La recensione di The Crown 4: con l’arrivo di Lady D e il lungo governo di Margaret Thatcher, la serie creata da Peter Morgan riesce a superarsi, confezionando la sua stagione migliore. Il presente irrompe a Buckingham Palace. Dal 15 novembre su Netflix.
Nella Torre di Londra, pagando un biglietto di 25 sterline, si possono vedere – per pochi istanti, ammirandoli da un tapis roulant che li affianca – i Gioielli della Corona. Tra i pezzi più preziosi c’è sicuramente il Cullinan I, chiamato anche grande Stella d’Africa: 530,20 carati, per un peso di 106,04 grammi e un valore stimato di 2 miliardi di dollari. La gemma, estratta dal Cullinian, il più grande diamante grezzo mai trovato fino a oggi (estratto in Sud Africa nel 1905), è incastonata nel St. Edward Sceptre, lo scettro di St. Edward, uno dei simboli del potere della Corona inglese. Perché tutto questo preambolo? Perché sembra impossibile, vista l’altissima qualità a cui ci ha abituato l’opera di Peter Morgan, ma, nello scrivere la recensione di The Crown 4, dobbiamo ammettere che la quarta stagione è la grande Stella d’Africa della serie Netflix. La più splendente.
E non è un caso: sulla piattaforma di streaming dal 15 novembre, in questi 10 nuovi episodi di The Crown Peter Morgan arriva finalmente al periodo storico che più lo ha interessato, e quasi ossessionato, nel corso della sua carriera. La Gran Bretagna di Margaret Thatcher, che va dal 1979, anno della sua elezione come Primo Ministro, al 1990, quando, quasi alla fine del terzo mandato, fu costretta a dimettersi, abbandonata dal suo stesso partito. Della Lady di Ferro, come è stata soprannominata, Morgan ha già parlato nello spettacolo teatrale The Audience, andato in scena nel 2013.
The Crown 4 racconta la Gran Bretagna di Margaret Thatcher: dal 1979 al 1990.
Quegli anni non sono stati però solo quelli del thatcherismo: a portare letteralmente un’ondata di modernità è arrivata infatti la giovanissima Diana Spencer, scelta come moglie di Carlo e quindi futura regina. Inizialmente accolta con grande entusiasmo dalla Famiglia Reale, il matrimonio di Lady D, come è stata affettuosamente soprannominata dagli Inglesi, si è rivelato con gli anni una spina nel fianco per la regina. Morgan ne ha parlato nel film di Stephen Frears The Queen, per cui fu nominato all’Oscar alla migliore sceneggiatura originale, in cui a portare il peso della corona è un’eccezionale Helen Mirren (lei sì, premiata con l’Oscar).
Non c’è da stupirsi quindi che, potendo unire queste due figure che tanto lo hanno affascinato, Peter Morgan abbia realizzato quella che forse è la stagione capolavoro di The Crown. Almeno per il momento, visto che, a ogni nuovo ciclo di episodi, ci ritroviamo a pensare che gli autori si siano superati rispetto allo sforzo precedente. A interpretare “le nuove arrivate” una coppia di attrici perfette per i rispettivi ruoli: Gillian Anderson è una Thatcher a più livelli, complessa, che ci è impossibile amare o odiare totalmente. Emma Corrin, classe 1995, al suo primo ruolo davvero importante dopo una partecipazione alla serie DC Pennyworth, è Lady Diana Spencer: la grande sorpresa in un cast di attori formidabili.
The Crown 4: la prima volta della Gran Bretagna con due donne al comando
Nonostante le dinastie di tutto il mondo abbiano sempre favorito sovrani di sesso maschile (il primogenito maschio è il figlio più importante di una coppia reale), la Corona Inglese ha un primato singolare: due dei suoi sovrani sono rispettivamente al quarto e al decimo posto nella classifica dei reali con il regno più longevo. E sono entrambi donne. Si tratta proprio di Elisabetta II, il cui regno dura da quasi 69 anni, e della regina Vittoria, sul trono per 63 anni e 216 giorni. Donne e potere: è questo il cuore di questa quarta stagione.
The Crown 4 si apre infatti proprio con l’elezione di Margaret Thatcher come Primo Ministro, la prima donna a ricoprire questo ruolo. Negli interni polverosi di Buckingham Palace, che ormai, proprio grazie alla serie Netflix, ci sembrano quasi familiari, vediamo Filippo dire alla moglie: “Per la prima volta ci sono due donne al potere”. Per sentirsi rispondere: “Forse è proprio ciò di cui questo paese ha bisogno”.
Donne e potere: è questo il cuore di questa quarta stagione.
Fin dal primo episodio parte un confronto – inizialmente curioso, che poi si tramuta in un vero e proprio scontro – tra queste due figure che definire iconiche è riduttivo: da una parte il potere reale, quasi divino, tramandato di generazione in generazione. Dall’altro quello politico, conquistato sul campo, con lotte e sacrifici. Benché inizialmente entrambe credano di essere molto diverse l’una dall’altra, in realtà la regina e il Primo Ministro hanno molto più in comune di quanto non pensino. Ed è forse per questo che, nonostante spesso non siano d’accordo, si rispettano reciprocamente. Almeno nella versione di Peter Morgan, che ancora una volta fonde con abilità incredibile realtà (la ricostruzione di apparizioni pubbliche e fotografie ufficiali è come sempre maniacale, curata nel minimo dettaglio) e finzione.
Proprio come Elisabetta II, Thatcher ha sempre dovuto confrontarsi con un ambiente principalmente maschile: in rapidi passaggi la vediamo unica studentessa di chimica all’università, poi unica laureata in legge e unica donna del Partito Conservatore. Tra tanti completi neri, il suo vestito blu elettrico è l’unico a spiccare.
Così come inizialmente la regina è stata trattata con insopportabile paternalismo da tutti i consiglieri che aveva accanto, il Primo Ministro ha dovuto dimostrare di essere all’altezza, di essere in grado di reggere la pressione. Nel farlo, Morgan suggerisce che abbia man mano abbandonato tutte le proprie caratteristiche femminili, che, anzi, disprezzava apertamente, costruendosi una corazza di intransigenza inscalfibile. Da qui deriva il fascino di una figura che racchiude una serie di contrasti: benché sia un simbolo importante per le donne, ha sempre pubblicamente scoraggiato il partito femminista.
Benché sia stata madre (estremamente interessante il racconto dello smarrimento nel deserto del figlio, durante la Parigi-Dakar, nell’episodio numero 4, “Favourites”) non ha trattato amorevolmente la Nazione, anzi, l’ha sempre bacchettata al grido di “maggiori sacrifici oggi per maggiori vantaggi domani”.
Gillian Anderson nel ruolo di Margaret Thatcher è straordinaria.
Gillian Anderson in questo ruolo è straordinaria, surclassando Meryl Streep nel film The Iron Lady (per cui l’attrice americana è stata premiata con il terzo Oscar): la sua Tharcher non è monolitica, ma una vera e propria matrioska da scoprire. Vediamo la ragazza di umili origini che ha lottato con tutta se stessa per migliorare la sua condizione; la madre; la moglie e l’intransigente leader politico. La chiave per Anderson non è però la mimesi, come è stato per la collega Streep, ma una profonda comprensione dell’essere umano, eternamente in lotta con se stessa. È come se l’attrice stesse mostrando una donna che più cerca di soffocare le proprie caratteristiche femminili, più sembra sul punto di cadere a pezzi. Quasi una caricatura quindi, di qualcuno che finge di essere qualcosa di diverso da sé.
Olivia Colman ormai è più vera della stessa regina.
Esattamente come Elisabetta II: Olivia Colman ormai è più vera della stessa regina. Sembra essere trascesa: non è più un essere umano, ma un simbolo che, quanto più diventa consapevole del proprio ruolo, più sembra lasciarsi alle spalle ogni legame con ciò (e soprattutto chi) le sta attorno. Incapace di toccare fisicamente i suoi figli, parchissima di dimostrazioni d’affetto e parole d’incoraggiamento, concede il suo tocco a una figura lontanissima dal suo status: nell’episodio numero 5, “Fagan”, Morgan immagina cosa si siano detti la regina e Michael Fagan, disoccupato introdottosi nella sua stanza nel 1982. In quel momento è come se Elisabetta II parlasse con tutto il suo popolo e per la prima volta si mostra davvero comprensiva, gentile, materna. I suoi sudditi sono i suoi figli. Quelli veri invece, sembra proprio non riuscire a farseli piacere.
E alla fine arriva Lady Diana
Ed è qui che diventa fondamentale l’arrivo di Lady Diana, che sconquassa Buckingham Palace con la forza di un uragano: inizialmente scelta perché più giovane e inesperta rispetto a Camilla (Emerald Fennell), l’unico grande amore di Carlo (Josh O’Connor), la Principessa di Galles diventa molto di più di una semplice consorte in grado di assicurare un erede. Vitale, moderna e attratta dalla fama come una falena è attirata dalla luce, riesce in ciò in cui il marito, a tutt’oggi, ancora non ha avuto successo: mettere in ombra la regina.
La principessa Diana diventa una stella che mette in ombra tutta la Famiglia Reale. Perché si presenta come tutto ciò che gli altri non sono mai stati.
Ne aveva sofferto Margaret nelle altre stagioni (interpretata di nuovo da Helena Bonham Carter, protagonista di uno degli episodi più toccanti, il numero 7 “The Hereditary Principle”) e ora non riesce a sopportarlo Carlo: la sindrome dell’eterno secondo è una piaga che affligge chiunque non porti la corona in Casa Windsor. Tranne per Diana: amatissima si in patria che all’estero, come dimostrano i viaggi in Australia e New York, la principessa diventa una stella che mette in ombra tutta la Famiglia Reale. Perché si presenta come tutto ciò che gli altri non sono mai stati: legatissima ai proprio figli, amorevole con gli sconosciuti, pronta al contatto fisico. In una parola: umana.
Il contrasto con il marito, che emerge prestissimo, è quindi destinato a peggiorare sempre di più: inizialmente quasi geloso del rapporto che Diana ha con i figli (sembra essere rimasto un eterno bambino in cerca di affetto dalla madre, ma, come lei, non riesce ad abbracciare il primogenito William), Carlo diventa sempre più insofferente per l’affetto e l’attenzione che la moglie riesce a catalizzare su di sé, lasciandolo, ancora una volta, nell’ombra. Diversi come il giorno e la notte (Carlo ama l’opera lirica, Diana ascolta David Bowie, Queen e ama i musical come Il fantasma dell’opera di Andrew Lloyd Webber) i due sembrano due pianeti in collisione: da una parte la rigidità e l’incapacità di cambiare della Famiglia Reale, dall’altra la forza di un mondo che sta mutando, dando sempre più spazio alle donne, a diverse culture, a chi è nato svantaggiato.
Uno scontro che, anni dopo, ha portato al matrimonio di Harry, secondo figlio di Diana e Carlo, con Meghan Markle, attrice americana.
Al momento non c’è una serie tv scritta e recitata meglio di The Crown. Per fortuna questo quarto capitolo non è l’ultimo: manca la terza “muta”. Netflix ha infatti annunciato altre due stagioni, con un nuovo cambio di interpreti. Olivia Colman passerà lo scettro a Imelda Staunton. Nel frattempo possiamo dire che Peter Morgan ha realizzato la risposta inglese a Mad Men: ma, a differenza della serie di Matthew Weiner, sta lavorando su una scala temporale e geografica ancora più vasta. Siamo sicuri che il suo regno televisivo non ci deluderà.