Facebook e Twitter hanno oscurato le sfuriate di Trump, ora molti si chiedono perché negli altri Paesi i social tollerino l’hate speech.

I social più influenti e utilizzati al mondo hanno recentemente deciso di silenziare il presidente uscente degli Stati Uniti, così che non continuasse a propagare messaggi tossici e pericolosi. Le Big Tech non hanno tuttavia dimostrato la medesima solerzia in altre nazioni e gli attivisti per i diritti umani iniziano a chiedere giustificazione per questa applicazione iniqua delle policy.

I social si sono dimostrati in questi anni un mezzo fenomenale per fomentare scontri ideologici, razziali e religiosi. La sola azienda di Mark Zuckerberg é stata centrale nel promuovere il genocidio dei Rohingya in Birmania, ma anche nel supportare le sommosse anti-mussulmane che hanno colpito lo Sri Lanka nel 2018.

Quando si trattava di dar fastidio ai Governi, i social hanno dimostrato di essere tardivi nell’applicazione delle proprie policy, procrastinando ogni forma di intervento con la scusa di dover garantire la libertà di parola.

Nei casi più eclatanti, Facebook ha deliberatamente coperto l’hate speech delle Amministrazioni dominanti. La Big Tech si é per esempio rifiutata di condividere con i tribunali i post archiviati che dimostravano le già citate colpe del Governo birmano, ma ha anche deliberatamente evitato di censurare le incitazioni all’odio dei politici indiani.

Considerando il plateale intervento contro l’establishment statunitense, ora molti si chiedono se questo esplicita posizione dei social network possa trasferirsi anche nei contesti esteri.

La domanda é se da adesso in poi intendano applicare questo nuovo standard ai leader di tutto il mondo e, nel caso, se hanno le risorse per farlo. Ci sarà sicuramente un aumento delle richieste di intervento proveniente da ogni angolo del globo,

ha fatto notare David Kaye, ex controllore delle Nazioni Unite per la libertà di espressione.