Il 2020 è giunto al termine (e meno male) ed è tempo di tirare le somme anche per le serie TV: quali sono state le migliori serie TV del 2020? Questi sono i dieci titoli scelti dalla redazione Entertainment di Lega Nerd.
A parte qualche “piccolo” rimando e cambiamento di fruizione, non si può dire che le serie TV abbiano davvero sofferto in questo 2020. È molto più probabile che, causa ritardi dei set tra chiusure e aperture, ammalati e pandemia, siano i prodotti seriali del 2021 a risentirne ancora di più di questo anno che tutti noi vogliamo dimenticare.
Certo, nella vana speranza che il 2021 siano un filino migliore. Manteniamo le aspettative basse, così possiamo solo che restarne sorpresi.
Siamo, quindi, giunti alla valutazione di fine per vedere quali sono le migliori serie TV di questo 2020.
La scelta non è stata affatto semplice. Complice la mancanza di una controparte cinematografica massiccia, quest’anno il numero di serie TV – tra novità e continui – è stato davvero massiccio. Sicuramente a farne da padrone sono stati i seguiti di stagione, ma non dimentichiamo che ci sono anche state delle interessanti novità nonché dei veri e propri tormentoni, come le miniserie Unorthodox e La Regina degli Scacchi.
Questo 2020 è stato anche l’anno dell’ascesa delle nuove piattaforme o dell’arrivo di nuove piattaforme in Italia, come Disney+, Apple TV+, Starz. L’anno in cui i Chigaco Bulls di Michael Jordan ci hanno fatto rivivere il sogno. L’anno delle lotte di genere, delle storie vere e rivisitate di discriminazione, frustrazione, rabbia.
È stato anche l’anno di The Boys 2 e, ovviamente, quello del seguito di The Mandalorian che, come ben sappiamo, ha tenuti tutti quanti con il fiato sospeso, regalando una stagione – sicuramente imperfetta – ricca di colpi di scena e rimandati alla storicità dello stellare franchise di George Lucas.
I prossimi anni per le piattaforme on demand e i suoi TV Show sembrano essere ancora più ricchi di sorprese, quindi rimboccatevi le maniche, pulite i vostri occhiali da vista e scaldate il tea, perché di materiale da bingewatchare ce ne sarà veramente, veramente tanto.
E adesso, veniamo a noi. Esattamente come fatto per la classifica dei migliori film del 2020, anche per questa classifica le scelte fatte sono il frutto del lavoro di tutte le persone della redazione Entertainment di Lega Nerd che lavorano ogni giorno per tenervi informati su quanto avviene nel mondo (quando non c’è la pandemia, spesso direttamente in giro per il mondo).
Ringraziamento doveroso va a: Valentina Ariete, Gabriele Atero Di Biase, Emanuele Bianchi, Laura Della Corte, Simone Di Gregorio, Jacopo Fioretti e Davide Mirabello.
Districarsi tra la moltitudine di uscite seriali non è stato facile. È un lavoro sporco ma qualcuno dovrà pur farlo, no? Ecco quindi le migliori serie TV del 2020, almeno secondo noi, nella speranza che possiate trovare spunti interessanti e nuovi titoli da recuperare in attesa di cosa ci proporrà il 2021 seriale!
Buona lettura!
10. I Am Not Okay With This
disponibile su Netflix
Dalla recensione di Gabriella Giliberti:
[…] Spigolosa assolutamente nelle situazioni proposte, nel disagio che i personaggi si ritrovano a vivere, ma ammantando il tutto con uno stile più “pastelloso”, quasi nostalgico, tipico poi della spensieratezza di quegli anni che ci dipinge sempre tutti quanti un po’ come esseri bipolari. Un attimo prima arrabbiati con il mondo intero, e l’attimo dopo pronti a toccare il cielo con un dito. Questo stile un po’ naive da cui è ammantata la serie di Jonathan Entwistle, non può farci non pensare a grandi classici coming of age degli anni ’80, un po’ come Breakfast Club o Una Pazza Giornata di Vacanza.
E in questo sano citazionismo, simile più ad una sensazione che ad un vero e proprio omaggio, non può mancare in questo caso una sfumatura di mistery che strizza volutamente l’occhio, questa volta viaggiando più verso l’omaggio vero e proprio, al classico di Stephen King Carrie, di cui conosciamo tutti molto bene la magnifica trasposizione di Brian De Palma nel 1976. Perché di Carrie al cinema ce n’è uno solo e uno soltanto. […]
[…] Scorrevole, armonioso, ben ritmato e intrigante. I Am Not Okay With This è una delle prime grandi scoperte di questo 2020. Super coinvolgente ed estremamente pop.
Nostalgico ma senza diventare “l’ennesimo Stranger Things“. Sa trovare una propria dimensione, creando un suo universo al quale è molto facile appassionarsi, grazie anche alle splendide interpretazioni dei suoi interpreti, prima fra tutti la giovanissima Sophia Lillis che se già in IT ci aveva fatto innamorare con la sua Bev, in questi primi anni di grandi esperienze si sta mostrando essere un’attrice incredibilmente capace e in costante crescita.
Una “piccola” Amy Adams che potrà darci delle enormi soddisfazioni e che già da adesso si sta conquistando il suo posto nel cuore di tanti spettatori, con personaggi differenti tra loro ma estremamente freschi, sfruttando sapientemente la sua immagine ancora fanciullesca. […]
9. Sex Education 2
disponibile su Netflix
Dalla recensione di Gabriella Giliberti:
[…] Sex Education con la sua grande dose di originalità, l’escomatage di ambientare il tutto in uno spazio e tempo non ben definito, con elementi tipici dei nostri anni, ma con altri che strizzano l’occhio agli anni ’80 e ’90, è riuscita ad essere una serie universale, diversa da tante, inclusiva e, soprattutto, originale.
Sebbene ormai diamo per scontato che dopo una prima stagione ce ne sarà una seconda, anche quando quella serie non avrebbe bisogno più di nulla perché proprio perfetta nel suo essere unica, non è da dare per scontato che la seconda stagione possa bissare il successo e la riuscita della prima stagione.
Ebbene, Sex Education riesce nella sua missione più ardua, confezionando una seconda stagione non solo convincente, ma anche ben più matura!
La seconda stagione si preoccupa di approfondire tutte quelle situazione lasciate più in superficie ed appena accennate nella prima stagione, senza lasciare nulla al caso. Le tematiche si approfondiscono, il sesso continua ad essere il fulcro del racconto, ma i rapporti umani e la conoscenza di sé stessi sono il portavoce di questa season two.
Abuso, molestie e accettazione di sé stessi, entrano in gioco a questo giro. Senza mai cadere nel moralismo o nella retorica, ma mantenendo uno sguardo sempre veritiero, empatico e dettato dai protagonisti di ogni vicenda. Si da un accenno più grande anche al sessismo, agli stereotipi uomo-donna e alla questione dei ruoli sociali. Ma, come accennavamo prima, sono i legami – nella loro complessità – ad essere i veri protagonisti.
Una seconda stagione che, come i suoi protagonisti, cresce, matura, si amplia tanto nella scrittura quanto nella messa in scena, confermandosi un degno seguito di una prima stagione che già ci aveva conquistato con la sua incredibile spontaneità. […]
8. L’amica Geniale 2 – Storia del nuovo cognome
disponibile su Rai Play
Dalla recensione di Simone di Gregorio:
[…] La malinconica e sensibile storia di formazione di Elena e Lila è uno splendido spaccato non solo dell’evoluzione di due ragazze, ma anche della società italiana a partire dal secondo dopoguerra, con tutte le sue storture, chiusure e contraddizioni, sempre con lo sguardo di una complessa ottica femminile. […]
[…] Ciascun personaggio, pure il più infame, a parte rare eccezioni, ha una sua quadra coerente, e dietro l’inettitudine e la prepotenza c’è un insieme di prospettive che rende giustizia non solo come naturale alle due protagoniste, ma anche alla maggior parte dei ruoli secondari. Questo grazie in primis ad un grande cast e una perfetta rappresentazione di un’Italia alle porte del boom economico e delle turbolenze politiche.
Il modo di affrontare la maternità, vedrete, è un buon esempio di come questa seconda stagione possa essere coraggiosa e magari divisiva, eppure straziante nel modo di dipingere la realtà concreta di una bolla sociale, di un rione napoletano, di una realtà locale a trazione maschile che tutto fagocita dell’identità femminile. […]
[…] Al di fuori dei tecnicismi, di cui vi importa il giusto, più in generale i valori produttivi della serie – non a caso c’è lo zampino di HBO – si sentono tutti, sia nella scenografia, sia nel sonoro, con il ritorno delle musiche di Max Richter. La cura maniacale nella riproduzione dell’epoca, nella scenografia e nei costumi, è fonte ora come era fonte in passato di gran parte del fascino de L’amica geniale, pure per la capacità di andare pari passo con i limiti imposti dal racconto.
Il rione (che è un immenso set costruito, sottolineo) con la sua grezza semplicità dà a tutti gli effetti la sensazione di un luogo ovattato, quasi fuori dal tempo, a perfetto contrasto con tutto ciò che le ragazze scopriranno nel corso del tempo, dal lungomare di Napoli al centro della città e alle spiagge di Ischia, passando per gli orizzonti inediti che Elena scoprirà a racconto inoltrato di Storia di un nuovo cognome. […]
7. Lovecraft Country
disponibile su Sky
Dalla recensione di Valentina Ariete:
[…] Diviso in otto capitoli di storie che si intrecciano tra loro, il romanzo Lovecraft Country inserisce le creature immaginate da H.P. Lovecraft nel mondo reale. Un’idea sottile: lo stesso autore è noto per non essere stato il più tollerante degli individui, con le sue idee razziste e misogine. E se ci fosse una ragione per tutto questo? Se i mostri avessero bisogno del conflitto? Di un gruppo dominante che è tale proprio perché sfrutta letteralmente il sangue di una minoranza?
Misha Green, già sceneggiatrice di Heroes e Sons of Anarchy, ideatrice e showrunner di Lovecraft Country, ci racconta per immagini proprio questo: come il sogno americano sia nato dal sangue. In principio furono i Nativi americani, sterminati e privati delle loro terre, poi gli schiavi portati dall’Africa, per costruire città e coltivare piantagioni. Attraverso il suo viaggio negli Stati Uniti, Atticus vede come sia dato per scontato che la sua gente sia considerata una scala su cui salire per assicurarsi un posto in cima. Tutto questo è raccontato attraverso diversi generi: l’horror in primo luogo, che non è soltanto quello dei tentacoli o delle zanne di varie creature che popolano la serie.
C’è anche un orrore più sanguinolento, pulp, fatto di carni che esplodono e che vengono stracciate a brandelli, come in un film di David Cronenberg. C’è quello da incubo, fatto di visioni, allucinazioni e presenze inquietanti. […]
[…] E la mescolanza è un punto chiave di Lovecraft Country, non soltanto perché gli appassionati dei B-Movie possono godersi una divertente e divertita rielaborazione di grandi classici (a un certo punto sembra di essere in una puntata di Doctor Who, o nelle tavole dei fumetti americani anni ’50), ma perché si imbastisce con un discorso fondamentale, ovvero che la cultura americana nasce proprio dalla mescolanza di culture. A un certo punto si parla proprio di fiamma, tramanda di generazione in generazione: la comunità di colore ha dato dei profumi unici all’America, le ha dato ritmo – jazz, soul, R&B – le ha dato il suo sangue.
Un prezzo salatissimo e mostruoso per costruire “il sogno americano”. […]
6. Unorthodox
disponibile su Netflix
Secondo Gabriella Giliberti:
Si è tanto urlato a La Regina degli Scacchi come mini serie TV rivelazione dell’anno, ma forse ci siamo scordati di quel piccolo grande gioiello che è stato Unorthodox.
Creata da Anna Winger e Alexa Karolinski, basata sull’autobiografia del 2012 di Deborah Feldman, Unorthodox ritrae la vita di una giovanissima donna la cui credenza religiosa si sfalda a causa di un credo estremo, misogino e violento, portandola a scappare dalla sua stessa comunità per scoprire al di fuori dei confini del quartiere di Williamsburg, a Brooklyn, dove si è costruita negli anni una stretta cerchia di ultra-ortodossi chassidici, la vita è molto diversa.
La serie TV ci porta a scoprire un mondo che ancora oggi costringe migliaia di donne a sposarsi ancora adolescenti e partorire figli, su figli, su figli
La serie TV ci porta a scoprire un mondo, in un mix tra finzione e realtà, che ancora oggi costringe migliaia di donne a sposarsi ancora adolescenti e partorire figli, su figli, su figli. E se ti capita la disgrazia di non poterne avere, la colpa sarà grande, estrema.
Esther (ovvero Deborah Feldman) è nipote di quella generazione sopravvissuta alla seconda Guerra Mondiale che si è trasferita in America con lo scopo preciso non solo di vivere ma, soprattutto, di ripopolare, di restituire la vita, a quei sei milioni di vittime innocenti. Una sorta di esorcizzazione della colpa per essere riusciti a sopravvivere e, quindi, restituire il favore ricreando quella vita che è stata decimata. Ma come tutte le religioni, alcune interpretazioni del credo generano estremismi malati e disturbati, rinchiudendo le persone in una bolla lontana dal tempo e dallo spazio.
Arrivata a Berlino, Esther si rende conto di non aver vissuto. Il mondo è andato avanti, ma lei è rimasta indietro. Può chiedere davvero tanto la fede? È davvero questo il significato della fede? Sono tanti e differenti gli interrogativi che questa serie fa porre allo spettatore, emozionando attraverso il lungo e sofferente percorso della protagonista, una meravigliosa Shira Haas (vera rivelazione del passato 2020).
La meraviglia di questa serie è vedere l’inclusività del cast tecnico e artistico che rendono il racconto ancora più veritiero, partendo non solo dalla storia da cui è tratto ma dagli stessi attori – giovani o meno – che sono cresciuti proprio in quel tipo di comunità e spiegando quanto sia complesso comprendere che il mondo sia diverso rispetto a quanto loro insegnato da bambini.
Sebbene la serie sviluppi un grande spirito critico, l’obiettivo non è mai giudicare o far puntare il dito, quanto più comprendere, dare diversi input allo spettatore, portarlo a fare riflessioni, domande e provare a dare delle risposte non solo attraverso le scelte della protagonista ma anche attraverso il proprio di credo, le proprie idee.
Davvero un prodotto sorprendente ed incredibile. Piccolo, veloce ed intenso.
5. Normal People
disponibile su Starz
Secondo Valentina Ariete:
Il titolo dice già tutto: Marianne e Connell sono due persone normali nella contea di Sligo, in Irlanda.
Ricca e solitaria lei, povero ma molto popolare lui. Entrambi liceali, In comune hanno un profondo senso di inadeguatezza.
All’università, l’Imperial College di Dublino, tutto si ribalta: adesso è Marianne a essere perfettamente integrata, mentre Connell fa più fatica. Una cosa è chiara: tra i due c’è un’attrazione irresistibile.
Tratto dall’omonimo romanzo di Sally Rooney, Normal People racconta la storia d’amore tra due ragazzi come tanti, con una sincerità così disarmante da essersi attirata anche delle critiche: seguiamo infatti i due protagonisti in ogni sviluppo della loro relazione, anche quelli più intimi.
Le numerose scene di sesso non sono però morbose: tutto ha un sapore quotidiano, sincero. Alla sceneggiatura ha contribuito la stessa Rooney, mentre a dirigere sono Lenny Abrahamson (regista di Room con Brie Larson e Frank con Michael Fassbender) e Hettie Macdonald. Se Normal People è davvero così toccante e onesta si deve però soprattutto ai due splendidi protagonisti: Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal. Sono nate due stelle.
4. The Crown 4
disponibile su Netflix
Dalla recensione di Valentina Ariete:
[…] The Crown 4 si apre infatti proprio con l’elezione di Margaret Thatcher come Primo Ministro, la prima donna a ricoprire questo ruolo. Negli interni polverosi di Buckingham Palace, che ormai, proprio grazie alla serie Netflix, ci sembrano quasi familiari, vediamo Filippo dire alla moglie: “Per la prima volta ci sono due donne al potere”. Per sentirsi rispondere: “Forse è proprio ciò di cui questo paese ha bisogno”.
Fin dal primo episodio parte un confronto – inizialmente curioso, che poi si tramuta in un vero e proprio scontro – tra queste due figure che definire iconiche è riduttivo: da una parte il potere reale, quasi divino, tramandato di generazione in generazione. Dall’altro quello politico, conquistato sul campo, con lotte e sacrifici. Benché inizialmente entrambe credano di essere molto diverse l’una dall’altra, in realtà la regina e il Primo Ministro hanno molto più in comune di quanto non pensino. Ed è forse per questo che, nonostante spesso non siano d’accordo, si rispettano reciprocamente. Almeno nella versione di Peter Morgan, che ancora una volta fonde con abilità incredibile realtà (la ricostruzione di apparizioni pubbliche e fotografie ufficiali è come sempre maniacale, curata nel minimo dettaglio) e finzione. […]
[…] Gillian Anderson in questo ruolo è straordinaria, surclassando Meryl Streep nel film The Iron Lady (per cui l’attrice americana è stata premiata con il terzo Oscar): la sua Tharcher non è monolitica, ma una vera e propria matrioska da scoprire. Vediamo la ragazza di umili origini che ha lottato con tutta se stessa per migliorare la sua condizione; la madre; la moglie e l’intransigente leader politico. La chiave per Anderson non è però la mimesi, come è stato per la collega Streep, ma una profonda comprensione dell’essere umano, eternamente in lotta con se stessa. È come se l’attrice stesse mostrando una donna che più cerca di soffocare le proprie caratteristiche femminili, più sembra sul punto di cadere a pezzi. Quasi una caricatura quindi, di qualcuno che finge di essere qualcosa di diverso da sé. […]
[…] Ed è qui che diventa fondamentale l’arrivo di Lady Diana, che sconquassa Buckingham Palace con la forza di un uragano: inizialmente scelta perché più giovane e inesperta rispetto a Camilla (Emerald Fennell), l’unico grande amore di Carlo (Josh O’Connor), la Principessa di Galles diventa molto di più di una semplice consorte in grado di assicurare un erede. Vitale, moderna e attratta dalla fama come una falena è attirata dalla luce, riesce in ciò in cui il marito, a tutt’oggi, ancora non ha avuto successo: mettere in ombra la regina. […]
3. The Mandalorian 2
disponibile su Disney+
Dalla multirecensione secondo Gabriella Giliberti:
[…] È stato un bel viaggio. Un lungo, sorprendente, emozionante ed anche frastornante viaggio. Se prima si avevano dei dubbi, adesso possiamo dirlo ad altissima voce: The Mandalorian è la cosa migliore che sia successa al franchise Star Wars dall’uscita di Episodio VII (eccezion fatta per Rogue One).
Dave Filoni e Jon Favreau sono la coppia che scoppia. Un due incredibile che non solo ha compreso cosa voglia dire per milioni di fan Star Wars, ma, soprattutto, il potenziale di una saga capace di parlare di generazione in generazione, avvicinando qualsiasi tipo di fascia (dal fan al non fan, dall’adulto al bambino).
La prima stagione di The Mandalorian poneva giù i semi di un racconto che strizzava l’occhio tanto agli esordi della grande opera di Lucas quanto al cinema di genere come il western. La verticalità tipica dei primi episodi aveva lasciati scettici i più, spesso e volentieri perdendo il focus della narrazione centrale per concentrasi di più sulla quest.
Nella seconda stagione tutto questo è stato rivisto, perfezionato e migliorato. L’orizzontalità ha fatto da padrone, il canone è diventato più saldo e vedere sullo schermo personaggi tanto amati come Boba Fett o Ahsoka Tano fa il suo enorme effetto. Dimostra quanto Star Wars vada ben oltre la saga degli Skywalker e interseca enormi progetti come Clone Wars e Rebels in un unico racconto che diventa ancora di più una gioia per gli occhi, ma senza estraniare troppo il profano.
Per otto settimane siamo decisamente rimasti sulle montagne russe per poi venire completamente spiazzati dall’ultimo giro della morte che mi ha ridato, dopo così tanto tempo, la grande emozione, il grande amore che da bambina mi ha folgorato e legato così tanto a questa saga. É stato esaltante e anche molto doloroso. Per quanto Grogu sia indubbiamente un personaggio la cui funzione è far intenerire gli spettatori, è anche vero che in questa seconda stagione la sua storia e caratterizzazione hanno avuto uno studio ed approfondimento diverso. Il Mando è poi uno dei personaggi più interessanti di questo universo. Assieme a lui abbiamo potuto vedere quanto si possa cambiare, quanto anche il cuore più duro si possa intenerire ed addolcire.
Si, indubbiamente gli alti e bassi non sono mancati in questa seconda stagione, ma nonostante questo il lavoro svolto in questi otto episodi è stato incredibilmente entusiasmante, ricco di svolte, sorprese e, soprattutto, strade che il brand Star Wars potrà prendere nel futuro.
2. Better Call Saul 5
disponibile su Netflix
Secondo Valentina Ariete:
Sembrava impossibile eppure è successo: l’allievo ha superato il maestro. Vince Gilligan ci aveva abituato bene con Breaking Bad e il suo Walter White, ma con Better Call Saul, serie prequel incentrata sul personaggio dell’avvocato Saul Goodman, sta toccando vette di scrittura ancora più alte.
Superate le prime due stagioni un po’ più pesanti, la serie non si è adagiata sugli allori: pochissimo fan service (anche se rivedere personaggi come Mike o Gus Fring non può che far piacere) e moltissima cura nel tratteggiare i nuovi personaggi. Su tutti quello di Kim Wexler, collega di Saul nonché suo grande amore, interpretata dalla bravissima Rhea Seehorn (che è uno scandalo non abbia ancora vinto nessun premio per questo ruolo: speriamo possa rifarsi con la sesta e conclusiva stagione).
Ligia al dovere, preparatissima sembra l’opposto di Saul, sempre pronto a mischiare le carte e improvvisare. Invece in lei c’è una forza distruttiva forse ancora maggiore. Insieme sono un piacere da guardare ed è incredibile come ormai, a ogni sguardo, ogni cambiamento impercettibile del volto siano in grado di caricare lo spettatore di un senso perenne di tragedia imminente, che purtroppo sappiamo arriverà.
1. The Last Dance
disponibile su Netflix
Secondo Gabriella Giliberti:
Arriviamo al podio con un titolo che ho visto lusingare durante l’anno ma essere completamente dimenticato nelle classifiche. Qualcuno potrà anche dirmi che la colpa sta nella sua natura: essere una docu-serie. E su questo non ci piove! Ma la docu-serie sportiva statunitense creata da Michael Tollin, appunto The Last Dance, è forse stata il più grande e rivoluzionario prodotto della serialità di questo 2020.
Potrà sembrarvi esagerato, ma la struttura narrativa adoperata da Tollin per raccontare l’incredibile stagione National Basketball Association 1997-1998 dei Chicago Bulls, nonché ultimo campionato disputato da Michael Jordan, è qualcosa che ha cambiato le regole seriali e documentaristiche fin dalla sua uscita.
La serie non solo si concentra sull’ultima epica stagione dei Bulls con i suoi giocatori più brillanti, ma proprio sui suoi protagonisti, primi fra tutti Michael Jordan, andando avanti ed indietro tra più linee temporali ma senza mai confondere lo spettatore.
Il gusto cinematografico e il carisma seriale da binge watching, rendono The Last Dance letteralmente il miglior e più sorprendente prodotto televisivo della stagione televisiva appena passata.
Non a caso, non poche sono state le docu-serie che hanno infiammato, e continuano ad infiammare, il panorama di Netflix e che seguono la stessa scia di The Last Dance.
Michael Tollin non punta unicamente ad attirare a sé il fan, chi è cresciuto con il mito di Michael Jordan e dei Chicago Bulls, chi ha vissuto quella stagione sulla propria pelle o ne è rimasto affascinato all’epoca; ma soprattutto chi è stato completamente estraneo alla vicenda, riuscendo addirittura a rendere quelle partite storiche una continua scoperta. Una crescendo d’emozioni che dal primo all’ultimo episodio fanno scorrere l’adrenalina nel sangue, immergono in un periodo tanto splendente quanto ricco di torbide sfumature. Non si vuole semplicemente idealizzare una squadra o un uomo, si vogliono anche mostrare le ombre, i difetti dietro a queste figure che hanno reso così speciale quel periodo.
Una viaggio incredibile, uno dei migliori compiuti in questo tragico anno. Un andare a spasso per il tempo con estrema maestria, senza rendere ridondante il racconto, confusionario o caotico, mantenendo un lucidità e neutralità ma al tempo stessa epica la narrazione. Un prodotto incredibile, completo e magnifico!