Ci abbiamo girato tanto intorno,finalmente iniziamo ad arrivare al dunque: le Ale, il vero oggetto dei desideri di questa serie di articoli.
Possiamo iniziare dividendo gli stili di queste birre in tre macro regioni, Germania Inghilterra e Belgio; fino a qualche anno fa queste corrispondevano alle corrispettive zone geografiche o quasi, oggi non proprio.
Lasciamo il Belgio per il gran finale e partiamo con l’Inghilterra
Nazione che affonda le sue prime radici in popoli precedenti i celti e che crescerà e si trasformerà fino a diventare un impero grandissimo e industrializzato, con una tradizione brassicola che si evolverà con esso ricalcandone i bisogni della popolazione e dell’economia.
Dalle popolazioni primitive deriva l’amore per la birra che portò già nel medioevo ad avere molta varietà con vari ingredienti come l’orzo, il frumento e nelle versione più povere l’avena , queste ultime dette grouters ad indicare la miscela di cereali e spezie utilizzate.
Verso la fine del medioevo da questo brodo primordiale si stavano delineando i primi stili destinati ad arrivare in qualche modo fino a noi, sopratutto quelli prodotti nelle tenute di campagna, che avevano ognuna il proprio birrificio, in un primo momento sopratutto ad uso interno visto che la birra faceva parte dei salari dell’epoca di chi vi lavorava.
Ma facciamo una panoramica
I primi stili si potevano dividere in:
- Small beer, sui 2 gradi, disponibile per tutti.
- Birra da tavolo, sui 5-6 gradi
- March e October, sugli 8-10 gradi brassate in quei mesi.
- Double beer, 10 o + gradi, per le occasioni speciali
Inoltre all’epoca dividevano anche le birre in running, mild e stale, a seconda dell’invecchiamento, dalle più giovani alle più invecchiate.
A complicare ulteriormente la vita a chi si occupava di birra allora accadeva che i clienti non volessero semplicemente una birra, per fare gli splendidi per venire maggiormente incontro al loro gusto personale spesso ordinavano una miscela di varie birre.
Esisteva infine una grossa fetta di clienti, i facchini dei porti (porter), che veniva accontentata prendendo tutto quello che restava sui tavoli e facendone un ulteriore miscuglio a prezzo infimo.
Fu a quest’ultima fascia di avventori che si rivolsero le prime birre nate dalla rivoluzione industriale, creando le Porter, il primo stile prodotto ed esportato in grandi quantità, di successo internazionale.
Questa birra è cambiata molto nel tempo,se agli albori la tipologia di prodotto finito dipendeva più dal costo delle materie prime (rigorosamente al ribasso) che dal gusto degli avventori e spesso diversi produttori avevano prodotti così diversi fra loro che ogni birrificio faceva storia a sé , diciamo che ora si parla di porter come di una birra scura, tostata, poco o per nulla luppolata dai 4 ai 6,5 gradi, molto beverina.
Da questa avranno poi origine le Stout, versione con più corpo e dal sapore più forte abbinabile a piatti dai sapori ricchi, tradizionalmente consumate e a volte anche prodotte con le ostriche.
A sua volta queste daranno origine a :
- Imperial stout, la versione più alcolica, per resistere al freddo e al viaggio verso la Russia dove era popolare fra i monarchi.
- Irish dry stout, con orzo tostato al posto del malto black ,differenza nata per pagare meno tasse, con un sapore che ricorda molto il caffè , ricco, cremoso, morbido e avvolgente, 3,8 – 5 gradi.
- Irish extra stout, nata come versione premium e da esportazione , più alcolica, 5,5 – 8 gradi.
Torniamo a noi, la birra ambrata comunque resisteva, non solo, iniziò a essere esportata nel vasto impero britannico, in particolare nella versione October, era già chiamata Pale Ale, anche se era ancora molto diversa dall’attuale.
Una versione particolare di questa birra, più chiara ma più luppolata, pensata per l’esportazione in India, fu quella di maggior successo nonché una di quelle che attualmente hanno più successo al mondo: le IPA (India Pale Ale).
Essa genererà le APA (American Pale Ale) e le American IPA ,a seconda della luppolatura, ovvero IPA prodotte con luppoli americani, con aromi tipici di pompelmo e agrumi in generale.
La rinascita del movimento americano di birra artigianale,quasi defunto a causa del proibizionismo prima e delle lager industriali poi, si può far risalire a quando nel 1965 Fritz Maytag acquistò la Anchor Brewing Company, che aveva (ed ha) come cavallo di battaglia proprio una APA.
Col tempo e con le variazioni del mercato le vecchie October si abbassarono di gradazione, di colore e spesso anche di corpo fino a diventare molto beverine, dividendosi in Pale Ale e Bitter a seconda del grado di amaro, hanno un discreto successo dovuto al fatto di essere da un lato un prodotto di qualità e dall’altro una bevanda che va giù comel’acqua.
Le migliori dovrebbero comunque conservare un sentore di nocciola dato dai pregiati malti inglesi.
Altri stili
- Burton Ale, IPA degli esordi, più scura e zuccherina.
- Summer Ale, versione più leggera e leggermente meno amara delle IPA
- Birre scozzesi, meno luppolate, fruttate e alcoliche ma più maltate delle cugine inglesi, si dividono in Light, Heavy, Export vanno da ambrate a brune e infine le Scotch Ale che oltre a essere le più alcoliche, dai 6,2 agli 8 gradi, sono intense complesse, con sapori e odori che vanno dal malto alla torba, al mou, al tostato. Francamente le adoro.
- Brown Ale, antenato meno luppolato e tostato delle porter.
- Barley wine inglesi, derivate anch’esse dalle October, è in realtà una tipologia molto varia, devono però essere ricche, intense, speziate e con importantissimi e complessi sentori di malto, abbastanza alcoliche 6,8 – 10 gradi, se sono buone sono tesori da serbare per le occasioni speciali.
La Germania
Come macro regione o insieme di stili è quella che sta soffrendo di più, con una storia segnata nel bene e nel male dal “Reinheitsgebot“, l’editto di purezza, legge bavarese del 1516 promulgata da Guglielmo IV, in seguito estesa a tutta la Germania, che con un colpo di spugna ha cancellato tutta la storia ad essa precedente.
Si presume infatti che la cultura e gli stili brassicoli fossero molto più vari ma con questa legge si obbligò i birrifici a usare solo malto d’orzo e successivamente luppolo, questo ha inficiato pesantemente sulla varietà.
Nato a causa di un periodo di guerra per fare in modo che il frumento non fosse usato per la birra ma solo per la panificazione, ha avuto come paradossale risultato quello che proprio gli stili col suddetto cereale sono fra i pochi sopravvissuti.
Bisogna dire che ha avuto anche un lato positivo, le poche cose rimaste sono generalmente fatte dannatamente bene.
- Partiamo dalle Kölsch, denominazione di origine, birre dorate e fresche, poco luppolata, sui 5 gradi.
- Düsseldorfer altbier, brune, spesso color rame, abbastanza amare senza mettere in mostra troppi aromi di luppolo.
- Weissbier (o Hefeweizen), la classica birra di monaco, sopravvissuta in quanto prodotta originariamente dalla famiglia reale , dorate, molto fruttate, da bere giovani, leggermente torbide, poco amare , molto carbonate, con tanta schiuma, il frumento porta sensazioni di cremosità al palato ed il lievito particolare dona note di chiodi di garofano e banana tipiche delle birre prodotte con questo cereale e che sono invece considerate un difetto altrove.
- Dunkelweizen bavaresi, simili alle precedenti ma più scure, col sapore che vira al caramello.
- Weizenbock e Weizen Doppelbock, più forti, scure, sempre fruttate ma più caramellate e tostate, la variante eisbock viene congelata per rimuovere parte dell’acqua e arrivare a 12 gradi.
- Berliner weisse, le bianche di berlino, colore dato dai lieviti in sospensione, quindi torbide, poco alcoliche, dissetanti con un finale leggermente acido.
Ed ora una chicca
Gose: il sogno erotico dell’estate, 40% malto d’orzo, 60% di malto di frumento, coriandolo e sale. Super dissetante. Provatela. Ora!
Anzi, meglio, fate come @baudaffi e portatemene una. O due. O una cassa.
E finalmente eccoci qua
La nazione con più varietà, quella che generalmente incuriosisce e attira di più noi italiani e che ci assomiglia di più come storia.
Sua maestà il Belgio
Più che di una nazione si dovrebbe parlare di un popolo, con una sua identità e le sue radici che affondano nelle popolazioni barbare, una storia monastica importante ed un numero sorprendente di nazioni che hanno regnato su di loro, si sono attaccati a tutte le cose che gli davano un’identità come delle cozze allo scoglio, in particolare alla birra e al cibo, che spesso si fondono.
La storia della birra belga è molto antica, ma la parte che ci interessa inizia con le abbazie, centri di potere che riempivano il vuoto lasciato dall’impero romano, ma anche centri di cultura e di produzione della birra, che serviva a sostentamento sia dei monaci stessi (sopratutto nei periodi di digiuno) , sia dei pellegrini di passaggio; in seguito iniziarono a produrre anche per la vendita a terzi.
Queste in realtà hanno da sempre affiancato una produzione casalinga comunque esistente ma fu grazie a loro che si raggiunse e poi si mantennero nel tempo l’alta qualità e le tecniche che poi diventeranno patrimonio di tutti.
Fino al XIV secolo l’amaro e l’aroma venivano dati esclusivamente dal gruit, miscela di spezie propria delle abbazie e che i privati potevano comprare solo dagli ecclesiastici prima e anche dallo stato poi; l’alternativa per chi produceva la birra in casa era farsi una sua miscela con quello che si aveva a disposizione ma oltre a generare un prodotto spesso inferiore era anche una pratica pericolosa, in quanto ci potevano finire dentro piante velenose.
L’arrivo del luppolo però in queste zone non soppiantò totalmente l’uso di spezie, che infatti si trovano ancora in tanti stili.
In questo panorama già molto vario, fatto di luppoli,spezie ma anche di tante varietà diverse di cereali, si ebbe un’ulteriore spinta alla diversificazione e alla varietà, nel XVII secolo la birra prodotta a fini non casalinghi cominciò a non essere più un’esclusiva delle abbazie ma videro la luce i birrifici privati che in breve tempo diventarono una vera e propria forza economica.
Basti pensare che nella città di Bruges nel 1718 solo i birrifici comunali erano 621, un numero incredibile se si considera che era sì la capitale delle fiandre ma (considerando la popolazione attuale di 130.000 persone e le dimensioni della parte storica) se aveva 30.000 persone era tanto.
Solo i birrifici comunali erano 621.
In ognuno di questi, in cui inevitabilmente si andava a creare una flora batterica unica, responsabile di una fermentazione unica, tante famiglie ciascuna con la propria o le proprie ricette andavano a turno a fare la birra.
Ora provate a immaginare a una cittadina moderna di 30.000 persone e metteteci 621 birrifici comunali. Viareggio da dove vi scrivo ha 70.000 persone, è come se qui ci fossero 1.300 birrifici, sarebbero ovunque.
Immaginate un comune di Roma con 59.250 birrifici; ora aggiungete quelli privati.
Vi dovreste essere resi conto della varietà che questo comporta.
Questa varietà ha perso molto nel corso del tempo, la prima batosta è stata la rivoluzione francese che fece chiudere i monasteri per un bel po’ , nei casi meno gravi 40 anni.
40 anni di vuoto in cui non sapremo mai cosa è andato perso.
Anche le varie guerre hanno avuto il loro peso, sopratutto quelle mondiali, ma a dir la verità il colpo più grosso l’ha dato l’industria, difatti in questo paese che vive la birra come una religione il 70% del consumo è di “Lager” industriali.
Per quanto riguarda gli stili
La prima cosa da dire è che nel mondo degli stili di questa nazione molto è lasciato al genio del mastro birraio, che ha molto più margine di manovra rispetto agli standard Inglesi o addirittura tedeschi.
- Ma veniamo a noi con le Blanche o Witbier, parenti delle bianche tedesche, con malto d’orzo, frumento non maltato e poca avena, leggere, vengono aromatizzate con un mix di spezie fra cui quelle più comuni sono coriandolo, buccia d’arancia amara e cumino, che comunque devono partecipare al gusto senza essere riconoscibili.
- Le Belgian Ale sono invece birre beverine ma più complesse di una Pale Ale britannica, se nelle cugine d’oltre oceano si sentono sopratutto malti e luppoli qui è il fruttato a risaltare e al contrario della tendenza amara delle prime queste hanno note dolci.
- Si passa poi alle Strong Golden Ale, chiara quasi come una Lager ma molto più forte e alcolica.
- Le Saison sono secche ma molto fruttate e speziate, il lievito utilizzato per produrle è uno dei più difficili da domare ma regala odori fantastici.
E le famose trappiste? Non sono altro che birre fatte in abbazie, sotto la diretta supervisione dei monaci e senza scopo di lucro, (i soldi fatti dovrebbero servire per garantire il regolare svolgimento della produzione e per beneficenza) ovviamente queste sono solo poche abbazie certificate, usando la terminologia “trappista” come termine legale, quasi come fosse un marchio registrato.
Le restanti Abbazie che producono birra o al loro interno a nelle loro vicinanze o che permettono a terzi di usare il loro nome per produrre birra non hanno tali vincoli e vengono appunto chiamate “birre d’abbazia”.
Da entrambe le parti le birre generalmente prodotte sono Dubble (color tonaca di frate, lol) e Tripel (o Trippel) ,le prime tendenti al dolce , le seconde secche e più amare,con forti sentori speziati dati dai lieviti, differiscono per corpo e grado alcolico; esisterebbero anche le Enkel (o Singel), più leggere, ma generalmente sono prodotte per uso interno.
Più rare, ma non meno importanti, le Quadrupel, scure da invecchiamento, notevoli però anche da giovani, chiamate anche Abt,abate, per la loro importanza.
Chiariamoci, niente impedisce a un’abbazia trappista di fare una Saison, una Golden Ale o qualsiasi altra cosa, cosi come esistono ottime Dubble o Tripel fatte al di fuori delle abbazie; quindi dire “dammi una birra trappista” è corretto ma non molto specifico.
Una nota acida
Siamo quasi giunti alla fine del viaggio, già ora potete quantomeno sperare di orientarvi in un beer shop, ma rimane un angolino in fondo a un frigo a voi ancora ignoto,le birre acide, siete li che lo guardate da lontano quando altro avventore, evidentemente un habitué, si avvicina tranquillo,saluta il proprietario come se fosse il suo spacciatore di fiducia, prende una bottiglia e si siede con altri come lui, intenti a parlare di quello che stanno bevendo ed a guardare male il ragazzo che si fa servire la quarta IPA uguale.
Allora questi tizi non sono snob che seguono una moda passeggera, sono quelli che si faranno in quattro per darvi un consiglio su cosa bere, possibilmente che sia diverso da quello che avete già bevuto.
Fra le altre cose bevono anche birre più o meno acide, che sebbene oggi ci stupiscano tanto una volta erano comunissime, anzi era quasi scontato che una qualsiasi birra potesse avere una qual certa dose di questa caratteristica.
Difatti prima di Pasteur i lieviti che fermentavano la birra erano quelli spontanei, selvaggi.
Non che non si conoscesse il lievito, era davanti agli occhi di tutti, più o meno si sapeva come trattarlo e veniva svolta anche una certa selezione (veniva riutilizzato solo se la birra veniva buona) , ma sicuramente non c’erano fermentazioni controllate da ceppi puri di saccharomyces cerevisiae.
Spesso anche altre famiglie di batteri contribuivano alla fermentazione, fra queste il più famoso è il brettanomyces, “bretta” per gli appassionati, che in alcune sue forme dona odori terribili quali ad esempio acetone, mentre in altre è più gentile e dona note agrumate e acide.
Esistono diversi di questi stili tradizionali, partendo dai Lambic, birre che dopo la cotta vengono lasciate una notte a raffreddare all’aperto, sviluppando quindi una fermentazione spontanea.
Va da sé che un produttore che deve commercializzare una cosa del genere abbia tutto l’interesse che per quanto spontanea questa fermentazione rimanga il più possibile uguale nel tempo, è da qui che nascono le leggende di questi posti pieni di polvere, ragnatele ecc…
Ma queste non sono leggende, è veramente necessario stare attenti a ogni più piccola cosa per assicurarsi di non compromettere i delicati equilibri microbiologici che fanno succedere la magia.
Ad esempio un birrificio, che per motivi di spazio dovette trasferirsi, trapiantò un muro intero del vecchio laboratorio nella nuova struttura per non rischiare di rimanere senza i microorganismi indispensabili.
Dal Lambic derivano le sue varietà alla frutta, le Kriek ( alle ciliegie ) e le Framboise (ai lamponi) sono le più comuni, ma esistono anche alle pesche, ai ribes ecc…
Le versioni addolcite sono le Faro e infine le Gueuze sono i blend di Lambic più o meno invecchiati.
Infine ci sono le Sour o Oud Bruin che sono a fermentazione controllata ma vengono fatte invecchiare in botti, durante questa maturazione i batteri presenti nel legno (quali lactobacillus, acetobacter e il solito bretta) e l’ossidazione donano un’acidità in parte smorzata dagli aromi del legno.
Per chi si avvicina per la prima volta a questo mondo consiglio di farlo in maniera graduale, magari non facendosi consigliare dall’amico che vuole farsi quattro risate a vedere la vostra faccia disgustata, considerate che il livello di acido percepito può variare molto da produttore a produttore, da etichetta a etichetta e a volte anche da un’annata all’altra.
Saremmo giunti alla conclusione
Se tutti stessero negli stili da me descritti, ma non è propriamente così, un po’ perché ho citato solo una piccola parte di tutto quello che ci sarebbe da dire, un po’ perchè sopratutto in quelle nazioni come l’Italia, la Danimarca e gli Stati Uniti che non hanno una tradizione propria i movimenti brassicoli stanno vivendo un momento di fermento ed evoluzione.
Qui si fanno tanti esperimenti, a volte riuscitissimi, a volte meno, ci si discosta dagli stili classici con molte variazioni, ad esempio inoculando il bretta in maniera controllata, usando metodi alternativi di invecchiamento e ingredienti nuovi che possono variare da sapori tradizionali a spezie esotiche come il caffè Kopi Luwak (anche detto caffè defecato).
In Italia siamo particolarmente fortunati, abbiamo una tradizione enogastronomica immensa, fatta di centinaia, migliaia di prodotti tipici e molteplici tecniche che ci è bastato copiare dai nostri enologi, come gli affinamenti in caratelli o botti precedentemente usate per il vino.
Tanto per fare un esempio ho già citato la birra alle castagne come un prodotto internazionalmente riconosciuto, ma nel nostro paese non abbiamo un’unica cultivar di castagne, ne abbiamo qualche decina.
Ci sono birrai che si sono ispirati al territorio in cui vivono, ed esempio fra fragole profumate di Tortona, pesche di Volpedo, ciliegie “Belle di Garbagna” e vino nasce Montegioco, e ritroverete la sua terra nelle sue birre, come ritroverete il monte Amiata e i suoi dintorni nelle castagne, i mieli,lo zafferano, le botti e i caratelli del Birrificio Amiata.
Una serata con gli amici dovrà sempre restare una cosa fatta sopratutto per il piacere della compagnia, ma potrete farla diventare anche un modo per assaporare cose nuove, viaggiare col palato alla scoperta dell’Italia, dell’europa e del mondo, curiosando fra prodotti tipici che non sapevamo di avere dietro l’angolo e inaspettate stranezze provenienti dall’altra parte del globo.
Grazie per avermi seguito fin qui.
- Degustare le birre. Tutti i segreti della bevanda più buona del mondo di Randy Mosher (amazon.it)
- Progettare Grandi Birre di Ray Daniels (amazon.it)
- Il racconto della Birra di Matteo Zamorani Alzetta (che ho potuto consultare su gentile concessione di @baudaffi, che ne ha una copia con dedica)
- Black Isle Brewing Company
- Birra del Borgo
- Toccalmatto
- Birrificio Lariano
- Die Gose
- Original Ritterguts gose
- Fantome Brasserie
- Brasserie Cantillon
- Anchor Brewing
- Guinness