La recensione di 7500, il nuovo thriller girato in una cabina di pilotaggio di un aereo preso di mira da tre terroristi. Esordio alla regia del tedesco Patrick Vollrath e che fa il suo debutto streaming su Amazon Prime Video.
Ansia. Adrenalina. Alta quota. Questo sono le tre A vincenti per descrivere al meglio l’esordio ansiogeno del regista tedesco Patrick Vollrath. Assieme alla recensione di 7500 vi portiamo a fare un viaggio, in compagnia di Joseph Gordon-Levitt, all’interno di una cabina di pilotaggio dove si combatte contro la vita e la morte per tutti i 92 minuti di film.
Quasi del tutto ambientato all’interno di una cabina di pilotaggio di un aereo di linea sulla tratta Berlino – Parigi, 7500 racconta di un co-pilota (appunto Levitt) che deve confrontarsi con il tentato dirottamento di un gruppo terroristico. Quello che doveva essere un semplice viaggio in aereo, si trasforma in un vero e proprio grande incubo ad occhi aperti. Il film parte in crescendo, promettendo grande tensione per lo spettatore, e continuerà ad esasperare la sua tensione fino alla fine, portando lo spettatore a trattenere il fiato per quasi tutta la durata della pellicola in un assurdo girotondo di emozioni dove la posta in gioco è la vita stessa e il tempo non ci è affatto amico.
Sa cosa vuole raccontare e, soprattutto, come vuole raccontarlo
Va subito detto che l’esordiente Patrick Vollrath sa esattamente il fatto suo. Sa cosa vuole raccontare e, soprattutto, come vuole raccontarlo; ovvero attraverso un realismo sorprendente che sembra quasi portarci all’interno di un vero e proprio documentario, facendoci dimenticare per un attimo di star vedendo un film e, quindi, aumentando di gran lunga l’apprensione. Dettagli ben definiti, dosati ad un ritmo serrato, esasperate, che ci porta ad un’empatia totalizzante con l’emozioni al limite del nevrotico ed esasperante del protagonista, che verrà sempre più messo alle strette, sempre più schiacciato da differenti fattori di tensione, primis fra tutti il riuscire a salvare l’aereo e tutti i suoi passeggeri.
Inoltre, ciò che interessa maggiormente a Vollrath non è la storia – usata quasi come espediente – quanto più sviscerare il genere e regalare allo spettatore una pellicola dalla grande attrattiva e forza che difficilmente dimenticheranno; anche perché, diciamocelo pure, di questi tempi thriller decenti scarseggiano non poco.
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L’esasperazione del genere, tra sperimentazione e “già visto”
Interessante è il modo in cui il linguaggio cinematografico gioca e sperimenta in questo film, accanendosi anche fin troppo nei confronti del personaggio di Joseph Gordon-Levitt (il quale si immola in una grandiosa interpretazione); il quale dalla sua cabina può vedere assolutamente tutto ciò che sta accadendo dentro il suo aereo, comprese scene drammatiche molto destabilizzanti con lo scopo di mettere ancora più in crisi, e far tentennare, il personaggio.
Il film, in maniera quasi sadica, gioca con uno stereotipo che spesso viene alimentato in ruoli come questo e che fin troppo spesso un attore come Levitt si è trovato a dover interpretare: la sottomissione e la paura. Ma questi due elementi con il tempo, e l’andatura sempre più incalzante di un ritmo che non lascia respiro, si tramuteranno in una rabbia che, alla fine, potrebbe mostrarsi salvifica.
Tematiche di questo genere non sono di certo estrane all’interno del cinema
Tematiche di questo genere non sono di certo estrane all’interno del cinema, soprattutto di quello americano, e soprattutto cercando di alimentare una paura che affonda le sue radici in una delle ferite ancora aperte per il mondo come l’11 Settembre 2001.
Certo, di solito però ci troviamo sempre di fronte a film estremamente politici, orientati per lo più a fagocitare ed alimentare un certo tipo di stereotipo. In cosa differisce invece un thriller come 7500? Esattamente nella sua natura. Una natura che affonda le sue fondamenta sull’emozione del suo protagonista. Sull’angoscia che la situazione in sé per sé, la claustrofobia e quel senso di “trappola”, vengono alimentati all’interno dello spettatore. L’origine dell’attentato, o meglio l’attentato stesso, passano in secondo piano. Patrick Vollrath è spronato più a raccontare e sviscerare la reazione di chi si trova all’interno di una situazione al limite come quella proposta all’interno del suo film.
La paura, profonda e primitiva, il terrore in cielo, lì dove anche l’ambiente naturale si mostra essere un vero e proprio ostacolo, è il vero nucleo di un film come 7500.
Tutto quello che si combatte all’interno del film è un vero e proprio scontro faccia a faccia con il tempo, con l’emozioni, l’istinto di sopravvivenza ma anche l’ansia, motivati dal riuscire a sopravvivere anche a quella che fin dall’inizio ci appare come una situazione senza lieto fine.
7500 ci riserva comunque una profondità e una stratificazione del messaggio che, più va avanti il film, e più ci cresce dentro
Infatti, nella sua stessa costruzione di genere attenta e molto efficace, 7500 ci riserva comunque una profondità e una stratificazione del messaggio che, più va avanti il film, e più ci cresce dentro. Il senso di claustrofobia generato dalla cabina, l’impotenza che si legge negli occhi del protagonista, e la macchina da presa che quasi con violenza sta addosso al personaggio con invadenza, schiacciandolo ancora di più all’interno di quel limbo mentale e fisico; si traducono alla fine in un disagio moderno che la nostra stessa società vive costantemente ogni giorno.
Molto più che un thriller
Cosa voglio intendere? La cabina è la rappresentazione del mondo all’interno del quale viviamo. Un mondo sempre più stretto, sempre più schiacciato da etichette dove persone sempre più diverse – dall’etnia all’identità, passando per l’orientamento e la religione – continuano a non sapere come convivere tra di loro. A volte vorremmo scappare, sentendoci limitati, non compresi, fuori posto, eppure siamo costretti a vivere qui. Ad adattarci agli altri. Il microcosmo d un film come 7500 funziona esattamente in questo modo. Persone intrappolate all’interno di un aereo in volo, costrette a convivere, a vivere, in una situazione estrema e claustrofobica.
Impossibile andare altrove. Impossibile scappare. Sono tutti intrappolati.
Impossibile andare altrove. Impossibile scappare. Sono tutti intrappolati. Sono tutti costretti e più questa costrizione si fa ancora più spinosa a causa dell’ansia generata dalla tensione, più quelle che sono le tipiche incomprensioni, pregiudizi e scontri vengono fuori, frutto dei nervi sempre più provati. Ed improvvisamente, senza però perdere la sua originalità e il suo smalto vincente, 7500 ci appare immediatamente come un film fortemente desideroso di riflette sulla condizione dell’essere umano perché, alla fine della giostra, e grazie anche ad una struttura drammatica volta ad approfondire ogni singolo personaggio coinvolto nella scena, ciò che ci pare chiaro è che tutti, ma davvero tutti, su quell’aereo sono esseri umani.
Questo perché 7500 non presenta una visione unilaterale, e quindi una visione che parte solo dal senso visivo del protagonista, ma cerca di far emergere il diversificato punto di vista di tutte le parti coinvolte; si, anche quelle che sono la causa del problema, mettendo tutti sullo stesso piano, senza adoperare una vera e propria differenza tra “buoni” e “cattivi”. E questo ci ricollega direttamente a quanto detto qualche paragrafo più su: 7500 non è un film politico; non è una pellicola volta a strumentalizzare la sua storia per fare propaganda di qualsiasi sorta.
In conclusione
Venendo agli sgoccioli della nostra recensione di 7500, possiamo dire che da una parte il film costruisce un thriller quasi perfetto. Un film che non ci risparmia di un colpo, sapendoci prendere alla bocca dello stomaco ed esasperando l’emozioni fino allo stremo, arrivando alla fine della pellicola quasi esausti dallo stress emotivo; allo stesso tempo, 7500 si tramuta in una pellicola metaforica sull’angoscia di vivere un mondo sempre più simile ad una prigione, ed indaga in forma quasi catartica su quelle che sono le ansie primordiali della società moderna.
Il risultato finale è un vero e proprio roller coaster di sentimenti ed emozioni contrastanti, che sa fare il suo lavoro non solo durante il film, ma anche dopo, lasciando un ricordo quasi tachicardico nello spettatore che si perde nel silenzio, inquietante, del finale.