Ci sono alcuni casi, seppur rari, in cui una serie di film è stata talmente deludente che si tende a considerare quello riuscito relativamente meglio come effettivamente bello o notevole. Questo è esattamente il caso di Wonder Woman, il quarto film del DC Extended Universe diretto da Patty Jenkins: dopo l’ampio bagaglio di delusioni accumulato in seguito a Man of Steel, Batman V Superman e Suicide Squad, il racconto delle origini supereroistiche di Diana Prince sembra una ventata d’aria fresca.
Scompaiono quindi le atmosfere cupe e fin troppo serie – che già iniziavano a essere più smorzate nel film di David Ayer – e spuntano i colori, accesi come non mai, accompagnati da battute e gag comiche che però funzionano a tratti, spesso troppo legnose.
Il cambio di rotta si nota, la volontà di dare non solo al film, ma all’intero progetto di universo condiviso, una propria identità anche. Ma c’è decisamente qualcosa che non funziona. Da qui il discorso iniziale: il fatto che questo sia il migliore dei quattro film finora usciti non lo rende automaticamente un bel film in sé, come molti pareri d’oltreoceano sembravano lasciar presagire.
Sicuramente può risultare godibile per uno spettatore senza alcuna pretesa e alcune scene d’azione sono interessanti, ma ancora non si raggiungono livelli d’intrattenimento soddisfacenti per tutti, anche per i più esigenti.
Nemmeno la sceneggiatura di Geoff Johns ha saputo conferire un ritmo regolare al film, risultando anzi uno dei suoi punti più deboli, con dialoghi molto spesso poco ispirati e battute infantili o, ahimè, a sfondo sessuale e malfatte, decisamente poco opportune se calate in quel preciso contesto, soprattutto in un film dove per due ore e mezza si cerca disperatamente di sottolineare il coraggio e l’indipendenza dell’eroina femminile.
Rispetto ai film precedenti Wonder Woman presenta una trama molto semplice e lineare, forse troppo, e una prima parte lenta e infarcita con spiegoni e personaggi caratterizzati fin troppo superficialmente, come l’Antiope interpretata da Robin Wright. Il personaggio in sé, infatti, è interessante, ma poco sviluppato e in generale viene dato spazio alle Amazzoni solo nei primi minuti del film, per poi non mostrarle più: questo non sarebbe un problema se nel finale non rimanessero delle domande importanti che potrebbero rimanere senza risposta.
Sostanzialmente le semplificazioni narrative sono parecchie, anche laddove sarebbe stato necessario qualche chiarimento in più. I personaggi comprimari, invece, sono forse quelli che funzionano di più – relativamente – anche se l’approfondimento psicologico è quasi nullo, ma di fatto viene giocato tutto sulla loro irresistibile presenza scenica e il potenziale comico che emanano.
Oltre a un buon Said Taghmaoui nel ruolo di Sameer, spicca il Charlie di Ewen Bremner, un cecchino tormentato dai costanti sensi di colpa, forse più magnetico per il fatto di avere il volto di Spud, il tossico bonario che Bremner aveva portato in scena con Trainspotting, che per il modo in cui è stato scritto.
Senza ombra di dubbio anche Chris Pine ha fatto un ottimo lavoro e il suo Steve Trevor è credibile e più caratterizzato rispetto ad altri personaggi, risultando così un’ottima controparte all’eroina del film, con cui condivide i valori fondamentali che la contraddistinguono, ma adattati ad un diverso contesto culturale.
Il discorso si fa più complesso se si cerca di analizzare il ruolo di David Thewlis: qui il Remus Lupin della saga cinematografica ha cercato di interpretare al meglio un personaggio vittima di una scrittura pigra e poco incisiva, incapace di rendergli giustizia.
Questo va ad inficiare non poco la fruizione del personaggio e il ruolo che svolge, senza contare il suo essere eccessivamente sopra le righe in più di un momento. Una nota più dolente è rappresentata dal comparto dei villain: ne sarebbe bastato uno solo, ma più carismatico, invece dei tre che vengono presentati secondo una struttura gerarchica elementare, da quello più insignificante a quello più pericoloso.
Nessuno di loro ha un reale carisma e anzi l’eccessiva potenza del villain con cui Wonder Woman si confronta negli ultimi dieci minuti fa pensare a quanto sia assurdo che non sia riuscita a sconfiggere Doomsday in Batman V Superman, che appare come estremamente più debole. Un’incongruenza, questa, nella continuità di un universo cinematografico nato da poco che non è da sottovalutare, a mio modesto parere.
Ma è giusto anche dare a Cesare quel che è di Cesare: sono due gli elementi che più funzionano nel film e che, probabilmente, risulteranno graditi a molti, tanto da aumentarne l’apprezzamento da parte del grande pubblico.
Uno è senza dubbio la protagonista interpretata da Gal Gadot: nonostante avessimo già visto questa nuova versione di Wonder Woman in azione, qui la conosciamo quando è meno consapevole delle proprie potenzialità, da giovane Amazzone ignara della propria reale identità.
Come in ogni film di origini che si rispetti, viene approfondita sì la parte supereoistica del personaggio ma, soprattutto, quella più umana. E Diana Prince è un personaggio ingenuo ma caparbio, coraggioso e curioso nei confronti di tutto ciò che non conosce.
La Gadot è riuscita a coniugare sapientemente la determinazione e la potenza di Wonder Woman alla semplicità di Diana, rendendo così al meglio un personaggio che era ancora, incredibilmente, orfano di una trasposizione cinematografica.
Certo, è forse troppo ostentata la volontà di realizzare un film che desse lustro ad un personaggio femminile, salvo poi renderlo oggetto delle sopracitate battute a sfondo sessuale che minano l’intenzione alla base.
Detto questo, sono rimasto piacevolmente sorpreso nel non ritrovarmi a paragonare Wonder Woman a Captain America: Il Primo Vendicatore come invece avrei pensato: è vero che le dinamiche dei due film possono sembrare simili, ma innanzitutto qui l’ambientazione è quella della Prima Guerra Mondiale e in secondo luogo la connessione tra il presente e il passato è in questo caso molto più labile e meno decisiva da u punto di vista narrativo, per non parlare dello svolgimento, che è molto diverso.
Il secondo motivo di vanto del film è il messaggio relativo alla guerra che vi sta alla base, non banalizzato e che intreccia spiegazioni ultraterrene ad altre che hanno a che fare con la natura umana pura e semplice.
L’orrore della guerra esplode improvvisamente, strappando lo spettatore da quel paradiso idilliaco dove il film era iniziato, con tanto di interessanti cambi di luce e atmosfera nella fotografia. La Jenkins, regista di quel Monster che valse l’Oscar per la migliore attrice protagonista ormai parecchi anni fa a Charlize Theron, ha cercato di veicolare tale messaggio antibellico in ogni sofferta inquadratura, eccedendo però negli slow motion, che alla lunga rendono pesante l’azione e non sempre risultano realmente funzionali al racconto visivo.
Da un punto di vista registico il film mantiene una certa coerenza fino all’ultima mezz’ora, dove le scene action diventano man mano più confuse e il montaggio inizia a cedere sotto al peso di situazioni diverse che tendono ad alternarsi in maniera meno chiara del previsto.
Anche gli effetti visivi scricchiolano nella resa in più di una scena, con sfondoni in certe brutture visive che non riescono a reggere il confronto con il comparto visivo della concorrente Marvel, la quale è un passo avanti alla Warner/DC anche in questo.
Se proprio vogliamo essere onesti, però, un’altro aspetto del film che ho trovato interessante è stata la fedeltà ai fumetti del personaggio: le origini di Wonder Woman sono raccontate tenendo conto di decenni di storie pubblicate e anche la trama contiene riferimenti che per gli appassionati sono delle vere e proprie chicche.
In buona sostanza ancora una volta si può notare la mancanza di programmaticità della grande major nei confronti di un progetto cinematografico commercialmente complesso, ma dalle enormi potenzialità.
È fin troppo evidente la differenza tra quest’ultima fatica del DC Extended Universe e i film precedenti, come se stessero sperimentando in corso d’opera ma senza rendersi conto che questo va a togliere l’olio dagli ingranaggi di una macchina che rischia di incepparsi da un momento all’altro.
Se si prende come esempio Suicide Squad si può notare come avessero cercato di mantenere una certa continuità sulla cupezza delle atmosfere, ma aggiungendo un tocco più personale. Il gradimento del pubblico non è stato generalmente molto alto nei confronti di quel film e senza alcuna ombra di dubbio è, almeno a livello tecnico, inferiore rispetto a quello della Jenkins e anche l’intrattenimento che offre è diverso, ma in quel senso l’ho forse preferito.
Wonder Woman è in grado di intrattenere, come ho già detto, ma sfrutta una schematicità che non osa in nulla, cercando di rifarsi più al modello dei film Marvel, e finisce con il fallire nel crearsi quell’identità propria di cui si parlava all’inizio dell’articolo, o meglio: una parvenza di identità la assume, ma la strada è ancora lunga e in salita.
Per concludere, non posso che ammettere quanto mi dispiaccia dover constatare di aver avuto ragione quando, tempo fa, dissi che la scelta di introdurre certi personaggi della Justice League in altre pellicole di questo universo cinematografico prima di avere una propria trasposizione dedicata non avrebbe pagato.
L’aver conosciuto, in maniera fin troppo risicata, il personaggio per com’era stato introdotto in Batman V Superman ci ha dato una visione di una Wonder Woman fin troppo diversa rispetto a quella che incontriamo qui. Il che potrebbe anche essere un pregio, non fosse che si crea un’esagerata discrepanza tra la forza che le vediamo utilizzare nel passato rispetto a quella che mostrava nell’altro film e il motivo è semplice: quella non era una pellicola dedicata a Wonder Woman, ma a Batman e a Superman, ergo non poteva risultare troppo potente rispetto a loro due.
Il problema sta proprio nel fatto che quello fosse il primo incontro tra il personaggio e il pubblico e pare quasi che, a confrontarli, siano due individui diversi, cosa che denota una mancanza di sincronizzazione tra i vari film del progetto, che ora è nelle mani proprio di Johns. Wonder Woman era infatti il banco di prova al cinema dello sceneggiatore di fumetti, sia per quanto riguarda la stesura della trama, che per quanto riguarda il suo ruolo di coordinatore: ora come ora si può rilevare sicuramente qualche miglioramento rispetto al passato, se si considera che Johns è subentrato in questa posizione di simil-Kevin Feige a pre-produzione iniziata, ma sono certo che potrebbe fare molto, ma molto di più.
Quindi, in defintiva, Wonder Woman è un film da sconsigliare? È una pellicola che presenta non pochi limiti e difetti, ma che tutto sommato può incontrare l’apprezzamento di molti.
Non il mio, non in toto, quantomeno, ma di molti altri sì. Intanto incrocio le dita per Justice League, sperando che il lavoro di post-produzione e le scene aggiuntive girate da Joss Whedon possano aggiungere valore al film. Ah sì, dimenticavo: finalmente hanno capito che un’intro decente e animata a tema DC all’inizio del film non avrebbe fatto altro che giovare alla confezione del prodotto. Come si dice, meglio tardi che mai.
Wonder Woman arriverà il 1 giugno nei cinema italiani.