Le saghe videoludiche scomparse

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Riscopriamo alcune serie di videogiochi che pur avendo goduto in passato di un buon successo sono scomparse ormai da tempo, quasi senza far rumore.

Spesso i videogiochi di successo – soprattutto a livello commerciale – generano diversi sequel, dando vita a una vera e propria saga. Accade però che, a causa di un episodio non particolarmente riuscito, o di un calo di vendite o di interesse da parte dell’utenza, le serie vengano “messe in naftalina” e non se ne senta più parlare.

In questo approfondimento ripercorreremo insieme alcuni dei videogiochi più noti del recente passato che però ormai da tempo non calcano più le scene di PC e console.

 

Alone in the Dark

Nato nel lontano 1992, il titolo sviluppato da Infogrames (oggi Atari SA) è considerato da molti il primo vero survival horror. Dopo la trilogia originale terminata nel 1995, la serie è tornata in scena nel 2001 con Alone in the Dark: The New Nightmare, titolo ispirato ai più noti Resident Evil e Silent Hill sia nelle dinamiche che nelle atmosfere, e ben sette anni dopo con un quinto capitolo intitolato semplicemente Alone in the Dark.

Penalizzato da una pessima telecamera, da controlli scomodi e diversi bug, il titolo fu pesantemente bocciato dalla critica. Atari corse ai ripari presentando una versione nettamente migliorata per PlayStation 3 sottotitolata Inferno, che riuscì parzialmente a mitigare il flop del titolo. La saga ha rivisto la luce solo nel 2015 con lo spin-off Alone in the Dark: Illumination, un TPS pubblicato solo per PC talmente mal progettato e poco riuscito da fare incetta di voti sempre più bassi a ogni recensione.

 

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Alone in the Dark: The New Nightmare uscì nel lontano 2001.

 

Battle Arena Toshinden

Chi ha vissuto il fenomeno PlayStation fin dagli albori si ricorderà senz’altro che, prima del successo di Tekken, il punto di riferimento per quanto riguarda i picchiaduro tridimensionali era Battle Arena Toshinden. Pubblicato nel 1995 da Takara, si trattava di un prodotto assolutamente innovativo per l’epoca, per via dei combattimenti all’arma bianca e della possibilità di effettuare attacchi laterali.

Dopo due seguiti annuali tutto sommato insipidi la serie si prese qualche anno di pausa per poi fare ritorno con Battle Arena Toshinden 4, titolo che, a causa di un mercato ormai saturo e un comparto tecnico e di gioco datato rispetto alla concorrenza, passò quasi del tutto inosservato. Dopo ben nove anni vide la luce Toshinden: War Budokai per Wii, titolo rimasto confinato al solo mercato giapponese, che sembra aver concluso definitivamente la saga.

 

 

Bloody Roar

Come sottolineato poco sopra, uno dei generi più in voga durante l’epoca 32bit fu senz’altro quello dei picchiaduro tridimensionali. In un mercato dominato dalla serie Tekken, l’unico modo per conquistarne una fetta di utenza era quello di offrire qualcosa di innovativo.

E fu proprio questo che permise a Bloody Roar di crearsi una propria nicchia di fan; infatti la caratteristica principale del titolo era quella di poter trasformare il proprio lottatore in un essere antropomorfo (a metà fra un umano e un animale) dopo aver riempito un’apposita barra durante il combattimento. Dopo due seguiti che non apportarono particolari novità alla saga – a parte una progressiva semplificazione dei comandi che permetteva di vincere facilmente gli scontri – il quarto capitolo ha concluso la serie, e i problemi finanziari dello sviluppatore Hudson Soft (poi acquisito da Konami nel 2012) non hanno permesso la lavorazione di ulteriori titoli.

 

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Il banner di Bloody Roar rappresentava perfettamente l’adrenalina dei combattimenti.

 

Dino Crisis

Forte del successo di Resident Evil, nel 1999 Capcom lanciò sul mercato Dino Crisis, un survival horror che ne riprendeva la struttura di gioco e le atmosfere, sostituendo gli zombie con i dinosauri e offrendo un’esperienza di gioco ancor più adrenalinica.

A differenza dei non morti di Resident Evil, i dinosauri di Dino Crisis erano molto veloci e ferocissimi, incutendo panico nel giocatore che si trovava molto spesso costretto a fuggire piuttosto che ad affrontarli direttamente. Prevedibile successo di critica e di vendite, il titolo ebbe un paio di anni dopo un seguito, Dino Crisis 2, meno survival horror e più simile a uno sparatutto in terza persona, che permetteva di usare due personaggi alternati, Regina (protagonista del primo gioco) e Dylan, ognuno con una propria storia separata.

Dopo la pubblicazione nel 2002 del dimenticabile spin-off Dino Stalker, uno sparatutto in prima persona che permetteva l’utilizzo di una Light Gun, la saga principale si concluse con Dino Crisis 3, pubblicato nel 2003 per Xbox. Il titolo virava verso un’atmosfera  più sci-fi in stile Alien, dove una squadra di marines veniva spedita a bordo di una nave della quale si erano perse le tracce, ovviamente popolata da dinosauri mutati geneticamente. Il gioco avendo abbandonato completamente le atmosfere survival si rivelò un mediocre shooter in terza persona con fasi platform rese frustranti da una pessima telecamera e controlli imprecisi. Le recensioni negative ne fecero un flop, decretando la fine della saga.

 

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Regina, protagonista dei primi due capitoli di Dino Crisis.

 

Onimusha

Nel 2001 Capcom pubblicò per PlayStation 2 Onimusha : Warlords, action in terza persona ambientato nel Giappone Feudale del XVI secolo. Nei panni del guerriero Samanosouke, il giocatore doveva affrontare orde di demoni con l’ausilio di spade e altre armi bianche, che era possibile potenziare grazie alle anime raccolte con un particolare guanto.

Con la saga di Resident Evil migrata temporaneamente su GameCube, Onimusha si rivelò una valida alternativa in casa PlayStation, nonostante fosse un titolo molto più incentrato sull’azione. Con Onimusha 2 :Samurai’s Destiny (2002) Capcom virò su una struttura simil-gdr, con la possibilità di acquistare e scambiare oggetti e interagire con altri personaggi, che avrebbero aiutato il protagonista (non più Samanosouke ma Jubei) durante i combattimenti. Il successo del secondo capitolo fu tale che nel 2004 venne pubblicato Onimusha 3: Demon Siege, un titolo molto più simile al primo capitolo, che permetteva al giocatore di utilizzare due personaggi in alternanza: Samanosouke, tornato in scena, viene catapultato nella Parigi del 2000, mentre il poliziotto Jacques Blanc (che aveva le fattezze del noto attore Jean Reno) si ritrovava nel Giappone Feudale.

La serie è al momento conclusa da Onimusha 4: Dawn of Dreams, un titolo che riprendeva le derive GDR del secondo capitolo ampliandole ulteriormente: questa volta il protagonista, Soki, poteva essere “livellato” con punti esperienza da spendere per acquisire varie abilità, con la possibilità di controllare, seppure in maniera limitata, un team di personaggi secondari, che potevano affiancare il personaggio principale.

 

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L’attore Jean Reno ha prestato il suo volto per Onimusha 3.

 

Syphon Filter

Pubblicato nel 1999 da 989 Studios (ora Sony Bend Studio), Syphon Filter fu una vera e propria sorpresa per l’epoca. Il titolo, che condivideva alcuni aspetti di Metal Gear Solid, era un coinvolgente action che alternava fasi shooter a fasi più stealth, con una trama che sembrava appartenere ad un episodio dei film di Mission Impossible. Il riscontro in termini di vendite fu notevole, e nel giro di un paio di anni vennero pubblicati Syphon Filter 2 (2000) e Syphon Filter 3 (2001). Se il secondo capitolo – che riprendeva la struttura del capostipite aggiungendo alcune novità – ottenne nuovamente i consensi di critica e pubblico, il terzo episodio non riuscì a bissare il successo dei primi due, a causa di una formula che cominciava a stancare i giocatori e di un comparto tecnico non all’altezza.

Quattro anni dopo la saga si trasferì su PlayStation 2, con Syphon Filter: The Omega Strain, titolo che non riuscì affatto a rilanciare la serie, complici anche alcune scelte poco felici, come quella di congedare Gabe Logan, il protagonista della trilogia originale, per permettere agli utenti di crearne uno da zero, e di concepire il titolo principalmente come esperienza multiplayer. La serie si spostò su PSP con Syphon Filter: Dark Mirror (2006) e Syphon Filter: Logan’s Shadow (2007), titoli che riproponevano le meccaniche e il protagonista degli episodi pubblicati sull’originale PlayStation. Dopo il porting dei due episodi portatili su PlayStation 2, la saga si concluse con Syphon Filter: Combat Ops, un’espansione multiplayer di Logan’s Shadow disponibile esclusivamente su PSN.

 

Syphon-Filter-3-Gabe-Logan

Syphon Filter 3 è stato l’ultimo capitolo ad essere pubblicato sulla prima PlayStation.

 

C’è qualche possibilità che queste gloriose serie vengano riportate in vita? Se per Battle Arena Toshinden e Bloody Roarle possibilità sono praticamente nulle, le altre saghe potrebbero – prima o poi – vedere la tanto agognata luce in fondo al tunnel. Sony ha recentemente rinnovato il marchio Syphon Filter, alzando le probabilità di un nuovo episodio, magari preceduto da una rimasterizzazione dei primi episodi, e Capcom non ha mai negato la possibilità di rispolverare Onimusha e Dino Crisis (di quest’ultimo si sono susseguite diverse voci riguardo un reboot sviluppato da Capcom Vancouver, team responsabile di Dead Rising 4).

Nell’attesa, tanto vale tirare fuori dalla cantina le vecchie console per riscoprire i titoli originali.
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