Acclamato dalla critica estera, il 28 Marzo arriva finalmente nelle nostre sale Dumbo, il nuovissimo live action Disney diretto dal genio di Tim Burton e con un cast di amici del passato e del presente davvero stellare. Ma sarà davvero il suo grande ritorno?
Dumbo. Dumbo. Dumbo. Uno dei classici Disney più amati di sempre. Uno di quei film che ci ha fatto piangere con la straziante scena di una mamma separata dal suo figlioletto; ci ha fatto sognare nel vedere l’elefantino dalle orecchie più grandi di tutti spiccare il volo; e ci ha anche spaventato e inquietato nella sua danza degli elefanti rosa. Un film che, per i tempi e le tematiche trattate, era estremamente maturo e quasi dark. Non sorprende quindi se il regista riccioluto e controverso Tim Burton, abbia messo gli occhi e le mani sul progetto da tanto tempo.
Progetto dalla lunga, lunghissima gestazione. Si parla di Dumbo ormai da anni, ben prima dell’arrivo in sala de Il Libro della Giungla. La conferma è giunta solo un paio d’anni fa, pochi mesi prima dell’arrivo in sala de La Bella e La Bestia e, adesso, eccoci qui a guardare cosa Tim Burton, dopo aver voluto fortemente interpretare questa storia, è riuscito a creare.
Ammeto che aspettavo questo momento da un po’, forse anche troppo, con la speranza nel cuore di poter intitolare questa recensione con le parole “Dumbo: il grande ritorno di Tim Burton“. Purtroppo, a quanto pare, e al contrario dei colleghi esteri, questo “ritorno” ancora non c’è stato; ma, attenzione, stiamo per caso dicendo che Dumbo è un disastro?
No, assolutamente no. Volevo semplicemente partire mettendo le cose in chiaro e specificando che no, se vi aspettate un film che ci porti indietro nel tempo – di almeno dieci anni, ovvero prima che il disastroso Alice in Wonderland piombasse nella carriera del regista statunitense segnando una discesa davvero spiacevole nelle sue pellicole – vi sbagliate di grosso. Lo so, lo so. Ogni volta, proprio come dei bambini, ci speriamo, con il cuore in mano, di perderci nelle atmosfere gotiche, inquietanti, in bilico tra il sogno e l’incubo, dove il “diverso” è sempre il protagonista al centro di tutto e il politicamente corretto e l’inevitabile lieto fine non sono mai scontati, anzi.
Un universo dove i morti sono colorati, cantano e ballano, mentre i vivi sono grigi e spenti; dove scheletri e mostri festeggiano il Natale; un mondo dove esistono giganti, streghe e avventure fantastiche alla cattura di un pesce gigante o dove uomini con le forbici al posto delle mani insegnano ad una tipica cittadina americana il vero significato della parola “amore”.
Ma basta parlare di nostalgia, di film e di una certa “autorialità” che per ora non rivedremo in sala, e iniziamo a parlare di Dumbo. Come abbiamo già detto prima, Dumbo è uno di quei classici Disney che più hanno fatto innamorare gli spettatore di ogni età. Una di quelle cassette viste e riviste fino a consumare il nastro, creando un fortissimo legame con l’elefantino dalle grandi orecchie e gli occhioni blue. Ed anche in questo, è molto difficile non emozionarsi nel guardare per la prima volta il piccolo elefantino venire al mondo, con l’iconica scena della cicogne che ci porta direttamente indietro nel tempo.
Buffo, goffo, un freak inizialmente odiato e successivamente amato per la sua capacità di far divertire con la sua più grande e straordinaria dote: volare.
Si, perché Dumbo è un elefante che vola e basterà poco tempo per far attirare l’attenzione dei più grandi intrattenitori/spremi soldi del mondo.
La sua tenerezza è magnetica. Ci basta uno sguardo nei suoi profondi occhi blue per farci del tutto innamorare di lui, ed è forse una delle creature più riuscite all’interno della “galleria di mostri buoni” di Tim Burton. Un personaggio che non parla eppure, proprio grazie al suo sguardo, comunica molto di più di quanto si possa immaginare. Ma, a differenza appunto del cartone animato del 1941, la componente animali in Dumbo è molto più risicata. Questo, però, non è da intendersi necessariamente come un male.
Se si fa un paragone con La Bella e La Bestia, che alla fine della giostra è risultata una mera copia carbone senza anima o cuore; il lavoro sulla trasposizione e re-interpretazione del classico attuata da Burton è senza ombra di dubbio lodevole. Così come lo vediamo spesso nella sua cinematografia, Burton opera attraverso una serie di parallelismi e simbologie, facendo riflettere lo stato d’animo di Dumbo all’interno delle persone che lo circondano.
Si parla di famiglia, di abbandono e lutto, si parla anche di paura e coraggio. Tutti elementi che ritroviamo nel piccolo elefantino che stringe la sua iconica piuma per darsi coraggio, e che vengono di rimando riflessi nei piccoli Farrier e nel padre Holt (Colin Farrell), nel bizzarro Max Medici (Danny DeVito) così come nell’elegante e bellissima trapezista Colette (Eva Green).
Come da perfetta tradizione Disney, Dumbo è la storia di una grande famiglia; la famiglia fatta non solo dai legami di sangue, ma in questo caso da un gruppo di circensi, ognuno alla ricerca del proprio posto nel mondo, proprio come il piccolo elefantino dalle grandi orecchie. Tematica, in fondo, non poco cara alla filmografia di Burton.
E allora qual è il vero problema di Dumbo?
Non c’è un problema in Dumbo. Dumbo è il perfetto classico Disney; se vogliamo, quasi più fiabesco e fanciullesco del film d’animazione del 1941. Uno dei migliori live action della Disney, sicuramente, e che riesce a reinterpretare il classico in una versione diversa e moderna, all’interno della quale è molto facile ritrovarsi; ma proprio come da tradizione Disney, il tutto è patinato da un forte strato di perbenismo e politicamente corretto. Edulcorato a tal punto da risultare smielato ed entrare in netto contrasto con la creatività di Burton. Ecco, il “problema” è proprio Tim Burton!
Creatività che percepiamo nel film, in alcune sequenze dove viene anche da sorridere pensando ai trascorsi del regista con la Disney o alla stessa storia del regista, (si, qualche sassolino dalla scarpa, Burton con Disney se l’è tolto in questo film) che possiamo riconoscere quasi nel personaggio di Danny DeVito, ma che non viene mai espressa fino in fondo.
Compresso e castrato. Se, fortunatamente, siamo anni luce di distanza rispetto a quell’accozzaglia di CGI, colori e scelte discutibili di Alice in Wonderland, al tempo stesso il lato più oscuro, quello più creapy e gotico del regista è quasi del tutto assente. Vediamo proprio lo stile di Tim Burton schiacciato dalle politiche, dai format tipici della Disney, senza riuscire mai a dare qualcosa in più. Riconoscibile senza ombra di dubbio rispetto ad un Big Eyes, pellicola che avrebbe potuto girare un qualsiasi stundello di regia (e Burton non è “qualsiasi stundetello di regia”), ma molto meno piccato, incisivo, controverso rispetto ad un Miss Peregrine che, seppur imperfetto, era la strada giusta da seguire per ritornare a casa.
Evidentemente per Tim Burton Dumbo sembrerà comunque un “ritorno a casa”, circondandosi da alcuni dei suoi attori feticci storici, come Danny DeVito o Michael Keaton, e con il grande ritorno di Eva Green, eppure anche nelle storie di questi personaggi, nella loro caratterizzazione, manca sempre qualcosa, come se fossero dei bozzetti mai sviluppati. Non arrivano fino in fondo, sanno intrattenere ma, a differenza di Dumbo, non riesco davvero a carezzare l’anima dello spettatore facendolo appassionare.
La sequenza degli elefanti, il lato oscuro di Dreamland, molte sono le occasioni dove Burton avrebbe potuto liberarli e mostrarsi all’ennesima potenza, ma non viene mai fatto quel passo. Si aspetta in punta in punta il momento dell’esplosione ma, alla fine di quella miccia, oltre a poche scintille c’è poco altro.
Resta quindi, a fine film, un po’ di delusione per chi, come la sottoscritta, nonostante tutto cerca ancora il genio tormentato; l’inquietudine di chi è riuscito a farla sognare e ad ispirarla tra mostri, freaks e scheletri; il citazionismo al grande cinema di Bava e Vincente Price; ma, forse, il segreto sta nel fare proprio come Tim Burton: mettersi l’anima in pace. I tempi sono cambiati, i bambini anche e il posto per alcune favole non c’è più.
Dumbo è la perfetta fiaba per l’infanzia di adesso.
Un film che nonostante le sue imperfezioni sa intrattenere, riesce ad emozionare e toccare il cuore grazie al suo elefantino. Una trasposizione che gode di vita propria, tecnicamente ben realizzata ed accompagnata dalle inconfondibili note del compositore Danny Elfman. Un giusto compromesso tra passato e presente che saprò soddisfare il pubblico più affezionato alla Disney e meno esigente.
E per i fan di Tim Burton? Eh, c’è ancora da aspettare una storia, un film, che ricordi al regista statunitense perché, all’inizio della carriera, aveva deciso di “bruciare la Dreamland” di Walt Disney.
Dumbo vi aspetta al cinema dal 28 Marzo
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