Scrivere la recensione di DOTA: Dragon’s Blood qualche tempo dopo la sua uscita sul catalogo Netflix, ci permette di fare un’importante considerazione. Una delle nuove tendenze che si stanno sviluppando negli ultimi anni, per quanto riguarda la creazione di nuovi mondi fantasy dove ambientare fumetti, videogiochi, serie TV è quella di legare queste vicende a una narrazione più vicina alla tradizione. Di solito, questa tendenza può essere percepita solo in brevi frammenti attraverso il testo narrativo o le biografie dei personaggi.

L’ultimo esempio di questa tendenza è DOTA: Dragon’s Blood su Netflix, che arricchisce il mondo di Dota 2 di Valve tramite una serie anime di otto episodi. L’aspetto positivo è che pur non avendo mai giocato al videogioco, l’anime si presta ad essere guardato come una storia fantasy. Quello che sorprende in modo negativo è che la serie fa ben poco per far conoscere e rendere interessante il mondo di DOTA a chi non lo conosce.

 

 

DOTA: Dragon’s Blood segue le storie di più personaggi diversi, il primo che incontriamo è Davion, un cavaliere drago che aiuta una piccola città a liberarsi di alcuni mostri pericolosi. All’inizio, dopo uno strano incontro/scontro con un drago anziano, viene posseduto da una forza demoniaca che occasionalmente lo farà trasformare in un un drago con pochi riguardi per ciò che lo circonda. In seguito il suo cammino si incrocia con quello di una che ha tutta l’aria di essere una principessa caduta in disgrazia di nome Mirana – che cavalca un gattone gigante. I due si imbarcano in una missione per prevenire una guerra di qualche tipo.

Qui inizia la storia comincia a diventare più caotica infatti, ci sono anche elfi in cerca di fiori di loto magici, una dea che vuole essere adorata e una manciata di altri archi narrativi che coprono di tutto, dalle fazioni elfiche in guerra a mostri impazziti alla breve apparizione di zombi. Oh, e anche una spada parlante malvagia. In questa recensione di DOTA: Dragon’s Blood ci teniamo a essere onesti e anche un po’ spietati quando serve.

C’erano una volta guerrieri, draghi, principesse, elfi…

DOTA: dragon's blood, la recensione

In questa recensione di DOTA: Dragon’s Blood vogliamo analizzare sia gli elementi narrativi che il tipo di lavoro effettuato per l’animazione. In questa serie anime succedono davvero molte cose forse troppe, la narrazione si muove a un ritmo talmente sostenuto che non si ferma mai su un filone narrativo unico per troppo tempo. Spesso nelle storie fantasy, ci sono alcuni gruppi di persone che cercando di raggiungere obiettivi diversi, per poi arrivare alla fine a incrociare il proprio destino con quello di altri. Ma raramente si riescono a vedere i diversi gruppi della serie interagire in modi interessanti.

Descrivere la trama è difficile: ci sono personaggi che cercano di fermare una guerra, ma alcuni degli elementi chiave – come quei famosi fiori magici per i quali i personaggi rischiano la vita – non viene mai realmente spiegato. Non è quasi mai chiaro perché le cose ritenute importanti lo sono davvero.

Adesso ci prendiamo una pausa dalla critiche e vi diciamo invece cosa funziona di questa serie anime, una recensione serve anche a questo. DOTA: Dragon’s Blood è pieno di fantastiche sequenze d’azione – l’animazione è stata gestita da Studio Mir, meglio conosciuto per il suo lavoro su La Leggenda di Korra – e ci sono molti poteri speciali originali e draghi dall’aspetto molto particolare.

In questi casi non c’è bisogno di conoscere tutti i dettagli dietro DOTA: Dragon’s Blood per godersi una battaglia ben sviluppata tra un cavaliere e il drago a cui ha dato la caccia.

L’azione scorre rapida e fluida con una serie di grandi battaglie e affannose scene di inseguimenti.

Come l’adattamento di Castlevania di Netflix, anche DOTA: Dragon’s Blood adora mostrare fontane di sangue dappertutto, con scene con molte decapitazioni e persino una sequenza (un po’ fastidiosa per chi tifa per i draghi)  in cui un drago viene letteralmente massacrato.

La struttura degli episodi

DOTA: Dragon's Blood, la recensione

La nostra recensione di DOTA: Dragon’s Blood continua concentrandosi sui singoli episodi. La serie anime è stata sviluppata da Ashley Edward Miller, co-sceneggiatrice di Thor e X-Men: First Class, ed inizia in modo abbastanza semplice.

La premessa della storia è tratta dal videogioco: due aspetti della stessa mente onnipotente usano tutti i tipi di potenti guerrieri per dichiararsi guerra l’uno contro l’altro sulla questione filosofica se sia meglio pensare o agire.

Dopo aver introdotto brevemente questa idea, DOTA: Dragon’s Blood racconta la storia di Davion (Yuri Lowenthal), un giovane membro di un ordine di cavalieri draghi dediti alla caccia alle bestie. Non è la scelta più eccitante tra i 120 personaggi di DOTA, ma la storia di Davion è una delle sottotrame più facilmente riconoscibili, quindi ha senso iniziare con lui.

Il primo episodio inizia con uno scontro tra Davion e un drago, in cui il cavaliere mostra le sue abilità di cacciatore di fronte a una folla, incitato dal suo scudiero Bram (Josh Keaton). Le scene d’azione sono ben dirette, come alcune scene di un combattimento di draghi in volo. Il mix di effetti 3D e 2D però sono spesso fonte di distrazione.

Dopo l’incontro in una taverna con la principessa del regno della luna Mirana (Lara Pulver) e la sua assistente muta Marci, Davion viene coinvolto nella ricerca di fiori di loto magici rubati dal regno di Selemene (Alix Wilton Regan), la dea usurpatrice della luna. Poco dopo Davion si “lega” al drago Eldwyrm Slyrack (Tony Todd di Candyman) e affronta il ​​potente demone Terrorblade (JB Blanc).

Da questo momento in poi la storia inizia a diventare più intricata, e anche per un fan di DOTA di lunga data, ci sono troppe trame con cui stare al passo. In pratica la prima stagione intreccia i racconti della ricerca di Davion per cacciare il drago dal suo corpo e la ricerca di Mirana per recuperare i fiori di loto, che sono legati a un conflitto di lunga data tra Selemene e i seguaci della dea che ha rovesciato.

Gli scrittori hanno approfondito il modo in cui i diversi personaggi reagiscono quando le loro convinzioni vengono messe alla prova.

Davion, Mirana e Marci alla fine devono cercare l’Invocatore (Troy Baker), un potente stregone che si è mantenuto in vita attraverso la magia abbastanza a lungo da conoscere quasi ogni tipo di magia.

Di tutti i personaggi principali del videogioco, la versione dell’Invocatore sembra la più lontana dall’originale. Un’altra breve storia secondaria coinvolge Mirana e una pietra rossa splendente. I giocatori di DOTA sapranno che questo è probabilmente destinato a creare una trama per qualcos’altro, ma i neofiti avranno difficoltà a capirlo.

Videogioco vs Anime

recensione di DOTA: Dragon’s Blood

Tutti i vari filoni narrativi presenti nella storia offrono modi intelligenti per mostrare vari elementi del videogioco come la Pergamena del Portale Cittadino e le gemme della vera vista. Anche così facendo però, non si fa abbastanza per creare delle distinzioni tra il mondo fantasy di DOTA da qualsiasi altro.

I fan del franchise del videogioco possono emozionarsi nel vedere personaggi familiari affrontarsi tra loro (specialmente nell’ultimo episodio), ma in generale, i fan del genere fantasy hanno probabilmente già visto la maggior parte degli elementi che questa serie ha da offrire.

Elfi usati come metafora del razzismo, uomini che si svegliano accanto a prostitute di cui non ricordano il nome, donne che corrono il rischio di essere vendute come schiave – nel mondo sempre più affollato delle serie basate su videogiochi fantasy, perfino Castlevania e The Witcher riescono a porre le basi di una narrativa che non abbia come obbiettivo solo sconfiggere qualche mostro.

DOTA: Dragon’s Blood dovrà puntare sul suo cast e creare un tipo di narrazione più originale se Miller e co. vogliono che sia più di un retroscena animato per i fan di DOTA.

Nonostante la trama intricata, c’è molta profondità nella scrittura della serie e puo’ sviluppare un anime con un’anima più matura. Ma se Miller spera di coinvolgere nuovi fan e di tenere impegnati i fan di lunga data, la prossima stagione dovrà concentrarsi maggiormente sui personaggi che definiscono il mondo di DOTA, invece di perdersi così tanto nella sua miriade di dettagli.

 

 

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67
DOTA: Dragon's Blood
Recensione di Laura Della Corte

Per concludere, questa recensione di Dota: Dragon’s Blood vuole essere solo una premessa per dire che questa serie anime ha tutte le carte in regola per sviluppare trame e personaggi in modo più chiaro e convincente. In questo modo anche chi non ha mai conosciuto questo mondo fantasy tramite il videogioco potrà riconoscerne tutte le particolarità e appassionarsi sia alla serie che al videogioco stesso.

ME GUSTA
  • La presenza di molti personaggi
  • Il cast vocale originale rispetta il carattere del personaggio
  • sceneggiatura curata
FAIL
  • Caratterizzazione dei personaggi a volte superficiale
  • Trama presentata in maniera confusionaria
  • Poca attenzione ad alcuni dettagli