Perché Dead Space di EA Motive è una lezione su come fare un remake

Il remake di Dead Space è stato accolto con grande entusiasmo dagli appassionati delle avventure di Isaac Clarke e non solo. Ed il motivo non è da ricercarsi nell’approccio conservativo e rispettoso del materiale originale, ma in tutta quella serie di interventi messi a punto dal team di sviluppo per riuscire a rendere il prodotto sì moderno ed appetibile per i neofiti, ma capace comunque di includere al suo interno tutti quegli elementi che rendono ancora oggi Dead Space un classico intramontabile per tutti gli amanti del genere.

In perfetto equilibrio tra tradizione e modernità, Dead Space Remake migliora, evolve ed affina quanto proposto nel gioco originale con tutta una serie di miglioramenti ed aggiunte che rendono l’esperienza a bordo dell’Ishimura ancora più immersiva, coinvolgente e spaventosa rispetto al passato.Cerchiamo di capire dunque cosa rende effettivamente Dead Space un remake quasi impeccabile quanto il RE2 del 2019, partendo proprio dal confrontare l’operazione messa a punto da EA motive con quella di Capcom e non solo. 

Da Resident Evil 2 a Dead Space

È innegabile: il remake di Resident Evil 2 resta ad oggi uno dei punti più alti mai raggiunti in termini di rifacimenti videoludici. E proprio per questo è importante citarlo ai fini del nostro discorso perché fa esattamente tutto quello che ci si aspetta da un remake in grande stile, ossia proporre la stessa identica esperienza, sfruttando un linguaggio del tutto nuovo. Un po’ quello che fa anche Dead Space Remake, seppur con modalità differenti. 

Resident Evil 2, infatti, conserva tutto il fascino ed il carattere dell’opera originale, reinventandola con soluzioni efficaci ed intelligenti al fine di ricreare quel mix di adrenalina e tensione che ha reso così celebre il filone dei survival horror negli anni ’90.

Non è un caso, infatti, che EA Motive abbia scelto di seguire l’approccio di Capcom sul piano concettuale e qualitativo per la costruzione di questa nuova interpretazione del capitolo originale di Visceral. L’idea del team, del resto, è sempre stata quella di riuscire ad arricchire l’esperienza originale con contenuti più ampi, mantenendo sempre una certa fedeltà al materiale di partenza. Esattamente come nel RE2 del 2019, il racconto che fa da sfondo alle vicende di Isaac Clarke è, di base, lo stesso, ma presenta molte più sfumature e dettagli rispetto all’originale.

Lo stesso background di alcuni personaggi è stato sensibilmente rivisto per dare loro un’impronta più realistica e coerente con i fatti narrati. Il team, infatti, non solo ha ampliato il ruolo di alcuni personaggi, come nel caso della ricercatrice Elizabeth Cross, ma anche riscritto alcune scene, aggiunto cut-scene e dato finalmente voce al protagonista. Gunner Wright – il doppiatore di Isaac da Dead Space 2 in poi – torna infatti in questo remake ad interpretare l’ingegnere. 

Discorso diverso invece per quanto riguarda le aggiunte sul fronte ludico: se è pur vero che Resident Evil 2 introduce delle variazioni più marcate da questo punto di vista ( il cambio della visuale, la revisione dello svolgimento delle due campagne ecc..), Dead Space sceglie di seguire un approccio più conservativo, ma non per questo meno efficace. Del resto, dobbiamo tenere presente che nel caso di Dead Space parliamo di un titolo molto più recente, uno dei motivi per per cui il combat system del capolavoro di Visceral funziona ancora alla grande. Proprio per questo, lo studio di Montreal ha agito senza operare alcuno stravolgimento di sorta lato gameplay, ma andando ad effettuare alcuni ritocchi utili a favorire la giocabilità senza andare a compromettere il feeling dell’esperienza originale: il sistema di shooting, ad esempio, è stato reso sì più fluido e reattivo, ma sempre coerente con le sensazioni trasmesse dal gioco nel 2008. 

Un po’ come nel caso del remake di Demon’s Souls dove il fattore fedeltà viene posto al centro dell’operazione di restauro. Il titolo di Bluepoint Games, infatti, resta ad oggi un remake eccezionale, totalmente votato alla conservazione e capace di omaggiare il lavoro di From Software in modo impeccabile.

Se la cornice grafica è totalmente inedita, l’impostazione ludica, impietosa e punitiva, resta la stessa con tutti i pregi e le limitazioni del caso. Demon’s Souls di fatto è un titolo nuovo, impreziosito da una veste grafica accecante e magnetica, ma comunque capace di conservare l’essenza, la natura e le asperità del primo grande Souls. Sebbene Bluepoint abbia operato delle piccole modifiche, come quelli legati ai meccanismi di schiavava, ad esempio, il gioco non presenta contenuti inediti né modifiche al bilanciamento (persino le tempistiche e i ritmi delle animazioni d’attacco siano quelli di un tempo). Un titolo che non può dirsi pienamente moderno dunque, ma senz’altro capace di rendere omaggio ad una delle grandi pietre miliari della storia dei videogiochi, valorizzando la sua importanza sul piano storico e preservando i dettami della sua filosofia.

Equilibrio tra fedeltà ed innovazione: quanto è importante?

Ovviamente, quando ci si confronta con i grandi capolavori del genere, non è facile andare a definire la portata e l’estensione del lavoro di rifacimento. Riportare in vita un cult non significa soltanto renderlo più attuale e quindi più adatto al grande pubblico, ma rispettarne anche l’essenza, avendo cura dei ricordi di chi quell’esperienza l’ha vissuta intensamente, di chi ha riconosciuto il suo valore sin dal primo istante. 

Nel caso di Demon’s Souls, non si può non considerare l’approccio al restauro operato da Bluepoint totalmente corretto, nonostante l’assenza di novità sostanziali. Anche se il titolo di Bluepoint Games non va incontro ad un effettivo svecchiamento sul fronte delle meccaniche, non tradisce le aspettative degli appassionati della prima ora e – cosa più importante – non si arroga il diritto di sovrascrivere le scelte creative di From Software: una prospettiva del tutto comprensibile, se si tiene conto della difficoltà dell’operazione nonché del valore storico e culturale del prodotto. Nel caso di Dead Space, ci troviamo invece di fronte ad una situazione del tutto diversa: il remake resta sì estremamente fedele all’originale, ma affina, modella ed evolve quanto fatto precedentemente con il capolavoro del 2008 con alcune aggiunte che puntano ad arricchire e a migliorare l’esperienza sia sul fronte narrativo che ludico. 

Laddove il RE2 del 2019 reinterpreta e Demon’s Souls conserva, Dead Space si pone esattamente al centro tra queste due operazioni.

Il Dead Space di Motive, infatti, espande ed arricchisce il materiale di partenza, in maniera intelligente e rispettosa .Proprio come l’osannato remake di Resident Evil 2, il gioco di EA Motive ripropone in versione moderna tutto quello che abbiamo amato dell’epopea di Isaac Clarke, in termini ludici, contenutistici e sensoriali. Omaggia i ricordi idealizzati degli appassionati, dosando in maniera oculata e certosina le aggiunte ed i miglioramenti al gameplay e mantenendo inalterati gli elementi che hanno reso grande il primo ed indimenticabile Dead Space.

Il gioco del 2023, mantiene intatto tutto il carattere e la tensione dell’originale, rendendo al tempo stesso  l’esperienza di gioco più ricca, strutturata e spaventosa, sfruttando un sound design incredibile e proponendo un comparto grafico di grande spessore che offre momenti spettacolari. Inoltre, grazie al Frostbite Engine i necromorfi appaiono ora ancor più terrificanti che in passato e l’introduzione del nuovo sistema Intensity Director fa schizzare la tensione alle stelle, creando in modo casuale eventi inattesi come improvvisi blackout, luci tremolanti, esplosioni, voci ed effetti sonori disturbanti. Un inquietante mix di elementi capaci di valorizzare uno dei grandi punti di forza di Dead Space: l’atmosfera.

Dead Space Remake dunque non può che considerarsi un impresa riuscita, forte di una visione creativa che ha saputo coniugare efficacemente tradizione e innovazione. Uno splendido esempio di restauro ludico che offre ai neofiti la possibilità di godere appieno dell’esperienza del 2008, ma in forma più moderna e definitiva, e che dà ai fan di lungo corso un motivo in più per salire nuovamente a bordo dell’imponente Ishimura. Ma questa volta, non solo sulla scia dei ricordi e della nostalgia.

 

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