Albert Einstein non è soltanto uno dei più grandi fisici della storia, ma anche un personaggio incredibile che è riuscito a conquistare anche chi non è appassionato di scienza. Con questo speciale iniziamo il nostro viaggio monografico sui grandi della storia della scienza (e non solo).

Albert Einstein nasce ad Ulma, in Germania, il 14 marzo del 1879. Figlio di Hermann Einstein e di Pauline Koch, una famiglia benestante proprietaria di una piccola azienda che produceva macchinari elettrici.

Frequentò una scuola elementare cattolica e, su insistenza della madre, gli furono impartite lezioni di violino. All’età di cinque anni il padre gli mostrò una bussola tascabile ed Einstein si rese conto che qualcosa nello spazio “vuoto” agiva sull’ago spostandolo in direzione del nord. Avrebbe descritto in seguito questa esperienza come una delle più rivelatrici della sua vita.

La leggenda vuole che all’inizio non fosse così portato con la matematica: leggenda poi rivelata non proprio veritiera. Sì, perché nel sistema scolastico svizzero in quel periodo le votazioni adottavano una scala da 1 a 6 e probabilmente qualcuno ha scambiato un voto altissimo per una sufficienza.

Nell’agosto del 1886 Pauline commentava così l’ottimo profitto scolastico del figlio:

Ieri Albert ha ricevuto la pagella,
è nuovamente il primo della classe.

Il giovane Albert, per quanto desse ai familiari segni di ingegno precoce riportando buoni voti sia in matematica che in latino, non si distinse nelle scuole medie trovandosi molto in disappunto con il rigido ambiente scolastico e entrando poi in conflitto coi professori.

La fortuna poi non sorrise alla famiglia Einstein durante quel periodo: arrivò il fallimento delle officine elettrotecniche nazionali Einstein-Garrone. la famiglia dovette trasferirsi di frequente: prima a Monaco di Baviera, poi nel 1894 a Pavia, a Palazzo Cornazzani, dove Albert scrisse il suo primo articolo scientifico, e due anni dopo a Berna in Svizzera.

Einstein bambino con sua sorella Maja

Quando la famiglia si trasferì a Milano Einstein, allora diciassettenne, restò in Svizzera per proseguire gli studi, ma li abbandonò poco dopo per ricongiungersi con la famiglia. Non avendo la regolare licenzia media, fu rifiutato nel 1895 dal Politecnico di Zurigo non riuscendo nemmeno a superare gli esami di ammissione, nonostante la sua propensione alla matematica e alla fisica.

Non contento di quel “fallimento” Albert andò a studiare per un anno al Gymnasium di Aarau dove riuscì a conseguire il diploma nel 1896. Nell’ottobre dello stesso anno ritentò l’esame di ammissione al Politecnico, finalmente superandolo. Durante il primo anno di studi, nel 1896, conobbe Mileva Marić, sua compagna di studi, di cui si innamorò.

Mileva era l’unica donna ammessa a frequentare il politecnico federale svizzero.

Concluse gli studi al politecnico nel luglio 1900, quarto per voti tra i cinque giovani promossi quell’anno. Dopo la laurea cominciò a lavorare all’Istituto brevetti di Berna dove con l’amico di lavoro Michele Besso fondò il gruppo “Accademia Olimpia”, dove si parlava di filosofia e scienza.

 

Lo straordinario 1905

Il 1905 per Albert Einstein è stato letteralmente un anno di svolta, nel quale ogni lavoro e idea diventava subito dopo pubblicazione o articolo scientifico. In poco meno di sette mesi riuscì a pubblicare addirittura sei lavori:

  1. Il primo articolo fu ultimato il 17 di marzo e spiegava l’effetto fotoelettrico in base alla composizione della radiazione elettromagnetica di “quanti discreti di energia” (poi ridenominati fotoni), secondo il concetto di quanto ipotizzato nel 1900 da Max Planck. Questo studio gli varrà il Premio Nobel per la fisica nel 1921 e contribuirà al futuro sviluppo futuro della meccanica quantistica.
  2. Il 30 aprile concluse la tesi di dottorato sul tema “Nuova determinazione delle dimensioni molecolari“. Successivamente diventerà lo scritto di Einstein più citato nella letteratura scientifica degli anni settanta.
  3. L’11 maggio pubblicò un articolo sul moto browniano, che costituiva uno sviluppo ulteriore della sua tesi di dottorato.
  4. Il 30 giugno ci fu una prima memoria dal titolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper (Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento) che riguardava l’elettrodinamica dei corpi in movimento. Il lavoro aveva come oggetto l’interazione fra corpi carichi in movimento e il campo elettromagnetico vista da diversi osservatori in stati di moto differenti. La teoria esposta nell’articolo, nota poi in un secondo momento con il nome di Relatività ristretta (o speciale), risolveva i contrasti tra teoria meccanica e teoria elettromagnetica della luce che avevano caratterizzato la fisica dell’Ottocento, con una revisione dei concetti di spazio e di tempo assoluto.
  5. Un’altra memoria sulla Relatività ristretta, datata il 27 settembre, conteneva la formula che l’ha reso celebre al mondo, E=mc²
  6. Conclude l’anno con un ultimo articolo, sempre sul moto browniano, pubblicato il 19 dicembre.

 

La Teoria della Relatività Generale

Anche chi non è esperto in materia, o addetto ai lavori, non può non conoscere la teoria più famosa del fisico tedesco: il lavoro che l’ha consacrato negli annali della scienza.

Nel 1915 Einstein propose una teoria relativistica della gravitazione, denominata relatività generale, che descriveva le proprietà dello spazio-tempo in quattro dimensioni: secondo questa teoria la gravità non è altro che la manifestazione della curvatura dello spazio-tempo. Einstein dedusse le equazioni del moto da quelle della relatività speciale valide localmente nei sistemi inerziali. Ipotizzò tra l’altro anche il modo in cui la materia curva lo spazio-tempo imponendo l’equivalenza di ogni possibile sistema di riferimento (da qui il nome di “relatività generale”).

Per Einstein il movimento era un concetto relativo, che poteva essere descritto in qualsiasi sistema di riferimento inerziale: tutti gli osservatori che descrivono i fenomeni fisici nei sistemi di riferimento giungono alle stesse leggi di natura.

La novità introdotta dal fisico tedesco fu quella di aver stabilito che la velocità di propagazione della luce, rispetto a un qualsiasi osservatore, è sempre la stessa: cioè di 300.000 Km/s.

Il concetto di invarianza della velocità della luce veniva determinato dalle equazioni di Maxwell, secondo le quali la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche si considera come una “costante naturale” e secondo Einstein due osservatori in moto uno rispetto all’altro misurano la stessa velocità (della luce). Dalle equazioni di Maxwell veniva fuori infatti che la velocità della luce si propaga nel vuoto a velocità finita e, in particolar modo, costante, un fenomeno inconciliabile con la relatività passata di Galileo (ormai superata).

Uno degli esempi migliori per quanto riguarda la teoria della relatività è quello del foglio di gomma: lo spazio-tempo si può immaginare come una superficie morbida che viene curvata dalle masse che vi sono appoggiate. La forza di gravità avvertita, per esempio, dalla Terra nei confronti del Sole è il risultato della curvatura del foglio di gomma quadridimensionale causata dalla massa del Sole stesso.

 

Il premio Nobel del 1921

Il suo grande studio sulla relatività, che descriveva le proprietà dello spaziotempo a quattro dimensioni,  fu proposto nel 1915. Due anni dopo, nel 1917, un altro studio fece capolino nelle cattedre scientifiche: il legame tra la legge di Bohr e la formula di Planck dell’irraggiamento del corpo nero. Nello stesso anno introdusse la nozione di emissione stimolata, che sarebbe poi stata applicata alla concezione del laser.

Finalmente nel 1919, con le misurazioni dell’astrofisico Arthur Eddington, ci fu modo di confermare e provare la fondatezza della Teoria della Relatività: durante un’eclissi solare Eddington riuscì a verificare che la luce emanata da una stella era deviata dalla gravità del sole.

Ma è il 1921 l’anno che lo consacra ufficialmente con il massimo riconoscimento: riceve difatti il Premio Nobel per la Fisica per il suo lavoro del 1905 sulla spiegazione dell’effetto fotoelettrico (il premio fu però effettivamente assegnato nel 1922).

 

Non solo un genio

Albert Einstein non è stato solamente un genio assoluto per la grandezza dei suoi studi. Era anche un personaggio molto particolare, un classico nerd dell’epoca. Tra le tante curiosità che abbiamo scovato nei vari libri e nella rete, ricordiamo che il famoso fisico era dislessico (aveva una grande difficoltà a leggere fluentemente) ed ebbe molti problemi a scuola: dai racconti si evince che era molto svogliato e parlava lentamente.

Sembra quasi un ossimoro per uno che i numeri li doveva studiare di continuo, ma aveva una pessima memoria: non riusciva a memorizzare nomi, date e numeri di telefono.

Albert e Elsa Einstein

Il suo matrimonio con Mileva non finì per niente bene. Nel 1912 Albert iniziò una relazione con la cugina trentaseienne divorziata Elsa Löwenthal e per incontrarla spariva per giorni interi. Tornò a casa solo quando la moglie Mileva non accettò una serie di incredibili condizioni dettate da Albert: la donna si sarebbe dovuta occupare di tutte le faccende domestiche, avrebbe dovuto servire i tre pasti in camera ad Albert senza aspettarsi neanche un saluto, avrebbe dovuto rinunciare ad ogni rapporto personale o intimo e doveva uscire all’istante dalla stanza e senza protestare… Dopo pochi mesi di quest vita assurda, Mileva decise di tornare con i figli a Zurigo e nel 1919 i due divorziarono, a fronte di un buonissimo accordo economico.

Nello stesso anno Einstein sposò in seconde nozze la cugina Elsa, a cui restò legato fino alla morte di lei nel 1936.

 

La linguaccia che ha conquistato il mondo

La famosissima foto fu scattata fotografo Arthur Sasse durante il suo settantaduesimo compleanno, all’uscita del Princeton Club. Quando il reporter vide il premio Nobel entrare in auto con Frank Aydelotte, direttore del Institute for Advanced Study, gli si precipitò incontro chiedendogli con insistenza di sorridere per un ultimo scatto.

La foto originale include oltre ad Einstein (al centro) anche Frank Aydelotte (a destra) e la moglie (a sinistra)

Ma Einstein, che durante tutta la serata aveva concesso centinaia di sorrisi e posato per altrettante fotografie, era visibilmente stanco e così per far capire a Sasse che non era più il caso di inseguirlo, gli mostrò la lingua.

Quella fotografia, divenuta un’icona, è stata battuta all’asta per la cifra record di 125.000 dollari.

Tra le tante curiosità c’è anche quella riguardante il suo cervello. Albert Einstein il 17 aprile del 1955 fu colpito da una improvvisa emorragia causata dalla rottura di un aneurisma dell’aorta addominale, arteria che era stata già rinforzata precauzionalmente con un’operazione chirurgica nel 1948. Fu ricoverato all’ospedale di Princeton, dove morì a 76 anni nelle prime ore del mattino del giorno dopo (precisamente alle 1:15 del 18 aprile 1955)

Thomas Stoltz Harvey, il medico che effettuò l’autopsia sul suo corpo, rubò il suo cervello e lo tenne in un vasetto per ben quarantatré anni.