Abbiamo visto gli otto episodi della nuova serie animata targata Amazon Prime Video, dalle menti dietro lo splendido Bojack Horseman. Tra un approccio artistico inedito e una scrittura davvero coraggiosa, Undone potrebbe essere la sorpresa di questa stagione televisiva.
Dovrebbe bastare il nome di Raphael Bob-Waksberg, showrunner di Bojack Horseman, per aiutare a comprendere la portata di un progetto come quello di Undone. D’altronde la serie animata con protagonista il cavallo antropomorfo di Will Arnett si è rivelata con il tempo forse una delle migliori produzioni animate mai costruite, apprezzata da pubblico e critica per caratterizzazioni a dir poco iconiche e tematiche di disamina sociale quantomeno caustiche.
Undone – creata anche da Kate Purdy, produttore di Bojack – si inserisce nelle stesse ambiziose prospettive, in primis per una scrittura di forte connotato drammatico ed analitico, in secondo luogo per una direzione artistica inedita ed eclettica in grado di evidenziare anche a colpo d’occhio la natura atipica della serie.
Un cast d’eccezione tra cui figurano Rosa Salazar (Alita: Angelo della battaglia, Bird Box, Maze Runner) e Bob Odenkirk (Breaking Bad, Better Call Saul) accompagna dunque in un viaggio metafisico dove il confine tra realtà e sovrannaturale acquista contorni sempre meno chiari e sfumati, attraverso il concerto orchestrale dettato dalla psiche umana.
Otto stupendi episodi da circa venti minuti, supportati da performance solide e un approccio al disegno abile nell’evidenziarle. Amore, alienazione, trip temporali e schizofrenia: Undone è un percorso al limite dell’allegorico a cavallo tra onirico e sferzante realismo.
Prima di iniziare, vi ricordiamo che trovate Undone sul catalogo di Amazon Prime Video dallo scorso 13 settembre.
Alma Winograd-Diaz vive un’esistenza dettata dai ritmi della monotonia: routine, lavoro (come maestra d’asilo), sesso e famiglia incastonati in uno schema iterativo dal colore asettico e appannato. Un giorno diventa simile al successivo, e il proseguire del tempo stesso perde tridimensionalità e significato, con un libero arbitrio atrofizzato da aspettative altrui e dettami sociali.
Con un’evidente manifestazione di un terribile comportamento autodistruttivo, Alma finisce per mettere a repentaglio buona parte delle componenti della sua vita, compreso il legame con la sorella Becca (Angelique Cabral) e il fidanzato Sam (Siddharth Dhananjay); il risultato è un incidente che a primo acchito sembra dare incredibili capacità alla ragazza, sbloccandone il potenziale nascosto e dandole la possibilità di intravedere oltre le maglie lineari del tempo e dello spazio. La ragazza inizia poi in tutto questo anche a vedere il padre – deceduto molti anni prima -, e inizia ad impegnarsi nel tentativo di salvarlo.
Dal secondo episodio quindi – rispettando la rinnovata prospettiva della ragazza – gli eventi cominciano a perdere la propria linearità, avviandosi in cicli o in totali astrazioni al di fuori della realtà percepita, semplice velo di Maya di menti ridotte.
Specialmente nelle battute intermedie si salta dunque avanti ed indietro nella catena del racconto, per mezzo di un intreccio surreale sorprendente che spazia dalla caratterizzazione sfaccettata dei singoli personaggi ad un’agile riflessione problematica sui singoli temi dell’esistenza: Becca è ad esempio immagine dell’ipocrisia nelle tessuto interpersonale, Sam dell’opportunismo più becero, ma entrambi vivono di una scrittura che in circa tre ore di minutaggio ne delinea le motivazioni, mai lasciandoli in disparte in toni macchiettistici e anzi sempre rafforzandone la grande statura drammatica.
Ecco così continui flashback e flashforward che nell’ottica amplificata di Alma spiegano la personale parabola degli individui che la circondano (spesso da seguire con attenzione), svelando la radice più umana alle spalle dell’azione a primo acchito più biasimabile; parafrasando le parole del carattere di Rosa Salazar, Alma è una persona rotta tra persone rotte, in una miscela di polvere da sparo pronta costantemente ad esplodere.
In questa necessità di introspezione e spessore in sceneggiatura si inserisce la particolare tecnica di animazione utilizzata nella serie, portata per intero su schermo con rotoscopio, modalità tanto complessa quanto virtuosa nel tentativo di mantenere intatta l’espressività delle interpretazioni originali. Per i profani, la tecnica del rotoscopio consiste nel delineare i disegni dell’animazione (specie relativi ai volti) frame per frame sulla base di filmati girati in live action, con un’insolita via di mezzo tra le possibilità di eclettismo formale e cromatico tipico del disegno libero e di accentuazione dell’emozioni trasposte dalle singole performance.
Se a questo si somma l’utilizzo di sfondi fissi dipinti ad olio con tratti impressionisti (tendenti spesso al realismo di matrice olandese), non avrete grossi problemi nell’immaginare il livello praticamente stellare sia sul piano tecnico, sia sul piano meramente artistico della perfetta opera di Raphael Bob-Waksberg, a questo punto uno dei creativi maggiormente illuminati del settore.
Nulla di tutto quanto detto sarebbe stato in ogni caso possibile senza la grande interpretazione di Rosa Salazar, vera colonna portante della produzione che mostra con una definitiva prova di forza un grande talento appena intravisto nei ruoli passati. La sua Alma riesce a passare dalla gioia al dolore, dall’impassibilità alla disperazione, in un fluire in grado di mettere in secondo piano persino Bob Odenkirk, che qui comunque rappresenta un tassello di consistente importanza. Più in generale, l’intero cast – seppur su un livello inferiore rispetto ai due sopracitati – è piuttosto inattaccabile, complici anche le scelte tecniche intraprese.
In questa composizione nel complesso al limite del miracoloso (facciamo fatica ad evidenziare criticità di qualsiasi genere), Undone gioca sulla sottile linea che demarca il confine tra prodigio e sanità mentale, affrontando in maniera lata (circa) schizofrenia, depressione, PTSD ed ogni tipo di disagio affrontato nel contesto familiare, lavorativo e relazionale dagli individui affetti.
È sorprendente come la scrittura e le soluzioni visive (spesso al limite del surrealismo) riescano di continuo e coerentemente a mostrare entrambe le parti dello specchio, tra l’empatia della legittimazione del misticismo e l’evidenziarsi delle psicosi.
È una prospettiva quanto più aperta possibile, quella di Undone, volta a mostrare entrambi gli estremi del cannocchiale lungo e stretto alla base della nostra percezione della realtà.
Esiste una verità valida in senso universale, o forse questa è una domanda che non ha dopotutto la minima importanza?