Roma, Huawei ha lanciato in pompa magna il Cyber Security Transparency Centre che aveva annunciato solamente a settembre. Non solo è riuscita ad allestire la struttura durante l’epoca pandemica, ma i lavori sono finiti ben sei mesi prima del previsto, con l’azienda cinese che smania dal desiderio di farsi conoscere: Malcelato, in sottofondo, il fatto che l’inaugurazione abbia una forte impostazione politica, soprattutto in vista dei finanziamenti legati ai fondi del Next generation EU.

Ufficialmente, l’intento del centro è quello di creare un contesto per cui tecnici e ricercatori siano in grado di condividere consapevolezze tecniche, così che la tecnologia possa evolvere coralmente e rapidamente. Intenti certamente virtuosi, ma che per molti versi sembrano più che altro portare avanti una accorata richiesta di fiducia.

Huawei è un’azienda leader nel campo della tecnologia 5G, tuttavia la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti hanno infilato la ditta tech in un fuoco incrociato, con due diverse Amministrazioni a stelle e strisce che si sono dimostrate pronte a ostacolare apertamente i mezzi economici del proprio competitor.

Ora che l’Europa si sta preparando a elargire milioni di finanziamenti per la digitalizzazione dei suoi Paesi Membri, Huawei cerca di riconquistare il cuore dell’Unione Europea, dell’Italia e di Roma.

John Suffolk, Huawei Global Cyber Security and Privacy Officer, intervenuto durante la presentazione del centro, ha illustrato la situazione con una certa schiettezza, lamentando esplicitamente che si stia vivendo “un problema Est-Ovest del mondo”.

L’uomo ha anche sottolineato come Huawei sia tra le poche aziende ad adattare i suoi standard “alle richieste dei Paesi” in cui lavora, tacitamente chiedendo che le Big Tech vengano normate per adeguarsi alle leggi locali, piuttosto che a delle policy autogestite.

Un punto di vista forte, che tuttavia non risolve i dubbi per cui la ditta è effettivamente finita nel libro nero dei trattati commerciali con l’occidente, ovvero la sua propensione a supportare con convinzione la National Security Law e la Cyber Security Law, leggi che, secondo agli oppositori, permetterebbero alla Cina di dedicarsi allo spionaggio.

Quale che sia la quadra della questione, resta il fatto che l’evento sia stato grandemente disertato dai diplomatici italiani, i quali sembrano così aderire alle indicazioni del Governo, quelle che il Primo Ministro Mario Draghi ha reso chiare sin da subito parlando della necessità di un approccio “europeista e atlantista“.

La stessa posizione è d’altronde stata recentemente ribadita anche da Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, il quale ha sottolineato al Senato che la digitalizzazione del Paese debba essere “chiaramente europea e atlantica”, dando a intendere che il percorso verso il 5G non imboccherà la via della seta.

 

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