In occasione dell’uscita di Kubo e La Spada Magica e dell’anteprima durante la XI Festa del Cinema di Roma, Stefano Bessoni, regista, illustratore e animatore in stop motion, svela alcuni misteri dell’animazione stop motion ripercorrendo alcune delle tappe fondamentali di questa tecnica e mostrando gli elementi cardine su cui fanno perno gli autori più famosi.

Da Tim Burton a Nick Park, passando per George Méliès e arrivando al recente studio d’animazione LAIKA, lo stop motion è penetrato nel cinema fin dai suoi albori, arrivando a “contaminare” i film in modo diverso.

È appena arrivato al cinema l’ultimo lungometraggio d’animazione LAIKA, Kubo e La Spada Magica (Kubo and Two Stringes), diretto da Travis Knight con le voci di Art Parkinson, Charlize Theron, Matthew McConaughey, Rooney Mara, Ralph Fiennes, George Takei, Cary-Hiroyuki Tagawa e Branda Vaccaro.

Lo studio d’animazione stop motion Laika, fondato nel 2005 da Philip Knight – cofondatore ed ex amministratore delegato della Nike – e Will Vinton, nasce come i Will Vinton Studios noto per spot pubblicitari di cui ha usufruito la stessa Nike.

Philip Knight, dopo un’importante lotta finanziaria, riesce ad acquistare gli studi nel 2002, dopo che era già diventato uno dei principali investitori. Lo stesso figlio di Knight, Travis – regista del recente Kubo e La Spada Magica – faceva parte dello studio come animatore.

Nel 2005 lo studio viene diviso in due sessioni: Laika Entertainmente – per i lungometraggi- e Laika House – per i lavori commerciali.

 

 

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Ufficialmente il primo lungometraggio di Laika è Coraline e la porta magica, diretto da Henry Selick, bravissimo animatore in stop motion e conosciuto per il film Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas.

Indubbiamente Laika – che si comporta come una major occupandosi del progetto dall’inizio alla fine – è la maggiore produttrice di lungometraggi in stop motion e con Kubo e La Spada Magica segna l’unione tra due tecniche differti quali lo stop motion e la CGI.

 

La CGI è un’animazione molto precisa e colorata, totalmente computerizzata e virtuale quindi non è tangibile. Non ha un sistema di lavorazione che permette di essere a contatto con il progetto. Per intendersi, quella che usa moltissimo la Pixar.

Spiega immediatamente Stefano Bessoni, iniziando a introdurre il nostro viaggio nell’animazione con particolare attenzione verso lo stop motion.

 

 

Stop Motion

 

Sia l’animazione tradizionale che la computer grafica sono principlamente destinate ai ragazzi e ai bambini, in quanto raccontano storie di fantasia e divulgazione, studiate ad hoc per un target infantile. Grazie ad una cosa di produzione importante come la Disney, il cinema di animazione ha subito un’evoluzione incredibile. Questo non significa che sia arrivata più tardi la stop motion, anzi è l’esatto opposto. L’animazione tradizionale potrebbe stare a Cenerentola come lo stop motion alle sorellaste. Una forma di animazione più grezza e grottesca e dall’indole oscura.

Lo stop motion è una forma di animazione molto particolare, che si basa su un concetto di ripresa reale. Viene realizzata muovendo oggetti o personaggi tradizionali, posti davanti alla macchina da presa. Vengono così immortalati, fotogramma per fotogramma. Visti, successivamente, alla reale velocità di  24 fotogrammia al secondo, danno l’illusione di movimento. 

 

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Vedere un disegno prendere vita, porta con sè sempre quella magia, quell’effetto sorpresa di qualcosa di inanimato che si anima, ma resta pur sempre un qualcosa che appartiene al mondo della fantasia; vedere un oggetto reale, tridimensionale, che improvisamente si anima, già di per sé contiene un qualcosa di più sinistro. 

I pionieri dell’animazione hanno cominciato animando cose notoriamente macabre e sinistre, tipo oggetti, animali imbalsamati, vecchi giocattoli, bambole rotte, è chiaro che l’animazione stop motion ha fin da subito ricevuto la fama di essere l’anima nera dell’animazione. 

Abbiamo da una parte l’animazione disegnata, animazione computerizzata e animazione tradizionale stop motion. 

Le prime sperimentazioni di animazione stop motion le fece lo stesso Méliès, quando capì che era possibile fare degli effetti speciali semplici, molto elementari, capì che la ripresa cinematografica poteva essere fermata, allontanata fotogramma per fotogramma e far succedere qualcosa in quello spazio. Si poteva far succedere qualunque cosa, come per esempio far scomparire la testa di un uomo far comparire un qualcosa di nuovo all’improvviso.  

Questo è l’inizio della storia degli effetti speciali  e si capì che si potevano disegnare i singoli fotogrammi o, addirittura, riprendere singoli fotogrammi della realtà e mandarli poi a 24 fotogrammi al secondo, creando una realtà del tutto diversa,  una realtà inventata che non avrebbe potuto in altro modo muoversi.

 

 

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Da quel momento naturalmente partirono tutte le sperimentazioni legate l’animazione stop motion. Per una questione di particolarità, e di indole, l’animazione stop motion è un qualcosa che prende piede soprattutto nei paesi dell’Est, dove c’è un gusto più affine a quello che poi è stato il risultato che vediamo nella animazione stop motion.

Ovviamente anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti ci sono degli autori che realizzano delle opere importanti, ma inizialmente nulla di legato a una vera produzione cospicua di lungometraggi. Inizialmente negli USA si utilizza lo stop motion come supporto agli effetti speciali, in quanto utilissimo per  per creare creature inesistenti, che non era possibile riprendere normalmente con la macchina da presa, e per farli interagire con gli attori.

Il tutto veniva organizzato tramite la costruzione di burattini in scala

Il tutto veniva organizzato tramite la costruzione di burattini in scala, per poi essere proiettati di fotogramma in fotogramma in retro proiezione e fatti interagire con gli attori di carne e ossa, dopo essere stati portati a grande reale. Possiamo definire la stop motion come l’antenato del compositing digitale.

Sono tantissimi film realizzati in questo modo. Il più famoso di tutti è  probabilmente King Kong, film degli anni 30, dove l’elemento scattoso è molto messo in risalto, riconducendo immediatamente alla stop motion.

Questo tipo di elemento scattoso esercita una forza di fascinazione sullo spettatore. Il più famoso di tutti è Ray Harryhausen che lavorò moltissimo nel campo degli effetti speciali, curando determinate sequenze di stop motion.

 

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Un esempio è il combattimento di Giasone contro gli scheletri all’interno de Gli Argonauti di Don Chaffey (1963). I modelli degli scheletri, alti tra 15 cm, sono diventati talmente tanto famosi, da venir poi citati da altri regista, come per esempio Sam Raimi in L’armata delle Tenebre.

Harryhausen stesso realizza lungometraggi e cortometraggi di una serie di favole dei fratelli Grimm in stop motion, ma il vero successo di pubblico lo raggiunge con i mostri. Tutti quei personaggi che aveva inserito all’interno dei grossi film hollywoodiani.
Oggi, molti di questi mostri, sono conservati all’interno del Museo del Cinema di Berlino.

Harryhausen è un po’ il padre dell’animazione di stop motion a tal punto da venir citato da Tim Burton in un film come La sposa cadavere. Fateci caso, il pianoforte che Emily suona assieme a Victor nel mondo dei morti ha inciso sulla casa Harryhausen!

 

 

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Tra gli anni 50 e i 2000, la stop motion viene usata come valvola di sfogo per il cinema d’autore, quello espressivo, quando il cinema si poteva ancora intendere come forma espressiva. Tantissimi autori adottano la stop motion per fare cinema d’arte, cinema d’animazione intero,  veramente come forma espressiva importante.

Tra gli autori più importanti troviamo sicuramente i fratelli Quay, originari degli Stati Uniti ma che hanno poi rifiutato l’approccio statunitense e si sono trasferiti in Polonia. La loro opera più importante è un cortometraggio divenuto, in seguito, il manifesto per ogni animatore in stop motion: Street of Crocodiles.

In 100 anni di storia, a questa tecnica succede qualcosa di particolare: da una parte come supporto degli effetti speciali e dell’altra relegata al cinema d’autore.

In 100 anni di storia, a questa tecnica succede qualcosa di particolare: da una parte come supporto degli effetti speciali e dell’altra relegata al cinema d’autore. Fino agli anni 90 non si poteva andare al cinema pagare un biglietto e vedere un film in stop motion. Sembra di ripercorrere ancora una volta la favola di Cenerentola, c’era urgentemente bisogno dell’intervento.

 

 

La Fata Madrina dello stop motion arrivò con i suoi capelli ricci e spettinati, alto e allampanato, con la passione del macabro. Questa “fata” si chiamava Tim Burton. Tim Burton non poteva non amare questa forma di animazione, la quale era stata uno dei punti focali della sua formazione; infatti, il suo primo cortometraggio fu Vincent – dedicato a Vincent Price – realizzato in stop motion.

Tim Burton chiese più volte alla Disney di essere supportato ma questa, guardando al marketing, non poteva realizzare un’opera interamente in stop motion, sulla quale non si possono fare soldi. Burton, in quel periodo, venne impiegato come semplice disegnatore o come concept artist. Eppure Burton non ha mai smesso di amare la stop motion, e tra il lavoro sui vetro fogli – che vengono usati per l’animazione – Burton scarabocchiata tutti i fogli di carta spolvero che sono in sparsi per il tavolo.

 

 

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E tutti quei disegni che creavano confusione sul tavolo di Burton non sono altro che l’inizio di The Nightmare Before Christmas. Ovviamente la Disney aveva degli addetti che ogni notte ritagliavano le parti scarabocchiate e le inserivano all’interno degli archivi. Quando Burton raggiunge l’indipendenza economica autoriale pronto, per poter creare The Nightmare Before Christmas, praticamente i suoi disegni erano di proprietà della Disney.

Comunque Tim Burton poteva battersi per le sue idee e infatti, nel 1992,  esce al cinema il primo film in stop motion, The Nightmare Before Christmas. Da quel momento in poi molti si sono resi conto che la stop motion è una tecnica da utilizzare, al pari di molte altre tecniche, e che poteva essere utilizzata per raccontare molte storie.

 L’animazione in stop motion è sempre riconoscibile, anche perché attinge dal reale. Per quanto oggi la bellezza delle texture e la riproduzione della realtà sia arrivata a livelli ineccepibili, una ripresa reale è sempre insuperabile. C’è il materico e la profondità di campo e l’imperfezioni tipiche della nostra realtà.

 

 

 

Puppet motion

 

Dopo un beve accenno di storia e di uso, Stefano Bessoni inizia a parlare dell’aspetto più interessante e pratico dell’argomento: la tecnica. Come si realizza un film in stop motion? E quanti tipi diversi di tecniche possiamo trovare?

La stop motion può utilizzare tecniche differenti per la realizzazione dei suoi lungometraggi; queste possono essere: claymation, la cutout animation, la object animation e quella più conosciuta: la puppet animation.

La Claymation è quella tipica dell’Aardman Animation, studio d’animazione dei famosi Wallace and Gromit di Nick Park, la quale si usa sull’uso di personaggi realizzati in plastilina.

 

https://www.youtube.com/watch?v=l5gTQjmmlqQ

 

La cutout animation è una tecnica bidimensionale e utilizza, in modo più rudimentale,  ritagli di giornale o di stoffe facendo una specie di collage. Un esempio potrebbe essere la serie animata South Park oppure Il Piccolo Principe nella parti dedicate alla ricostruzione del libro.

Molto simile c’è la object animation che utilizza oggetti di uso quotidiano all’interno di una storia. Esempio più recente, sebbene contaminato dall’utilizzo di altre tecniche più digitali, è The Lego Movie.

Infine c’è la puppet animation, tecnica più classica e comune usata dai grandi registi come Tim Burton, Henry Selick e dalla stesso Travis Knight per Kubo.

La puppet è tanto comune quanto complessa. Negli anni, infatti, ha mutato moltissimo i suoi burattini e tutti presentano caratteristiche differenti in base al tipo di storia che si sta cercando di realizzare.

Queste tecnica parte dalla costruzione dei personaggi in un materiale gommoso, il quale riveste un complesso scheletro in alluminio – metallo estremamente duttile che permette di essere modellato e ricreare qualsiasi movimento.

Lo scheletro, ovviamente, può variare in base alle esigenze di pellicola e, soprattutto, alle esigenze di budget.

 

stop motionstop motionstop motion

 

Lo scheletro ha diversi gradi di complessità, tutto dipende sempre dal tipo di burattino e di storia. Ogni legamento, che andrà poi a simulare i movimenti, sono collegati tra loro dagli snodi, che appunto simila le articolazioni umane.

Stesso discorso per quanto riguarda il volto del burattino. Più grottesco sarà il personaggio, più semplice sarà il volto. Un esempio può essere fatto tra The Nightmare Before Christmas e La Sposa Cadavere.

Gli occhi grandi e la bocca di Jack consentono movimenti molto larghi e facili da ricreare, a differenza dai volti più dettagliati de La Sposa Cadavere

Gli occhi grandi e la bocca di Jack consentono movimenti molto larghi e facili da ricreare, a differenza dai volti più dettagliati de La Sposa Cadavere, con bocche molto piccole e semplice i cui movimenti sono azionati da meccanismi robotici. Infatti, solo per i volti de La Sposa Cadavere sono stati spesi oltre 30.000 dollari.

Creare un piccolo personaggio può essere molto dispensioso, e più articolato sarà il suo scheletro più il suo prezzo salirà. Ogni singolo burattini può, infatti, costare tra i 1000 dollari e 50mila dollari. Considerando per una singola scena ci vuole una quantità di tempo che potrebbe essere racchiusa all’interno di  una settimana – si parla di 20 secondi massimo di animazione totali su 90 minuti di film – il denaro speso per un film in stop motion è molto considerevole.  Realizzare, quindi, un lungometraggio interamente in stop motion non richiede quindi solo una discreta quantità di denaro ma anche grande pazienza e dedizione.

 

 

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Kubo è il quarto lungometraggio della LAIKA, e se non ci fosse questa casa di produzione probabilmente oggi non saremmo qui.

Kubo e La Spada Magica è spettacolare, tecnicamente perfetto. Addirittura troppo, perché pone lo spettatore medio nella condizione di non riconoscere gli elementi in stop motion, mettendo il film sullo stesso piano di un lungo d’animazione tradizionale o in CGI. Ma un film come Kubo, costando decine di milioni di dollari, deve assolutamente assicurare un ottimo rientro al botteghino, che quindi aziona delle logiche impreditoriali inevitabili e che giustificano molti aspetti.

 

Il burattino in stop motion deve essere leggero, perfettamente articolare e sostenuto dal rig che permette al burattino di stare in piedi e mantenere il baricentro.

 

https://www.youtube.com/watch?v=WFAqsr5fkII

 

La creazione dei burattini di Kubo è una combinazione di più elementi. Scheletro complesso, cura maniacale dei materiali, ma la creazione delle espressioni è stata divisa in mascherine come nel caso di Box Trolls. In questo caso si può risparmiare moltissimo tempo e anche denaro, perché vengono usati un paio di modelli e cambiate solo le mascherine per le varie espressioni.

Il mondo della stop motion è molto più complesso di quanto si possa immaginare. Stefano Bessoni ci introduce in questo bellissimo mondo, dandoci solo un piccolo assaggio. La magia la possiamo però rivivere al cinema, ovviamente proprio con Kubo E La Spada Magica.

 

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Una pellicola che si rivolge sia ai bambini che agli adulti. Una favola diversa basata sul coraggio e sui legami, sul valore delle proprie idee. Una storia fatta di magia, emozioni e le bellissime atmosfere dell’oriente.

Una vera alchimia tra stop motion e CGI imperdibile!

 

Kubo e La Spada Magica è nelle sale cinematografiche italiane dal 3 Novembre.