Carmine Di Giandomenico: dalla DC alla Mostra del Cinema di Venezia

Carmine Di Giandomenico

È iniziata ieri la 74. Mostra del Cinema di Venezia e con lei anche una delle sue sezioni parallele, la 32. Settimana della Critica. Film evocativi e coraggiosi dalla forte impronta femminile e che guardano a un futuro cinematografico molto più moderno con un manifesto parla della forte, e necessaria, evoluzione del cinema: artefice della bellissima illustrazione il fumettista Carmine Di Giandomenico. Dalla Marvel al Flash della DC, lo abbiamo intervistato in occasione di questa sua collaborazione cinematografica.

Giunta alla sua 32esima edizione, quest’anno la Settimana Internazionale della Critica si veste di evoluzione e femminilità e tutto ciò ci viene raccontato dal bellissimo manifesto illustrato dal fumettista Carmine di Giandomenico.

Un visione in chiave cyber-fantasy di un cinema moderno ma che si riflette nella realtà cercando di riportarla sullo schermo nel modo più naturale possibile. Al tempo stesso è la realtà che osserva il suo doppione tecnologico, simbolo di un’evoluzione necessaria del cinema.

 

Il cyber non è uno stile sconosciuto alla carriera di Carmine che, anzi, afferma aver trovato in questa modalità di disegno una via per stimolare ancora di più la fantasia, utilizzando canoni fissi per poi svilupparli in nuove forme.

Classe 1973, Carmine Di Giandomenico è uno dei pochi fumettisti italiani ad aver collaborato  con due delle case editrici di fumetti più famose del mondo, ovvero Marvel Comics e DC Comics.

 

Carmine Di Giandomenico

 

Il suo debutto avviene nel 1994 con l’albo “Examen” su storia di Daniele Brolli, e gli inizi con Sergio Bonelli Editore e saldaPress, Carmine Di Giandomenico entra nel team artistico di Marvel Comics, per la quale realizza alcuni “What if” su storici personaggi come Capitan America e Wolverine, e le miniserie su Magneto (“Magneto: Testament”), Spider-Man (“Spider-Man Noir”), Iron Man (“Iron Man #500”) e Daredevil (“Battlin’ Jack Murdock”), di cui firma anche la sceneggiatura, diventando il primo Italiano a ideare, sceneggiare e disegnare un storia per “la casa delle idee” statunitense.

Attualmente è diventato la matita principale di casa DC Comics per il personaggio Flash nel nuovo ciclo Rebirth di tutte le più storiche e famose testate di DC.

Nella sua intensa carriera come fumettista Carmine ha ancora collaborato come autore di storyboard cinematografico. Tra le sue più famose collaborazioni impossibile non citare Martin Scorsese (Gangs of New York, 2002) e Tsui Hark (Double Team – Gioco di squadra, 1997).

 

 

Carmine Di Giandomenico

Una bozza del disegno del Manifesto della 32. Settimana Internazionale della Critica

 

In occasione della sua collaborazione con la 32. Settimana Internazionale della Critica, in bilico, quindi, tra fumetto e cinema, ho avuto il piacere di intervistare Carmine. Una conversazione che si snocciola tra il significato del suo bellissimo manifesto, l’esperienza cinematografica e le problematiche del cinema sui supereroi di oggi.

 

Elemento caratterizzante di questo manifesto è questa unione tra antico e moderno. L’elemento cyberpunk funge quasi da collante tra quella che è una generazione cinematografica ed un’altra; quindi, prima di tutto, cosa ti ha portato ad arrivare a questo tipo di processo creativo per il manifesto della 32. Settimana Internazionale della Critica?

Prima di tutto mi chiama Giona e mi chiede appunto di partecipare realizzando questo manifesto. Gli chiedo, quindi, cosa avrebbe voluto raccontare e cosa si sarebbe dovuto intendere da questo tipo di manifesto. In realtà, lui mi ha subito lasciato massima libertà. Sicuramente il manifesto doveva parlare di cinema, ma poteva farlo riprendendo le tematiche, molto particolari e attuali. Inoltre, poteva allacciarsi alla forte componente fdi autrice femminili dei film all’interno della Selezione.

Quindi mi sono messo a pesare a come rappresentare il cinema in chiave femminile ed innovativa. Poi ho pensato che il termine cinema è più femminile che maschile, e anche la tecnologia come termine è femminile. Ho cercato di unire le due cose con un droide che vola, e rappresenta il cinema moderno, che riesce a filtrare e a trasportare l’immagine in modo molto più naturale rispetto a quando non c’era tutta questa tecnologia. Infatti, l’immagine riflessa che emerge dall’acqua è un’immagine naturale di lei, e non cyborg.

È lei che fuoriesce in modo naturale dall’acqua, osservandosi. E questo perché volevo rappresentare la realtà che osserva l’evoluzione del cinema, e il cinema che osserva la vita, cercando di riprenderla nel modo più naturale e spontaneo possibile.

 

Il cyberpunk è un elemento che già ritorna nella tua carriera. Mi viene immediatamente in mente Oudeis, la tua rilettura del mito di Ulisse appunto in chiave cyberpunk. Come mai usi spesso questo tipo di caratterizzazione nelle tue illustrazioni?

Il Cyberpunk è un genere che affascina, sia persone della mia generazione che quelle più giovani. Nella cultura del fumetto americano, questo tipo di tematica è molto ricorrente. Ultimamente hanno ripreso Spider-Man 2099 che è proprio tutto cyberpunk, tutto tecnologia.

E poi mi piace raccontare un tipo di mondo fantastico, di tecnologia, che non sia semplicemente decorativo ma che porti a pensare. Infatti, anche il cyborg della donna che vola nel manifesto della Settimana della Critica, non ha delle mani ma ha dei teli, come a voler simboleggiare il sipario del cinema. Utilizzarlo in maniera un po’ più ragionata, un po’ come è stato fatto con Matrix, per raccontare attraverso la tecnologia qualcos’altro.

A me piace molto anche perché stimola la fantasia; cioè, riesci anche ad elaborare dei costrutti grafici che diventano tuoi. Mi piace giocare con elementi diversi. È un po’ come giocare con i Lego, dove puoi creare da zero e dagli stessi mattoncini puoi fare cose diverse. È un modo diverso per sperimentare, utilizzando canoni già conosciuti. Per il manifesto, infatti, non volevo giocare sul classico “vecchio e nuovo”.

Se penso al cinema si, mi viene in mente la pellicola, ma a quel punto mi viene in mente anche la sigla di quei film mandati in onda la sera su Rai 1. Ormai è un qualcosa di superato! Volevo, invece, usare un elemento estraniante, apparentemente non unito alla parola cinema, ma che in modo o nell’altro porta a far riflettere molto di più e che faccia rimanere, quindi, impresso il senso del Manifesto.

 

Carmine Di Giandomenico

 

Tu hai lavorato, anche se per poco tempo, come storyboarder per serie tv e cinema. Nonostante tutto questo sia stato solo una parentesi, come giudicheresti questo tipo di mondo dall’interno?

Si, ho fatto una toccata e fuga. Sicuramente è un mondo affascinante. La mia prima grande esperienza che conservo con gioia è stata Double Team – Gioco di Squadra di Tsui Hark. Ero a Roma a lavorare su degli storyboard insieme ad altri colleghi.

E lo conservo questo tipo di ricordo perché comunque il cinema è una macchina, dove tutti servono, tutti sono degli ingranaggi che fanno parte di questa macchina, ed è una cosa stupenda. I reparti non sono in competizione tra di loro. Nel cinema tutti si impegnano per la massima realizzazione e riuscita di un film.

Ricordo che tutto era una sinergia. È stata un’esperienza fantastica e mi ha insegnato molto di più a livello narrativo. Delle volte ci sono alcune tecniche dello storyboard del cinema che, quando ho carta bianca, utilizzo quando lavoro a un fumetto. Poi la motivazione principale per la quale mi sono allontanato dal mondo del cinema è che la gavetta è molto lunga e, il tipo di lavoro fatto, non viene sempre percepito, soprattutto in Italia.

 

E, invece, da fumettista, come giudichi il processo attualmente in atto, sia da parte del cinema che delle serie tv, dove la materia prima del fumetto viene particolarmente spolpata per dare vita a delle “nuove storie” sullo schermo? Pensi che in qualche modo si stia svecchiando un certo cinema di grande intrattenimento oppure si sta demolendo la carta stampata?

Io credo che ci sia davvero molta crisi negli Stati Uniti. Non ci sono sceneggiatori giusti per scrivere dei buoni film. È un raschiare il fondo dove si sfruttano dei personaggi già conosciuti, dove poter fare ancora dei “k” (soldi).

Perché, in fondo, anche questi cinecomics, saranno pure fatti bene scenicamente, e per me che sono appassionato possono pure divertire, ma se poi guardi bene e verso un pubblico più ampio, c’è molto poco. A parte che a breve, secondo me, andremo al cinema con il joypad, perché io non vedo storie. Sono un po’ stanco di vedere solo effetti speciali, tutto action senza un briciolo di attenzione alla storia o ai personaggi.

Vorrei avere delle storie! Probabilmente è una mia esigenza perché sto invecchiando e quindi mi sono stufato, ma nulla toglie che comunque debbano esistere, ma sicuramente in modo più introspettivo, con una cadenza molto più misurata. Preferirei avere un film che mi emozioni, mi faccia ridere e magari anche commuovere.

Queste pellicole cariche di personaggi sono allo stesso livello di un videogioco, e nemmeno. Dovrebbero avere il coraggio di mettersi più in gioco.

 

Quindi, forse, non ti piacerebbe ritornare a fare lo storyboarder proprio per un cinecomic, o magari scriverlo ex-novo tu, magari appunto una storia più ragionata tratta da un fumetto?

Tornare a fare storyboard… ma anche no! Scherzi a parte, la mole di lavoro, soprattutto con il tipo di film degli Stati Uniti, è spaventosa, quindi sarebbe davvero un massacro per me, sia fisicamente che mentale. Scrivere e realizzare un progetto mio cinematografico, tra virgolette si, sicuramente mi piacerebbe.

Ho delle cosucce in cantiere, che stanno lì perché non è ancora il momento. Sto lavorando da sei anni ha un progetto molto ambizioso, al quale però sto dedicando il suo tempo. È una sorta di trasposizione cinematografica, ma in versione animatic.

Quindi sarà un fumetto che tu vedrai in sala, dove ci sarà un movimento studiato per far muovere le vignette che appaiono, dissolvenze, analogie, e in più appariranno i dialoghi, tutti con font e colori differenti per distinguere i personaggi, ma ci sarà anche la voce del personaggio. Inoltre, tutto sarà musicato da Luca D’Alberto, che ha lavorato con moltissimi grandi autori. E, in realtà, ciò che manca è proprio il montaggio audio.

 

 

Carmine Di Giandomenico

 

Attualmente tu sei la matita ufficiale di Flash, che è un personaggio molto particolare nell’ambito televisivo e cinematografico. Come pensi che stiano trattando questo personaggio? E ci sono delle caratteristiche che ti hanno avvicinato a questo personaggio?

Posso citare Boris? BUCIO DE CULO! Allora, andando per gradi, avevo finito il rapporto in esclusiva con Marvel, mentre comunque stavo finendo di lavorare sul remake di Dylan Dog scritto da Paola Barbato.

Comunque, davvero inaspettatamente, mi è arrivata una mail da parte di DC che mi chiedeva di collaborare con loro. Io ho ovviamente accettato subito. Poi, essendo gli americani un po’ caciaroni, ammetto che tutto è stato un po’ una gag. Loro mi hanno chiesto: Quale personaggio ti piacerebbe disegnare? Ed io subito: Superman!  E loro: Ah, ok, ma noi siamo l’ufficio di Batman. E io: E allora, cosa me lo chiedete a fare?

Comunque dovevo iniziare disegnato la testata dedicata a Grayson, ma proprio nell’asse di quando stavo per iniziare il primo numero, vengo avvisato che si facendo questa nuova collana di Rebirth, praticamente una sorta di remake delle vecchie e famose testate della DC. Nuovi cicli ma sempre collegati da continuity.

E la scelta è caduta su Flash, prima ancora di sapere quanto sarebbe durato, perché mi piace moltissimo lavorare sul linguaggio del copro e con questo personaggio si può fare un ottimo lavoro, sicuramente stimolante. Posso trovare delle strutture anatomiche per rendere i suoi scatti. In più è un personaggio che mi ricorda me stesso, anche nel tratto, nel corpo particolarmente nervoso.

Flash nei fumetti è sempre stato raccontato con la sua immagine ripetuta, come se fosse un rallenta. Fotogramma per fotogramma. Invece, al contrario, io ho utilizzato i suoi falchi gialli, come una scia, esattamente come viene mostrato nella serie televisiva. E questo elemento è stato molto apprezzato dal pubblico americano, perché è stato uno svecchiamento generale nel modo di rappresentare il personaggio.

 

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