Pokémon: Generazioni. Come Detective Pikachu ha acchiappato tutti

Ryan Reynolds che doppia la più tenera creaturina del mondo: non basterebbe questo per garantire successo planetario ad un film?

Certo che no: basta il nome Pokémon, che dall’inizio degli anni ‘90 smuove masse di bambini e ragazzini e ormai… beh, anche chi ragazzino non lo è più, e nel frattempo magari è diventato pure genitore.

Ormai Pokémon è un brand totale e pervasivo, i vecchi videogiochi del Game Boy sono fonte inesauribile di meme e parodie geniali, le sue creature e le sue città, per non parlare delle avventure degli allenatori, sono un universo parallelo dove… ci sei dentro oppure no.

Ma è il film alla fine è davvero così “esclusivo”?

Risposta breve: no.

 

 

 

 

Sinossi

La storia inizia quando il geniale detective privato Harry Goodman scompare misteriosamente, costringendo il figlio di 21 anni Tim a scoprire cosa sia successo.

Ad aiutarlo nelle indagini l’ex compagno Pokémon di Harry, il Detective Pikachu: un adorabile, esilarante e saggio super-investigatore che sorprende tutti, persino se stesso.

Avendo scoperto che i due sono equipaggiati per comunicare tra loro in modo singolare, dato che Tim è l’unico essere umano in grado di parlare con Pikachu, uniscono le loro forze.

Si trovano così ad inseguire gli indizi lungo le strade illuminate al neon di Ryme City, una moderna e disordinata metropoli dove umani e Pokémon vivono fianco a fianco: qui incontreranno una serie di Pokémon, scoprendo una trama sconvolgente che potrebbe distruggere la loro coesistenza pacifica con gli umani e minacciare l’universo stesso dei Pokémon.

 

 

Oltre le barriere del culto

Il recente poké-movie di Rob Letterman ha dimostrato che forse, anche chi è a digiuno di sfere poké e palestre con annessi allenatori può godersi un universo rinnovato e rinvigorito dal grande schermo.

Partiamo dall’inizio: il film prende le mosse da uno dei giochi più recenti del fanchise, uscito nel 2016 per il 3DS, e segue la trama canonica, con un giovane ragazzo che fa coppia con un pokémon per risolvere misteri.

Soprattutto il mistero più grande,
la scomparsa di suo padre.

 

 

 

 

Il pretesto è esile, ma coinvolgente, e tutto il resto è un tuffo a testa bassa nell’universo espanso dei mostriciattoli combattenti, fatto di anime, giocattoli, giochi di carte, fumetti di ogni genere…

La realizzazione tecnica è impressionante.

La Ryme City del film è quasi una Los Angeles di Blade Runner, giusto un po’ più pulita e popolata di pokémon, e questo aiuta a costruire subito agli occhi dello spettatore un background credibile.

Bellissimo vedere umani e mostri, realizzati splendidamente, che camminano e lavorano fianco e fianco, vivendo come se fosse la cosa più naturale del mondo.

L’espediente del protagonista “a digiuno” di partnership con un pokémon ci introduce a guardare con occhi vergini la routine della città, in modo che anche uno spettatore sprovveduto riesca pian piano a capire come funziona.

Ci sono poi momenti davvero ben realizzati che hanno un tono completamente diverso l’uno dall’altro: non voglio fare troppi spoiler per chi vuole vederlo in tv, ma la battaglia nell’arena, l’interrogatorio al Mr. Mime, l’ispezione del laboratorio sotterraneo e il momento-Bulbasaur sono davvero dei tocchi di finezza.

Cinema ben girato, prima ancora che blockbuster acchiappa-bambini.

In alcuni frangenti si respira (trama semplice a parte) l’atmosfera di un gran lavoro, e questo con tanti scrittori dietro e influenze di ogni genere, fattori che potevano rivelarsi micidiali.

 

Certo, rimane una pellicola dove più si hanno conoscenze approfondite del materiale di partenza, più si gode.

Soprattutto riguardo nomi, forme e poteri dei pokémon più famosi, spesso introdotti senza tante cerimonie.

Personalmente, pur essendo rimasto piuttosto indietro rispetto ai prodotti usciti nell’ultimo decennio, ho trovato Detective Pikachu uno dei film più vicino allo spirito degli anni ’80 come costruzione di un mondo narrativo.

Un prodotto per bambini che parla ai ragazzini, ma che riesce a farlo anche agli adulti che hanno vissuto l’epoca d’oro di uno dei brand più noti al mondo… e un po’ anche a chi se l’è persa. Un adorabile paradosso.

Il protagonista, Tim, è un giovane-adulto di  21 anni (quindi non un bambino) che soffre dell’assenza (reale e indotta) dei genitori e ha un lavoro che non gli piace.

Praticamente il personaggio con cui i più grandi sono portati a empatizzare.

E poi c’è la questione dei pokémon inclusi nel film, che non sono certo centinaia come quelli esistenti: se ne contano poco più di una cinquantina, ma quelli che hanno rilievo sono tutti della prima generazione.

 

 

 

 

Quindi, chi ha tra i venti e i quarant’anni dovrebbe ricordarsi abbastanza bene di loro e provare quel favoloso senso di nostalgia che ti riporta ai pomeriggi passati alla tv o con le console portatili tra le mani.

Nota personale. In tutta franchezza, questo film live-action dei Pokémon ha tutto quello che i precedenti film animati non avevano: un senso.

Qui si costruisce davvero un’avventura.

Si prende un protagonista e lo si fa crescere e cambiare, si mostra un mondo articolato e si mette in scena un intreccio mediamente avvincente.

Tutto il contrario dei prodotti precedenti, a livello di una puntata qualunque dell’anime e con nessuna voglia di parlare ad un pubblico più vasto, se mai di spazientire quelli che già amano e conoscono i Pokémon.

Certo, non lo possiamo definire – come qualcuno d’oltreoceano ha fatto – il Chi ha incastrato Roger Rabbit delle nuove generazioni, ma l’interazione tra attori e creature in CGI e soprattutto il mondo colorato con i pokémon a volte maltrattati ricorda da vicino il sottobosco di Roger e Eddie Valiant.

 

 

Questo anche grazie ad una squadra creativa che ha lavorato dietro le quinte: dal direttore della fotografia due volte candidato all’Oscar John Mathieson (“Il fantasma dell’opera”, “Il Gladiatore”), allo scenografo Nigel Phelps (“Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar”).

Un applauso ai succitati effetti visivi creati dalla Moving Picture Company (“Wonder Woman”) e della Framestore (“Guardiani della Galassia Vol. 2”).

Un po’ di freddi numeri, adesso.

Ci credereste? Il film tratto dai videogiochi ad avere avuto il maggior successo in sala prima di Detective Pikachu, era stato Warcraft.

Sì, signore e signori, QUEL Warcraft.

Ma ora non è più in pole position, con Pikachu e compagnia arrivati ad insidiare molto da vicino e a superare definitivamente a fine corsa il suo gruzzolo da 433 milioni di dollari.

Nel momento in cui scrivo, il film dei Pokémon ha raggiunto la ragguardevole cifra di 436 milioni di dollari, di cui gran parte fuori dal territorio degli Stati Uniti.

Poco sotto sta Rampage, che però, The Rock a parte, ha avuto successo nonostante sia ispirato a un videogioco giurassico e ridicolmente sconosciuto rispetto ai Pokémon!

In patria Detective Pikachu non ha sbancato, avendo guadagnato praticamente quanto è costato: 150 milioni di dollari, un budget stellare pensato proprio per il mercato mondiale.

Nel resto del mondo però è stato benissimo accolto e il successo è stato immediato

 

 

 

 

Inoltre, c’è da dire che ha infranto i record di incasso per il primo weekend di programmazione per un film tratto da videogiochi.

E ha pure le migliori recensioni  a livello internazionale rispetto alla media di un genere (i cinegames) che non è mai stato particolarmente amato dalla critica.

Nel mio piccolo, come detto anche sopra, ho trovato Detective Pikachu un film divertente e godibile, realizzato benissimo, che riesce a parlare a più di una fascia di pubblico con intelligenza, senza alienarsi i fan sfegatati e senza spaesare (troppo) chi non conosce la base di partenza.

Non resta che goderselo anche a casa, qualunque sia la nostra età.

 

 

 

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