Ha debuttato il 23 maggio in edicola e fumetteria nientemeno che un nuovo eroe della Sergio Bonelli Editore: Mercurio Loi.
A dargli vita è stato Alessandro Bilotta, una delle migliori penne in circolazione.
Come nelle migliori storie… l’avventura è iniziata con un volume autoconclusivo (nella serie antologica Le Storie, 2015) e ci si è accorti che non poteva finire lì.
Il personaggio ha dimostrato carattere e potenzialità e soprattutto è piaciuto ai lettori.
Ecco quindi la serie ufficiale di Mercurio Loi, un personaggio a metà strada tra Sherlock Holmes (per le abilità deduttive), il Dottor House (per il caratterino).
Il vero motivo di interesse, però, lo ha raccontato lo stesso Bilotta durante i vari eventi di lancio della collana: l’ambientazione nell’oscuro periodo storico della Roma papalina.
Non è una serie storica, ma una serie ambientata in un periodo storico, un periodo mai raccontato, che definirei quasi surreale.
Ci sono un Papa-Re, un universo di sette e cospiratori, un’atmosfera e un’architettura politica suggestiva.
Il clima ricorda quello di V for Vendetta: il Papa controlla la città, un colpo di cannone annuncia il coprifuoco.
Un vero e proprio “mondo di matti”, e non a caso il primo numero si intitola “Roma dei Pazzi”.
Ovviamente non ci sono pretese di attendibilità storica, ma Bilotta, ben sostenuto dai disegni di Matteo Mosca, crea da subito un microcosmo di realtà surreale dove tutto è possibile.
Niente di fantasy/fantascientifico, ma ugualmente bizzarro, a tratti. E poi ci sono un eroe con il suo assistente, una nemesi con un piano malvagio, personaggi di contorno a dir poco assurdi, misteri da risolvere…
Una lettura davvero piacevole che consiglio non solo a chi ama i fumetti Bonelli, ma soprattutto ai curiosi che vogliono finalmente leggere una serie ambientata in Italia (un po’ d’amor patrio, diamine!), scritta in maniera solida e classica e disegnata da alcuni dei nomi più eleganti della casa di Tex e Dylan Dog.
Ma come si stava a Roma nella prima metà dell’Ottocento? La situazione non era certo troppo lontana da come la immagina Alessandro Bilotta.
Di certo il lavoro di documentazione sul periodo deve averlo esaltato abbastanza, e di sicuro divertito.
Lo stesso divertimento che spero proveremo noi, insieme, ad andare a vedere per sommi capi un personaggio indicativo dell’epoca, un tizio che potrebbe stare benissimo su un fumetto ai giorni nostri… e magari anche su Facebook.
Papa Leone XII, un Pontefice-Re da antologia
Lo Stato Pontificio è sicuramente uno degli scenari più incredibilmente vivi e attivi dell’Italia del primo Ottocento.
La storia dei molti papi che si sono avvicendati è varia e piena di episodi e vicende capaci di solleticare la fantasia di storici, autori di fiction e roleplayers.
Per fare un esempio, prenderò in esame la vita del pontefice che visse a cavallo dell’anno in cui sono ambientate le vicende di Mercurio Loi, il 1826.
Poco più di cinque anni di pontificato che videro moltissimi avvenimenti e tante svolte anche di carattere epocale.
Il nostro protagonista si chiamava Annibale Sermattei Della Genga e nacque a Genga, Fabriano il 20 agosto 1760. Sesto di dieci figli del Conte Flavio e dalla contessa Maria Luisa Periberti di Fabriano. Ordinato sacerdote nel 1783, in breve diventò vescovo di Tiro e fu poi inviato da papa Pio VI come nunzio apostolico in Germania.
Non ebbe là una gran carriera, dato che Napoleone prima e Federico I Wurttemberg poi gli resero impossibile portare a casa qualche risultato nelle trattative con le varie realtà territoriali teutoniche.
Dopo un altro paio di esperienze sfortunate in giro per l’Europa, vide Napoleone occupare Roma e pensò bene di fuggire a Monticelli. Era così convinto di poter fare qualcosa di buono nella vita che decise in quel momento di prepararsi già la tomba (già, se passate da quelle parti c’è la lapide con l’epitaffio sopra)
Pio VII, che a quanto pare provava simpatia verso di lui, non appena il vento ambiò lo riporto a Roma, nelle vesti di vicario, nonostante le sue condizioni di salute non fossero perfette.
Il Signore opera in modi strani, ed ecco che alla morte del Papa a lui tanto caro (1823), si ritrovarono a scontrarsi nel Sacro Collegio gli uomini di chiesa filo-austriaci (conservatori) e quelli moderati.
Nonostante la varie manovre sopra e sotto banco, il Conclave per 26 giorni non diede risultati.
Alla fine, grazie all’arrivo provvidenziale di nuovi cardinali (che si dimostrarono filo-austriaci), il Nostro raccolse i voti necessari per essere eletto papa, e assunse il nome di LEONE XII.
Prima mossa: eliminare le spinte riformatrici, anche se caute. Via il segretario di Stato, cardinale Consalvi, e benvenuto al cardinale Giulio Maria Della Somaglia, decisamente contrario a liberalismo e rinnovamento.
Ecco che nell’enciclica ‘Ubi primum’ del 1824, Leone XII enunciò la volontà di restaurazione della fede attraverso la lotta all’indifferentismo religioso. Condannò il pensiero illuminista e le tante sette che proliferavano nel sottobosco romano (e non solo)
Insomma, un clima fantastico per lo Stato Pontificio, specchio perfetto di un secolo che sarebbe stato più che mai diviso tra restaurazione fede vs. ragione, autoritarismo e tensione sotto la superficie.
A proposito della lotta alle società segrete, sulle quali poi torneremo: al timone dell’operazione fu messo il cardinale Agostino Rivarola, un personaggino di quelli da letteratura di Dumas.
La sua fama lo precedeva; intransigente, rigido, simpatico come una pigna infilata nelle oscurità intestinali.
La sua missione partì dalla Romagna. Immaginate una sorta di Torquemada in sedicesimo, con poteri illimitati, con il mandato di spezzare le gambe a tutte le persone che si riunivano con il fine poco nobile di rovesciare l’ordine costituito.
Il procedimento? Il migliore, secondo tradizione di madre Chiesa. Processi sommari, indizi che valgono come prove.
Va detto che, a differenza dell’Inquisizione, le torture erano molto meno presenti e spesso il processo finiva con un ammonimento mirato a spaventare i cospiratori.
Se però i sospettati/condannati venivano ritrovati a partecipare a riunioni sovversive, o anche solo in contesti sospetti, allora la galera era inevitabile.
Chiunque fosse ritenuto a capo di una setta poteva vedersi però recapitare sul groppone la pena capitale (ogni tanto commutata in svariati anni in gattabuia). Lo strumento della delazione era il benvenuto, e se qualcuno non si piegava al fare nomi, si ritrovava in catene.
I metodi di Rivarola portarono alla condanna in un sol giorno di oltre 500 persone, di cui una decina si fecero un giretto sul patibolo.
E non si guardava in faccia nessuno: nobili e semplici cittadini, operai e possidenti terrieri, avvocati e persino preti.
Il cardinale in questa situazione pareva sguazzarci, tanto che dopo aver fatto il cattivo tempo si divertì in seguito a fare il bello, giocando a scacchi con il territorio dove fu inviato e adoperandosi per rimettere a posto il morale, ricomporre famiglie, inimicizie dovute a soffiate.
Inutile dire che il bastone e la carota, dopo aver rovinato la vita di diversa gente, non sempre si rivela la strategia migliore. Quindi qualcuno pensò bene di dimostrare il suo apprezzamento ai giochini del cardinale rivolgendogli contro una rivoltella.
Laddove non poté lo Spirito Santo, poterono i proiettili: Rivarola uscì illeso dall’attentato ma decise di scendere a più miti consigli con la comunità romagnola e non solo.
Pensate quindi che il Papa Leone XII avesse capito l’antifona? Come no! Richiamò il cardinale ormai soffice e ne inviò un altro, Filippo Invernizzi, che riuscì nella meravigliosa impresa di risultare più bastardo e impopolare del suo predecessore.
Si narra che le celle delle carceri ospitassero il doppio degli uomini previsti, e che si divertisse a incarcerare i delatori insieme ai condannati…
La “simpatia” che il pontefice si era guadagnato presso le sette segrete si dimostrò utilissima durante l’organizzazione del Giubileo del 1825: scoraggiò praticamente ogni tentativo di sabotaggio.
Questo naturalmente non rese l’impresa più agevole.
Negli intenti sarebbe dovuto essere un evento destinato a rinsaldare e rilanciare la fede cristiana, ma far quadrare logistica e conti in uno scenario messo a dura prova dalle scorribande napoleoniche in Europa e i movimenti sovversivi che fomentavano il distacco dalla religione non era facile.
Nonostante tutto, il pontefice si rivelò molto diverso da come era stato in passato e con mano saldissima pianificò tutto nei minimi dettagli, soprattutto la sicurezza dello Stato Pontificio: il risultato fu un’affluenza da record di pellegrini e pochissimi incidenti. Insomma, un successone.
Talmente memorabile che Leone XII negli stessi giorni giubilari riuscì addirittura, grazie ai suoi fedelissimi, a mettere dietro le sbarre una delle più temibili bande di briganti dell’epoca, i Gasperone.
Sotto il profilo dei lavori pubblici, nel suo pontificato Annibale si diede da fare per migliorare la praticabilità di molte vie principali di Roma, trovando il consenso degli abitanti.
Pensi che le ordinanze anti-accattonaggio siano state un’idea della Lega Nord? Niente di più sbagliato.
Il nostro pontefice nel 1826 lanciò un vero e proprio censimento mascherato dei mendicanti.
L’idea, poi portata avanti per decenni, fu quella di consentire la questua solo sul sagrato delle chiese.
Una trovata utile e pratica, perché il controllo divenne più facile anche in termini di ordine pubblico.
Ad avere la vita meno facile furono gli ebrei, che si videro ridotte le libertà, negati i diritti di proprietà e il commercio confinato in tempi prestabiliti. La situazione nei ghetti divenne tanto insostenibile che molti degli ebrei romani emigrarono in altri Stati italiani.
Nonostante i viaggi all’estero giovanili e gli incarichi in Paesi stranieri, Leone XII era tutto fuorché capace di cogliere il momento di grande slancio che attraversava l’Europa: fottendosene del libero scambio decise di far applicare a ogni tipo di merce straniera dei dazi pontifici altissimi.
Considerato che lo Stato pontificio non aveva al suo interno né grandi colture né imprese o commerci di grande rilievo, questo si tradusse in un costo della vita altissimo e dei consumi bassi.
E condizioni non proprio fantastiche per larghe fasce degli abitanti, molti dei quali morivano letteralmente di fame.
Da notare che, zitto zitto, Leone XII in uno slancio di entusiasmo tolse dall’Indice le opere di Galileo Galiei.
La questione più controversa però è di sicuro quello che riguarda la presunta “bufala” secondo la quale il Papa avrebbe promulgato un il divieto di vaccinazione contro il vaiolo.
Fu uno storico di solida fama come Benedetto Croce a scrivere che
proibì l’innesto del vaiuolo che mischiava le linfe delle bestie con quelle degli uomini: vani sforzi che poi cedettero dal più al meno alle necessità dei tempi.
Gli storici più recenti tendono però a rigettare questa teoria, sostenendo che non ci sono documenti reali che possano provare l’esistenza del divieto.
Leone XII, per quanto ne sappiamo, tolse nel 1824 l’obbligatorietà della vaccinazione nello Stato Pontificio. Il motivo? A gran parte della popolazione non andava a genio per la sua presunta pericolosità (suona familiare?)
Annibale Sermattei Della Genga, papa Leone XII, morì a 69 anni, il 10 febbraio 1829. Non si può dire che fu uno che dormiva sugli allori.
Sette, sette, sette dappertutto.
Il clima della restaurazione non fece altro che preparare il terreno per il grande periodo delle sette e società segrete, di cui si fissa una data indicativa nel 1815.
Da quell’anno in avanti si assiste ad un fenomeno sempre più presente fra giovani, studenti, intellettuali e borghesi che in testa avevano nuove idee di libertà, democrazia, unità nazionale.
Le società segrete più celebri e determinanti in quel periodo sono state la Massoneria e la Carboneria.
Cercare di ricostruire le origini della Massoneria è impresa ardua: la Libera Muratoria risale probabilmente all’epoca delle corporazioni di mestieri, in particolare quelle dedicate al settore edile, strutturate in gerarchie.
La corporazione dei muratori fu una delle più resistenti, strutturate e longeve. L’apertura a membri che non fossero strettamente lavoratori, ma anche nobili e intellettuali, all’inizio fu vista come un aiuto alla corporazione.
Nel corso dei secoli il numero dei professionisti diminuì sempre più per lasciare spazio a personaggi provenienti da ogni settore.
Londra fu il centro delle principali operazioni della Massoneria, oltre al primo luogo a veder sorgere una grande Loggia, fusione di alcune preesistenti.
La Loggia era il luogo in cui si tenevano le riunioni, che nel corso dei secoli videro trasformarsi la loro natura da corporativa a quella di un’associazione chiusa e segreta che stabiliva comportamenti e attività civili e sociali.
In Italia la setta si diffuse a partire dalla prima metà del 1700, soprattutto a Roma, Firenze, Milano, sebbene come abbiamo visto nel nostro Paese la Massoneria si scontrò con la dura repressione della Chiesa.
Tutto questo nonostante l’ideologia di base fosse quella cristiana, sebbene non attinente ai dogmi.
Tra i vari simboli uno dei più importanti era il martello, simbolo del maestro venerabile che presiedeva le riunioni e le cerimonie. I gradi presenti all’interno della Loggia erano quelli di apprendista, compagno e maestro.
A partire dalla seconda metà del ‘700 la Massoneria contribuì a diffondere le idee dell’Illuminismo in tutta Europa.
Non è mai stato appurato ufficialmente il ruolo della setta nel periodo dei moti per la liberà e l’unità d’Italia, ma si ritiene che i principali protagonisti fossero affiliati anche alla Libera Muratoria.
Molti personaggi fondamentali della storia del Risorgimento, leader e attivisti delle attività di lotta per la democrazia in Italia furono membri della Massoneria: tra i loro nomi si pensa a quelli di Francesco Crispi e Giuseppe Garibaldi.
Una delle più famose e “romantiche” delle sette segrete, almeno in Italia, è la Carboneria.
Quanti di noi studiando alla scuole medie i moti carbonari nel periodo risorgimentale non hanno immaginato dei combattenti per la libertà nascosti in vicoli fumosi e riuniti in scantinati a lume di candela per dare all’Italia libertà e democrazia?
La nascita ufficiale avviene nel regno di Napoli, nei primi anni del 1800, ad opera di alcuni ufficiali francesi che fuoriuscirono dalla Massoneria.
Ben presto la setta arrivò nel resto d’Italia, ma anche in Francia e in Spagna.
Fu in Francia, nella seconda metà del 1700, che si registra per la prima volta l’esistenza dei Charbonniers (altresì detti “Società dei Buoni Cugini”).
Gli ufficiali francesi in Italia erano decisi e rivoltarsi contro Murat e Napoleone e non esitarono ad allearsi con gli inglesi per ricevere sostegno economico e aiuto materiale.
I primi ad aderire alla Carboneria furono militari, aristocratici, intellettuali, borghesi.
Tutti spinti da idee “illuminate”. La struttura gerarchica, massima segretezza e linguaggio cifrato erano le caratteristiche fondamentali.
Il mestiere dei carbonari fu “adottato” per ragioni pratiche: gli spostamenti e i travestimenti erano all’ordine del giorno per passare inosservati, e chi meglio dei lavoratori che viaggiavano per trovare legna da trasformare in carbone poteva depistare sospetti?
L’organizzazione, fortemente centralizzata, vedeva una “grande vendita” spesso regionale, con pochi membri al vertice.
C’erano poi le “vendite locali” (o “baracche”) composte da una ventina di membri, definiti “cugini”.
Chi entra nella Carboneria ha il titolo di “apprendista” e solo dopo un periodo di prova inizia a conoscere gli scopi della setta. In quasi tutti i casi la Carboneria era divisa in tre gradi: apprendista, maestro e gran maestro.
La segretezza faceva il paio con l’intento di “formare” i nuovi arrivati attraverso strutture e regole precise; sul versante ideologico si passava dalla semplice ideologia all’indottrinamento sull’importanza di una costituzione e dell’indipendenza.
I piani politici dettagliati erano solo per chi arrivava al terzo livello.
Molti gli obiettivi che la varie Carbonerie cercavano di raggiungere: dal rovesciamento del potere temporale del papa nello Stato Pontificio alla conquista dell’indipendenza dall’Austria nel Lombardo-Veneto .
Purtroppo fu proprio l’estrema segretezza a decretare il fallimento della Carboneria.
Senza un vero coordinamento nazionale, le diverse “vendite locali” non furono mai davvero collegate e spesso dispersero le energie. Inoltre, tenere completamente all’oscuro i membri dei piani, costringendoli a compiere missioni senza informazioni e a riti incomprensibili indebolì le varie strutture.
Infine, come spesso ci hanno detto a scuola, il carattere troppo elitario per una setta che si proponeva di passare all’azione era il colpo di grazia: il mancato coinvolgimento del popolo sia a livello di propaganda che di idee portò al fallimento dei pur generosi moti carbonari nelle varie parti d’Italia.
- Mercurio Loi (sergiobonelli.it)