La biologia sintetica rappresenta una tra le più recenti e affascinanti frontiere della scienza moderna poiché ha aperto nuove prospettive per la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali, prodotti e processi biologici, offrendo un’opportunità unica di creare vita artificiale. Questo innovativo campo di applicazione si occupa di progettare e creare nuove forme di vita a partire da materiale biologico di base, il DNA. Gli scienziati possono utilizzare tecniche avanzate di manipolazione del materiale genetico per creare nuovi organismi o per modificare quelli esistenti, creando così una vasta gamma di utilizzi in settori come l’energia, l’agricoltura, la medicina e l’industria. Ma la biologia sintetica presenta anche importanti sfide etiche secondo i suoi detrattori, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la responsabilità dell’uso delle tecnologie emergenti. In primo luogo, la creazione di vita artificiale potrebbe comportare rischi imprevisti per la salute umana e per l’ambiente naturale in caso di rilascio accidentale o di uso improprio delle nuove forme di vita. Inoltre, potrebbe portare a un aumento della disuguaglianza sociale e del divario tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, in cui le tecnologie emergenti potrebbero essere utilizzate in modo diverso e con conseguenze differenti.
Approfondiamo ulteriormente questa disciplina per cercare di avere qualche consapevolezza in più sull’argomento.
Ingegnerizzazione cellulare: la programmazione dei “Software della vita”
Come racconta Simone Bianco (ricercatore per l’IBM Research – Almaden, dove dirige il gruppo di ingegneria cellulare) nel suo TEDx a Taranto, nel 1972 la scienziata e farmacista cinese Youyou Tu (premio Nobel per la medicina nel 2015) scopre l’artemisinina, una potente sostanza estratta dalla artemisia annuale (Artemisia annua), pianta usata nella medicina tradizionale cinese. Questo composto è, infatti, uno degli elementi fondamentali e strumento primario contro la malaria (malaria è il nome che viene utilizzato per la malattia anche in inglese, seppur derivante da un termine medievale italiano “mal aria” ovvero cattiva aria), parassitosi dovuta ad un organismo unicellulare, il Plasmodium, che ogni anno uccide centinaia di migliaia di persone infettandone milioni, a causa del proliferare del suo vettore, le zanzare del genere Anopheles. Quando usata in combinazione con altre medicine, l’artemisinina è in grado di ridurre la mortalità da malaria anche del 70%. La sintetizzazione di artemisinina dalla pianta, però, è molto costosa. Nel 2006, un’equipe di scienziati dell’Università della California a Berkley, ha ingegnerizzato un lievito, modificandone il DNA, che fosse in grado di produrre il precursore dell’artemisinina velocemente e ad un costo di soli 25 centesimi di dollaro, per dose (il precursore è una sostanza che si forma in uno stadio preliminare di una reazione o di un processo e che in seguito si trasforma in una o più sostanze diverse). Da notare che il lievito da solo non è in grado di produrre artemisinina, neanche se viene stimolato. Quattro miliardi di anni di evoluzione del nostro pianeta, come dice il Dott. Bianco, ci hanno portato a pensare che tutto ciò che vive, tutto ciò che vediamo, sia il risultato di un processo naturale: nascita, crescita, riproduzione, mutazione, selezione. Siamo abituati a pensare che sia vero anche per i trenta trilioni di cellule che costituiscono il nostro organismo: delle macchine piccolissime che lavorano insieme a molte e molte altre per produrre le basi chimiche che sostengono la vita. Quindi, tutto ciò che è vivo sappiamo che è basato su processi di evoluzione. Tutto quello che un organismo è in grado di fare, dipende dalla capacità delle sue cellule di produrre migliaia di sostanze diverse con enorme precisione, di farlo solo al momento giusto, con le giuste dosi di energia, con il minimo uso di materia prima e la minima produzione di scarti. Le istruzioni per fare tutto questo sono contenute in minuscole molecole di DNA. L’avvento della biologia sintetica significa, quindi, che oggi i biologi stanno imparando a programmare i “Software della vita”, per trovare nuovi modi per produrre le sostanze che servono all’uomo in modo più specifico e mirato. In altre parole, la scienza oggi è in grado di ingegnerizzare i sistemi biologici.
L’idea della programmazione- o ingegnerizzazione- cellulare nasce dall’assunto che il DNA non è altro che un codice, che può essere digitalizzato e quindi diventare un “codice digitale”. È costituito da 4 lettere: A C G T, adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T), anziché di 0 e di 1, come nel sistema di programmazione dei software dei computer. Grazie al progresso scientifico, il DNA è in grado di essere letto, ma anche di essere scritto. Con le nuove conoscenze e tecnologie, è possibile creare delle sequenze di lettere al computer e macchine di ultima generazione che sono in grado, dalla trascrizione, di sintetizzare nuove molecole di DNA. Queste molecole possono poi essere inserite in una cellula, che sarà così capace di fare qualcosa di nuovo. Più o meno, lo stesso meccanismo che avviene quando si aggiunge una nuova app nel cellulare.
La definizione dell’ingegneria dei sistemi biologici
La scienza che si occupa di ingegnerizzare i sistemi biologici o nuovi “software di vita” si chiama biologia sintetica. Questa trae le sue origini dalla conoscenza dei meccanismi di assemblaggio dei sistemi biologici per arrivare a soluzioni radicalmente nuove. È una disciplina emergente che mira a progettare e ingegnerizzare sistemi biologici artificiali. L’obiettivo principale è quello di creare nuovi strumenti e prodotti a base biologica, oltre a modificare i sistemi biologici esistenti. La definizione di biologia sintetica può variare a seconda del contesto in cui si utilizza. Nel 2001, la Royal Academy of Engineering l’ha definita come “La progettazione e l’ingegnerizzazione di prodotti a base biologica, di nuovi strumenti e sistemi, nonché la ri-ingegnerizzazione dei sistemi biologici esistenti”. È diventata una disciplina scientifica valida solo negli ultimi decenni del XX secolo, quando gli scienziati hanno iniziato a progettare e sintetizzare circuiti di regolazione genetica. Si presenta in modo differente rispetto la biologia tradizionale, in quanto si concentra sull’invenzione e la creazione di nuovi sistemi biologici invece che sull’osservazione e lo studio dei sistemi biologici naturali. La manipolazione genetica è stata un importante contributo alla biologia sintetica, poiché ha permesso di aggiungere nuovi geni al genoma degli organismi viventi, conferendo loro nuove proprietà e funzioni.
Le infinite applicazioni della biologia sintetica nella creazione di prodotti biologici innovativi
La biologia sintetica ha il potenziale di creare nuovi prodotti biologici di alto valore terapeutico, come l’insulina e l’ormone della crescita, che sono difficili o costosi da ottenere con altri mezzi. Infatti, come vedremo, ha un numero infinito di applicazioni in una miriade di campi diversi. Ad esempio, la produzione di medicine, la biosensoristica ambientale, la patologia digitale o la creazione di batteri che sono in grando di combattere l’inquinamento, come nel caso della Bioremediation o biorisanamento: una tecnologia di bonifica ambientale basata sul metabolismo microbico di determinati microrganismi in grado di biodegradare o detossificare sostanze inquinanti. Grazie a queste nuove possibilità genetiche, le aziende possono produrre anche fertilizzanti agricoli. I produttori che operano in questo campo partono sempre da come stanno le cose in natura. Nel contesto dei fertilizzanti per il mais, ad esempio, chi lo ha prodotto di nuova generazione ha analizzato i batteri presenti nelle radici della soia e di altri legumi, i quali sono in grado di stoccare l’azoto prendendolo dall’aria per poi convertirlo in fertilizzante per la pianta stessa. Chi si occupa di biologia sintetica non fa altro che copiare il tratto di DNA del batterio che consente di convertire l’azoto, questo tratto genetico viene poi isolato (in gergo tecnico si dice che viene sintetizzato) e poi viene inserito nei batteri che vivono nelle radici del mais. Se tutto va come deve, dopo qualche anno di lavoro sarà possibile usufruire di piante di mais che fanno a meno dei fertilizzanti artificiali i quali, si sa, hanno un forte impatto sull’ ambiente.
Come si programma una cellula?
Programmare una cellula non è così facile, ovviamente. O meglio, non è così facile come programmare un computer. Il problema della biologia sintetica è che si basa su lenti e costosi processi di “Trial and error”, processi di prova ed errore, cioè si prova una certa struttura molecolare, si verifica il suo preciso funzionamento, altrimenti si modifica leggermente fino a che non si trova la soluzione che più soddisfa. Bisogna provare tante “variazioni del software”, tante combinazioni, prima di trovare quella giusta, in uno spazio dove il ventaglio delle soluzioni ai problemi è enorme ovvero la variabilità genetica. Per ovviare questo problema i ricercatori hanno pensato di interpellare la tecnologia con l’intelligenza artificiale creando così la nuova frontiera dell’ingegneria. Questa frontiera sta dando origine a una nuova rivoluzione industriale poiché, come accadde nella seconda metà del 1700 in Inghilterra, il lavoro oggi viene ridefinito in funzione dell’intelligenza artificiale. Perché l’AI funziona così bene con i processi di ingegnerizzazione cellulare? Innanzitutto, è bene sapere che la maggior parte degli algoritmi impiegati nell’AI impara dagli esempi: mostrare tante immagini di gatti permetterà alla AI di riconoscere un gatto in un’immagine che non avevano mai visto prima.
Recenti avanzamenti nel campo dell’intelligenza artificiale, hanno permesso di creare algoritmi che sono in grado di imparare le regole stesse del sistema e creare da sé gli esempi sui quali imparare, riuscendo a capire quale è la strategia che funziona meglio continuando a sperimentare (i cosiddetti processi in background). Questo permette agli algoritmi di AI di non avere il bias (tendenza, inclinazione, distorsione, errore casuale) che si porta dietro dal fatto di aver imparato dal lavoro degli altri. Sfruttando questa capacità, alle macchine di AI sono stati insegnati i processi chimici e fisici che governano i processi biologici. Grazie all’impiego delle AI, quello che sapevamo fino ad ora è che la natura ci ha fornito una tra le tante soluzioni possibili per superare il problema. L’Ai, infatti, scevra da bias, può arrivare a delle soluzioni diverse, magari non ottimizzate per la sopravvivenza in condizioni avverse ma più che altro per elementi che tornano più utili per ogni specifica esigenza, ad esempio: sintesi di una medicina studiata e profilata specificatamente per una futura prossima pandemia, sintesi di una medicina progettata per neutralizzare un determinato tipo di cancro.
La macchina quindi velocizza, ma soprattutto, aumenta lo spazio delle soluzioni dando la possibilità di creare strutture nuove mai realizzate prima. Il lavoro dell’uomo, dello scienziato, del ricercatore, rimane comunque fondamentale anche se leggermente più creativo: sarà lui che dovrà pensare e decidere a cosa servirà la propria macchina biologica, invece di pensare a come realizzarla.
La straordinaria ascesa della Ginkgo Bioworks
Una delle startup più avanzate al mondo in materia di biologia sintetica, è la Ginkgo Bioworks di Boston, fondata nel 2008. Questa start-up, creata da un gruppo di quattro studenti del MIT (Massachusetts Institute of Technology), insieme a un loro professore, opera nel campo della biologia sintetica con batteri geneticamente programmati per produrre le più diverse sostanze o materiali della chimica organica come profumi, cibi, carburanti, farmaci, plastiche. È adesso una realtà quotata in borsa per capitali che si aggiravano intorno ai 16 milioni di dollari nel 2020, fino a raggiungere i 478 milioni di dollari di ricavi totali nel 2022, con un aumento del 52% rispetto al 2021, 59 nuovi programmi cellulari aggiunti (sempre nel 2022), numeri che rappresentano una crescita del 90% rispetto al 2021.
La Gingko Bioworks funziona come una sorta di centro di ricerca e sviluppo per aziende che hanno bisogno di fabbricare una particolare sostanza come un profumo, un ingrediente alimentare, un farmaco, un colorante, un biomateriale. Essenzialmente, quello che fa questa azienda è fornire una coltura di cellule- in genere batteri o lieviti- contenenti DNA programmato per far loro produrre specificatamente la sostanza richiesta, in quantità sufficiente, ad un prezzo basso e con le istruzioni per “allevarle” su scala industriale. La Ginkgo ha realizzato la sinergia tra il dispositivo e sistema biologico in maniera squisitamente organica: un laboratorio di 9mila metri quadri quasi interamente robotizzato in cui ogni robot è animato da algoritmi di ultima generazione che permettono alla macchina di: produrre combinazioni genetiche diverse, inserire le combinazioni genetiche nelle cellule, di allevarle, di estrarne i prodotti e di analizzarli per scoprire se è effettivamente il prodotto finale di cui si necessitava. Oltre a fare questo, le macchine provano anche diverse combinazioni di nutrimenti per le unità biologiche, di temperature e di tempi di crescita, per ottimizzare il processo. In sintesi, per ogni nuovo prodotto si testano migliaia di programmi genetici e condizioni diverse.
In questo modo l’azienda è riuscita a sviluppare unità morfologico – funzionali in grado di produrre gli enzimi necessari per accelerare la produzione dei vaccini anti-Covid ma anche cellule che producono eparina, molecola ampiamente utilizzata come anticoagulante in episodi come embolie polmonari e attacchi cardiaci, evitando così di estrarla dagli animali (l’eparina viene generalmente ricavata dalla mucosa di intestino di suino o di polmone bovino); oppure ingredienti per cosmetici o per la produzione della tanto discussa carne coltivata (quella che è conosciuta come carne sintetica ), o derivati del latte, interamente coltivati in laboratorio, senza animali. E poi ancora, coloranti vegetali e per l’industria alimentare e biomateriali, oppure cellule che producono l’indaco, il colorante usato per i jeans con l’obiettivo di sostituire i processi industriali di oggi, che per colorare il miliardo di paia di jeans prodotti ogni anno nel mondo usano sostanze tossiche e producono quasi 1 milione e mezzo di tonnellate di anidride carbonica.
L’ azienda funge anche da biobanca: i dati di ogni esperimento per produrre la molecola sintetica perfetta per le diverse applicazioni, vengono conservati perché sono preziosissimi: svelano, infatti, nuovi aspetti del funzionamento delle cellule e vanno a costituire una “libreria” di ricette o manuali d’uso, da applicare a problemi nuovi e più complessi.
Ma dove vuole arrivare la biologia sintetica?
Chi opera in questo campo ha il sogno di migliorare e affinare le tecniche di applicazione sempre di più, in modo da permettere alle biologie sintetiche di diventare sempre più economiche. Più saranno economiche e accessibili e più verranno utilizzate in nuovi settori, come ad esempio è avvenuto con i computer anni fa. Anche se è un campo in continua e repentina evoluzione, è ancora ai suoi inizi. Gli algoritmi non sono così potenti da scavalcare l’uomo nella capacità di prendere decisioni sensate, l’uomo può sempre staccare la spina, oltre al fatto che c’è ancora molto da fare per ridurre sempre più ai minimi termini il bias dalle IA. Nonostante risultati straordinariamente accurati ci sono errori che devono ancora essere risolti. Inoltre, viste le implicazioni etiche che interessano l’argomento, la parte di comunità scientifica che si occupa di biologia sintetica e ingegneria cellulare, opera secondo principi di “Innovazione responsabile” per interrogarsi sempre su quali potrebbero essere le conseguenze etiche di determinate innovazioni: avere la possibilità di creare elementi biologici che fanno quello che noi gli chiediamo di fare non deve permettere di agire indisturbati secondo la politica del “fine che giustifica i mezzi”. La bioetica delle problematiche emergenti, che si occupa di valutare le implicazioni etiche delle nuove tecnologie, sta svolgendo un ruolo importante nel dibattito sulla biologia sintetica. La bioetica si è avvicinata alla scienza, diventando un capitolo importante di ogni ricerca scientifica. In questo contesto, gli scienziati devono svolgere un ruolo attivo nell’identificare e valutare i potenziali rischi e benefici delle tecnologie emergenti, e collaborare con gli enti regolatori e la società per garantire un uso sicuro e responsabile delle nuove tecnologie. La creazione di “Synthia”, ad esempio, il nuovo batterio sintetico sviluppato dal gruppo di Craig Venter, rappresenta un esempio significativo di come la biologia sintetica possa sollevare importanti questioni etiche. Gli autori dell’articolo che ha annunciato la scoperta sottolineano l’importanza della discussione sulla vita sintetica e prevedono che le applicazioni della genomica sintetica continueranno a sollevare questioni filosofiche che portano con sé importanti implicazioni sociali.
C’è comunque da sottolineare che sono decine le aziende, tra grandi e piccole, che stanno scegliendo la stessa strada: la fetta di mercato, per chi riuscirà ad investire fruttuosamente in questo campo, sarà enorme anche se non per niente facile, commettendo diversi errori, come è accaduto con ogni nuova tecnologia. Sicuramente è una possibilità non più utopistica quella di pensare alla biologia sintetica in futuro come supporto e ausilio che permetterà di utilizzare le risorse ancora disponibili in natura, in modo più sostenibile. Se ci si pensa bene è quello che piante, insetti, batteri e tutti gli organismi in natura, già fanno. La società deve abituarsi a pensare in maniera nuova per risolvere problemi contemporanei e futuri cercando di non incorrere nel pregiudizio che ci portiamo per via della fantascienza, libri, film e pseudoscienze, le quali ci influenzano con l’immaginario di macchine e robot che domineranno il mondo, schiavizzandoci e sterminando il genere umano. Con le giuste regolamentazioni e un po’ di etica questa nuova avanguardia può diventare sicuramente una preziosa opportunità.