Sulla schiera di molti film d’inchiesta come uno dei vincitori all’Oscar, Il Caso Spotlight di Tom McCarthy, e il più cinematograficoTruth di James Vanderbilt, arriva Zona D’Ombra – Concussion, film di Peter Landesman con Will Smith basato sulla storia vera del neuropatologo forense Bennet Omalu che fece un’importante scoperta sui devastanti effetti subiti dai giocatori di football.
Zona d’Ombra è un thriller drammatico che corre sul genere d’inchiesta, il quale, mai come quest’anno, ha trovato la sua massima espressione. Una “piccola” storia alla Davide contro Golia dove, in questo caso, Golia è l’intera America concentrata sul loro sport nazionale, il football americano.
Il football professionistico è più di uno sport. Più di un business. È una istituzione nazionale. La posta in gioco è enorme – a livello culturale, sociale ed economico. E come ogni enorme business, ci sono forti interessi che spingono perché vada avanti, a ogni costo.
Quando il dottor Bennet Omalu, interpretato da un bravissimo, ma già visto, Will Smith, fa la “conoscenza” del famoso giocatore Mike “Iron” Webster (David Morse), ancora non sa che le sue scoperte cambieranno per sempre la visione del mondo nei confronti di questo sport.
Webster è un uomo che ha tutto, una leggenda da Hall of Fame. È un idolo e un modello per ogni uomo, ragazzo e bambino americano. Una depressione violentissima lo colpisce. Per i medici dell’NFL (National Football League) è Alzheimer precoce, ma quando il suo cadavere arriva nelle mani di Bennet, la diagnosi sembra essere molto complicata.
Apparentemente Webster è infatti un uomo sanissimo. Il suo suicidio è inspiegabile.
Solo dopo una serie di esami costosissimi, pagati dalle sue stesse tasche, Bennet scopre una terribile verità. Il cervello di Webster era totalmente distrutto prima ancora del decesso.
La sua massa era destinata alla pazzia e alla morte precoce a causa dei veleni rilasciati dalle proteine esplose durante le numerose percosse durante ogni partita: circa 25.000 traumi solo alla testa.
La scoperta di Bennet Omalu, sottoposta a numerosi neurologi, porta alla luce una vera e propria patologia, la CTE, encefalopatia cronica traumatica, la quale va condivisa con il mondo intero. Eppure la NFL non è dello stesso avviso del medico. La forza e il simbolo del football è molto più importante della salute dei suoi giocatori. Quella che è stata una delle più grandi scoperte mediche del nostro tempo, diventerà per il suo ricercatore un incubo al limite tra umiliazione e pericolo di vita.
Zona D’Ombra è una storia durissima. Una storia che racconta come un piccolo uomo non ha solo sfidato l’intero sistema americano, ma tutti gli americani, affrontando le peggiori conseguenze pur di arrivare in fondo alla verità.
Peter Landesman affronta tutto ciò con una profonda sensibilità e rispetto della vita di Bennet Omalu, grazie anche all’esperienza del giornalismo nel campo d’inchiesta.
La stessa storia di Omalu è diventata di dominio pubblico grazie alla giornalista Jeanne Marie Laskas, la quale nel 2009 ha pubblicato la storia del medico sulla rivista GQ.
Solo successivamente l’articolo ha generato un libro e ora, nel 2016, un film.
Ci sono voluti ben 10 anni, cioè dal 2002, anno della scoperta, fino al 2012, prima che i risultati evidenziati da Omalu fossero presi sul serio e considerati autentici.
Dieci anni entro i quali un “piccolo uomo africano”, con la costante minaccia di ritiro di visto, si è ritrovato nell’occhio di un ciclone in cui i più grandi esponenti degli ambienti sportivi lo hanno screditato e calunniato.
Una storia straordinaria ma che non viene raccontata nel migliore dei modi. Si, perché se da un lato Zona D’Ombra cerca di raccontare degli avvenimenti che lasciano lo spettatore incredulo e sbigottito, dall’altro lato il film non riesce a mettersi davvero al servizio della narrazione.
Sebbene l’inizio sia dei migliori, dal monologo veramente molto intenso di Webster, fino alla presentazione di Omalu, verso il suo modo eccentrico, ma minuzioso, di operare, a lungo andare si perde colpi in fattor di dinamismo e coinvolgimento. La storia, già non facile di per sé, tende in questo modo ad appesantirsi, ancorandosi su se stessa.
Una sceneggiatura pulita, fin troppo matematica, che non sorprende o esalta. La ricerca, i passi avanti, gli ostacoli da raggirare non tengono l’attenzione. Ne Il Caso Spotlight il suo limite più grande era proprio la sua maniacalità fin troppo giornalistica, in Truth il voler troppo rendere cinematografico un’inchiesta come quella; nel caso di Zona D’Ombra il limite è voler essere troppo sensibili, troppo delicati con un tema così intenso che, a lungo andare, diventa pesante.
La regia e scrittura di Landesman risultano essere prive di pathos. Un compitino ben fatto che non riesce a provocare quell’empatia che, invece, un film come questo dovrebbe suscitare come prima cosa.
Si rimane sempre troppo estranei nei confronti della narrazione e dello scorrimento dei fatti. Perfino i dialoghi risultano veramente poco credibili, freddi e apatici. Spesso si scivola troppo facilmente nella retorica, dando addirittura fastidio.
Will Smith si conferma essere, ancora una volta, un attore incredibile. Sempre più mirato verso queste parti struggenti. Credibile, veritiero e profondo; eppure, anche nel suo personaggio, è facile ritrovare i volti di interpretazioni passate e sempre al limite del dramma feroce, come La ricerca della felicità di Gabriele Muccino.
Per quanto l’interpretazione di Smith sia convincente, e a volte sia l’unico a rendere davvero partecipe lo spettatore della storia che si sta raccontando, portandolo sul punto anche di commuoversi, c’è sempre una nota un po’ aspra e poco convincente che rompe quella magia.
Decisamente meno autentico è il personaggio interpretato da Alec Baldwin, il dottor Julian Bailes, ex medico della squadra dei Pittsburgh Steelers e primario neurochirurgico della Players Association. Bailes è uno dei pochi a dare man forte a Omalu. Il medico, infatti, aveva già avuto sospetti da molto sugli effetti dello sport.
All’interno della pellicola il personaggio di Bailes sembra avere un aspetto del tutto di funzione. Non ha un minimo di vita propria e non suscita neanche troppo interesse da parte del pubblico. Un personaggio utile solo a mandare avanti l’azione per il protagonista, ma privo di fondamento.
La recitazione di Baldwin non migliora la situazione, anzi. Decisamente sottotono per un attore che, come sappiamo, potrebbe dare molto di più.
Divertente e simpatica, ma anche molto profonda, con quel pizzico ironico per smorzare le situazioni più tragiche è, invece, l’interpretazione del poliedrico Albert Brooks, nella parte del mentore di Omalu, il patologo Cyril Wecht.
Brooks sa dare un aspetto caparbio e paterno, ma al tempo stesso anche molto freddo e cinico al suo personaggio. Intelligente e ironico, con una forte indolenza verso qualsiasi tipo di forma di stupidità. Si rimane immediatamente rapiti dal suo personaggio, e si avrebbe voglia di vederlo più sullo schermo.
Tirando le somme Zona D’Ombra è l’incredibile storia di un uomo raccontata in un buon film che stenta ad accattivarsi il suo pubblico. Un lavoro obiettivamente ben fatto, ma che non vuole andare oltre la matematica perfezione di qualsiasi altra pellicola. Peccato, perché con una storia del genere Peter Landesman avrebbe potuto, e dovuto, osare molto di più.
[mfb_video url=”https://www.facebook.com/leganerd/videos/10154160706258711/” size=”500″ mbottom=”50″]
Zona D’Ombra vi aspetta in tutte le sale a partire dal 21 Aprile.