Perché Amburgo? Diciamoci la verità, alcuni di voi andranno a vedere sulla cartina dove si trova questa città, non è molto famosa, eppure è una delle più grandi città della Germania, nonché una delle più ricche.
Io, quando decisi di partire, che Amburgo si trova molto a nord della Germania, quasi al confine con la Danimarca, lo avevo appena saputo.
Amburgo non l’ho scelta, è lei che mi ha scelto: Nel 2008 ero a Firenze cercando di raccogliere le energie necessarie e la voglia per continuare un percorso di studi in Scienze dei Servizi Giuridici all’Università degli Studi di Firenze, nel frattempo collaboravo con alcuni fotografi in qualità di assistente per matrimoni, cataloghi misti e vari, corse di cavalli ed eventi.
Come avrete capito io facevo legge ma volevo fare il fotografo, il solito cliché.
Mi chiamo Filippo e sono nato a Firenze nel 1984. Dall’inizio del 2010 vivo ad Amburgo, Germania. Attualmente lavoro come foto-ritoccatore.
La fotografia è una di quelle cose che bene o male ho sempre fatto e siccome a quei tempi cercavo di studiare legge e mi riusciva male pensai bene di dedicarmi a imparare un mestiere, quello del fotografo.
Ovviamente già maneggiavo rullini obiettivi e quant’altro, ma sapevo che da li a fare il fotografo la strada era lunga ed è per questo che volli iniziare a lavorare con i veri fotografi.
Inutile dire che in Italia, e soprattutto a Firenze, fare il fotografo (e anche l’assistente) è difficilissimo. I motivi sono molteplici ma il principale credo che si possa riassumere con il concetto secondo il quale il mestiere di fotografo non è percepito come un vero mestiere e che, soprattutto con l’avvento del digitale, la figura del fotografo professionista abbia perso molto rispetto.
Ho quindi iniziato la mia carriera di assistente fotografo in un clima in cui generalmente si crede che chi fa fotografia lo fa per la gioia del condividere la propria creatività con chiunque in cambio di riconoscenza e che tutta la qualità del prodotto di un fotografo risieda nella sua macchina fotografica, ennesimo tormentone: “belle le tue foto! Chissà che macchina costosa avrai!”.
Mi sono bastati un paio di anni per capire che se davvero volevo fare il fotografo dovevo cambiare qualcosa, anche perché non stavo guadagnando niente!
Vivevo ancora con i miei e il poco che guadagnavo era al nero ed era ridicolo, forse davvero non si può vivere facendo il fotografo in Italia.
Allora un giorno feci quello che chiunque (o meglio: qualunque nerd) farebbe al mio posto: chiesi aiuto a Google.
Partii da zero, dalla domanda originale: voglio andarmene, dove trovo i soldi per farlo?
Avevo bisogno di uno “sponsor” o più semplicemente di un trick che mi aiutasse a trovare il coraggio di partire, non potevo partire alla cieca, sarebbe stato una perdita di tempo, dovevo partire sapendo già dove andare e cosa fare.
Passai diverse settimane a pianificare, inizialmente era un gioco, ma io pensavo che un po’ Steve Jobs avesse ragione: bisognava essere curiosi, avere fame… pensare in grande… io intanto googolavo con convinzione.
Mi ricordo che in una delle mie ricerche mi imbattei in questo sito – erasmus-entrepreneurs.eu – e che inizialmente lo ignorai. Dopo qualche giorno però ci ritornai e lessi tutto per bene e capii che quella poteva essere un aggancio!
L’Unione Europea stanziava denaro per chi, avendo un progetto da imprenditore, avesse interesse a fare un’ esperienza estera per un massimo di sei mesi durante la quale poteva essere ospitato da un altro imprenditore straniero e collaborare nel modo più consono.
Insomma praticamente avevo trovato lo sponsor! Con questo jolly in mano forse qualcuno poteva essere interessato a lavorare con me!
Mi misi a lavorare, scrissi un business plan sulla mia futura attività di fotografo, riempii moduli, telefonai, mandai e-mail… e ottenni il finanziamento.
Ma trattenni l’entusiasmo: c’era ancora bisogno di trovare un imprenditore che fosse disposto ad ospitarmi.
Googolai, come se non ci fosse un domani, ovunque.
Cercavo studi fotografici interessati alla mia idea, mandavo e-mail presentandomi allegando la mia pagina su flickr e un CV, ovviamente in inglese.
Mandai 100 forse 150 e-mails, inizialmente a studi localizzati nelle città più gettonate: Londra, Parigi, Berlino e poi Madrid, Lione, Düsseldorf, Stoccarda, Manchester, Vienna, Helsinki.
Cercavo fotografi, agenzie, tutto ciò che potesse colpirmi, se mi piaceva inviavo la mail. Non sapevo esattamente quello che stavo facendo, credo che, riassumendo in una frase, il contenuto dei miei messaggi fosse più o meno “ciao, sono Filippo, hai bisogno di aiuto?” non molto promettente come strategia commerciale.
A grande sorpresa arrivarono in tutto 4 risposte interessanti: 1 da Londra, 2 da Berlino e 1 da Amburgo. Londra era accattivante per via della lingua e per via che era Londra…
ma il livello dello studio di
Amburgo era fantascienza.
cercavano un nuovo secondo assistente (leggi: coffeemaker/portaborse) e lo volevano al più presto!
Io non parlavo una parola di tedesco a parte eins zwei polizei, ma le foto nel sito di quello studio erano mozzafiato e solamente l’idea di poter assistere a una produzione in cui simili capolavori venivano creati, mi avrebbe dato la forza di parlare in sanscrito.
Con il fotografo titolare dello studio organizzammo una chiamata su Skype e una settimana dopo presi un volo per fare un colloquio faccia a faccia, era la fine del 2009.
Il colloquio andò bene, parlammo inglese, e lui mi disse se mi sarei sentito pronto a trasferirmi di li ad un mese ad Amburgo per iniziare la collaborazione. Dissi di si.
Non avevo un posto dove andare ovviamente, iniziai con Couchsurfing.
Fui ospitato da una famiglia alla periferia di Amburgo per due settimane, furono gentilissimi. Mi spiegarono tutto ciò che mi sarebbe stato utile: come fare un abbonamento ai trasporti, come e dove acquistare una SIM tedesca, io non sapevo comunicare, non parlavo tedesco, quindi ogni frammento di informazione su come poter andare avanti era preziosissimo.
Fare Couchsurfing da loro fu il miglior benvenuto in Germania che potessi sperare.
Nel frattempo cercavo casa attraverso un sito dedicato, che elenca offerte per appartamenti condivisi.
Trovare casa ad Amburgo è molto difficile ma non impossibile, bisogna essere aggressivi e telefonare, io telefonavo e iniziavo a parlare inglese sperando che chi fosse all’altro capo del telefono potesse capirmi, a volte non funzionò ma qualche appuntamento riuscii a prenderlo e dopo una decina di visite, che avevano in tutto e per tutto le modalità di un casting per il cinema, mi sono trovato una stanzetta in un appartamento condiviso con un illustratore. L’avventura era iniziata.
Il lavoro allo studio era intenso e spesso estenuante ma per i primi sei mesi ero come sotto effetto redbull, non mi importava di niente: volevo solo lavorare e imparare, lo studio lavorava a livello mondiale con le più grandi agenzie pubblicitarie e, principalmente, le più importanti aziende automobilistiche tedesche.
Ho imparato cose che mai avrei potuto nemmeno immaginare stando a fare lo scattino giù a Firenze: workflow, programmi, strumenti, tecniche, metodologia.
In un ambiente del genere dovetti ricominciare da zero: dalla gavetta, perché quei due annetti da assistente in Italia non valevano nulla.
C’era molto da capire, e da imparare, mi sentivo come Trinity che impara a guidare l’elicottero.
Dopo i sei mesi sponsorizzati dall’Unione Europea arrivò il momento della verità: valevo abbastanza per ottenere un contratto di lavoro? Li avevo convinti? Andò bene: li avevo convinti, continuai.
Era fatta.
Sono stato fortunato, il team in cui mi sono travato a lavorare era molto umano e simpatico, l’ostacolo della lingua non esisteva: comunicavamo in inglese, e se non sapevo qualcosa loro me lo spiegavano.
Il primo anno a livello lavorativo andò bene ma tutti gli altri aspetti della vita erano un po’ fermi, non solo perché ero impegnato ma anche perché il tedesco è difficile e non si impara provando. Va studiato.
La mia vita sociale era quindi abbastanza inesistente, ma all’inizio andava bene così, non avevo nemmeno il tempo per pensarci.
Dopo i primi 8 mesi sentii il bisogno di imparare il tedesco e pensai che un corso serale sarebbe stato sufficiente. Fu di aiuto ma servì anche a farmi capire quanto il tedesco sia una lingua follemente complicata!
Nonostante in Germania nelle grandi città quasi tutti parlino un buon inglese, non basta.
Io purtroppo ho dovuto scontrarmi con questo aspetto e, nonostante abbia fatto tre corsi di lingua, tutt’ora il mio tedesco ha ancora molte lacune.
Saper parlare la lingua locale è il primo passo per l’integrazione, altrimenti si è sempre “ospiti in casa d’altri”.
La lingua mi ha reso le cose difficili ma non mi ha fatto andare via, mi fa male un po’ scriverlo, ma qui è più facile vivere. Per lo meno è più facile essere autosufficienti. Non ho mai lavorato un giorno gratis da quando sono qui.
Lo ripeto: non ho mai lavorato gratis.
Ad Amburgo ho trovato un ambiente stimolante ma soprattutto ho guadagnato credibilità e affermazione, ho trovato una cultura del lavoro che in Italia non ho visto, soprattutto nei confronti dei giovani.
Ho trovato il sillogismo “se lavori, noi ti paghiamo”.
Durante la mia esperienza da assistente fotografo ho affinato una passione e migliorato le mie abilità nel foto-ritocco e ciò mi ha dato il coraggio di lasciare il primo studio e di cambiare lavoro proponendomi in un altro studio di post-produzione, sempre qui ad Amburgo.
Da giugno 2012 lavoro come foto ritoccatore e mi piace da morire, si lavora bene e si guadagna altrettanto.
In Germania ho fatto esperienza e mi sono trovato un lavoro facendo quello che più amo: “nerdeggiare” su progetti creativi, con professionisti capaci ma soprattutto circondato da gente che rispetta e apprezza quel che faccio.
I compromessi ci sono e sono molti: primo fra tutti il dover abbandonare tutto e tutti… amici, famiglia (cose che noi italiani le abbiamo nel sangue, me ne sono accorto vivendo qui) e poi accettare la cultura locale, stare alle sottili differenze comportamentali, sociali, accettare il clima orribile, la mancanza di prodotti freschi, buoni, vari da poter acquistare al mercato.
Sono tutte cose che all’inizio non pesano ma che dopo un po’ ti fanno sbuffare.
Questi però sono sacrifici minuscoli, per quanto mi riguarda, inesistenti se valgono la certezza di stare costruendo il proprio futuro solidamente.
In 3 anni ho costruito una carriera che in Italia, nel mio campo, si costruisce in 10 anni e l’ho fatto senza conoscere nessuno, da solo (e Google).
Qui si guadagna bene e il costo della vita è ben bilanciato (rispetto ai canoni fiorentini), si pagano molte tasse ma c’è un ritorno tangibile (anche se qui i tedeschi si lamentano lo stesso!).
Questo è tutto, c’è poco altro da dire: la mia esperienza all’estero è positiva e si è rivelata molto più interessante delle aspettative.
Sono contento, non credo che tornerò più in Italia, se non per fare le vacanze.
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