordinario, così come nella distruzione della base del linguaggio pornografico e nei mille modi in cui è in grado di filmare la nudità.
La Kappell mostra tanti lati di se stessa, trasformandosi ogni volta che viene ripresa, da quando è in casa a truccarsi insieme alla sua amica fino a quando si trasforma per andare in scena, passando al momento in cui è sul letto intenta a farsi selfie e video per il suo profilo Instragram. Testimonianza di un lavoro sul mezzo veramente molto interessante da parte della giovane regista, che nel suo flirtare con i vari usi della camera come rappresentazione di un mondo che chi sta dietro (o chi ha un pene, finto o vero che sia) vuole ricreare, dimostra il confine labile eppure abissale che c’è tra realtà e finzione. Anche con scene molto disturbanti e in grado di riportaci, improvvisamente, nel linguaggio cinematografico nord europeo.
Dove pecca Pleasure è probabilmente proprio nella storia, che nel suo progredire abbandona discorsi straordinariamente interessanti per dedicarsi ad uno scioglimento piuttosto telefonato e anche un po’ didascalico della sua protagonista. Un cammino che mortifica il potenziale di un film che ha veramente tanto da dire (e tanto dice, assolutamente) con una libertà e una consapevolezza invidiabili. Il debutto alla regia di un lungometraggio della Thyberg è comunque straconsigliato e, anzi, non vediamo l’ora di poterci gustare il proseguimento del suo lavoro. Con la speranza di poterlo ammirare sul grande schermo e non solo in piattaforma.
Pleasure è disponibile su MUBI dal 17 giugno 2022.
Pleasure è il debutto alla regia di un lungometraggio della regista svedese Ninja Thyberg, selezionato in concorso all'edizione di Cannes che non si è mai fatta e poi presentato al Sundance l'anno dopo. La pellicola con protagonista Sofia Kappell parla del dietro e del davanti le quinte del mondo del porno statunitense, appoggiando ad una struttura classica da lato oscuro del Sogno Americano un ragionamento complesso che intende analizzare la situazione violenta e parossistica a cui vanno incontro le donne nella società contemporanea. Una realtà in cui le donne si ritrovano spesso presa di una trappola che presuppone lo sfruttamento da parte del maschio per arrivare al successo e in cui l'uomo si sente sollevato da ogni responsabilità da delle regole frutto di un sistema da lui stesso ideato. Il tutto mostrando una padronanza del mezzo cinematografico invidiabile e giocando con un significato eccezionale della camera stessa. Peccato per la risoluzione, piuttosto schematica e didascalica, che mette da parte la parte più ampia del discorso e per un estetismo un po' troppo piatto. La pellicola non è per tutti, ma tutti la dovrebbero vedere.
- L'uso del mezzo cinematografico è di una consapevolezza e di una sapienza individiabili, specie per un debutto.
- La prova della protagonista, Sofia Kappell, è molto valida.
- Parlare del mondo del porno, capovolgendone il linguaggio.
- La capacità di giocare con il contrasto tra realtà e finzione.
- La rappresentazione della violenta condizione ricattatoria e parossistica in cui le figure professionali femminili incappano nel mondo capitalista nordamericano.
- L'originalità del film nel panorama contemporaneo, che solo per questo merita una visione.
- L'estetica a tratti indie americana banalizza un po' il timbro forte della regista.
- L'eccessiva schematicità nella risoluzione della storia rischia di mortificare un discorso più ampio molto interessante.
- Non si può vedere al cinema.
- Il film non è per tutti, ma da tutti dovrebbe essere visto.