La vergogna e la paura di essere emarginati porta alcune persone a non voler denunciare alle autorità la propria positività a Covid-19 o, peggio ancora, a evitare il distanziamento sociale seppur consapevoli della propria infettività. A sostenerlo è una nuova ricerca dell’Università del Kent e dalla Leeds Beckett University.

Simili atteggiamenti sono stati riscontrati in Italia, Corea del Sud e USA, tuttavia questa tendenza si dimostra meno marcata in quei Paesi in cui la popolazione ha fiducia nella reazione del Governo alla crisi pandemica, ovvero in quei Paesi in cui le Amministrazioni sono riuscite a creare un’atmosfera di mutua solidarietà, evitando i toni da caccia alle streghe.

Secondo gli psicologi, i valori di gerarchia e interdipendenza promossi dai governi che hanno “responsabilizzato” la cittadinanza ai pericoli derivanti dai comportamenti inadeguati possono concretizzare conseguenze negative, con il risultato che il tutto impatti negativamente sulla salute pubblica.

In parole semplici: se i cittadini percepiscono di vedersi scaricate addosso le colpe della crescita della curva infettiva e se non percepiscono che il Governo stia facendo la sua parte, è facile che le cose scivolino lentamente verso l’anarchia.

Nella nostra ricerca abbiamo identificato che i ruoli della fiducia nei governi e nelle emozioni autoconsapevoli (vergogna e colpa) sono stati fattori determinanti perché le persone accettassero il distanziamento sociale e le intenzioni di denunciare le infezioni alle autorità sanitarie.

Quando i governi e i legislatori creano policy e leggi in relazione al Covid-19 dovrebbero essere consapevoli che stigmatizzare o incolpare le persone per la contrazione dell’infezione potrebbe in tutta probabilità ritorcerglisi contro. Gli sforzi dei governi di aumentare la fiducia dei cittadini sono probabilmente la chiave con cui superare la crisi del coronavirus,

ha sostenuto il dottor Giovanni Travaglino, ricercatore a capo dell’indagine.

 

Potrebbe anche interessarti: