Era il 1999. Due amici. Otto giorni di riprese. Tre attori sconosciuti. Un paio di videocamere. Queste sono le premesse per The Blair Witch Project, pellicola che fin dalla sua prima proiezione ebbe un successo immediato, lanciando una vera e propria moda nel genere horror: il found footage. A distanza di diciassette anni, con l’arrivo del sequel Blair Witch diretto da Adam Wingard, il found footage ha avuto dei risvolti differenti. Tra alti e bassi, quali sono stati i film più iconici di questo genere?
Fenomeno mediatico e successo cinematografico, The Blair Witch Project con le sue poche ambizioni, si è fin da subito collocato sulla scala dei film horror di genere, segnando un vero e proprio passaggio verso una nuova concezione di horror.
Chi lo avrebbe mai detto ai giovanissimi Myrick e Sanchez che con il loro esperimento avrebbero lanciato una vera e propria moda che, fino ad oggi, conta decine e decine di titoli, facendo divenire il found footage una vera e propria moda.
Bisogna dire che come tutte le mode e novità, a lungo andare anche il found footage ha iniziato a stancare, diventando sempre fin troppo ripetitivo e intrappolato in sé stesso.
Del resto, quando si parla di horror contemporanei, è sempre difficile trovare delle vere e proprie punte di diamante. Ormai si è persa quella sana voglia di spaventare, sperimentare, esplorando mondi oscuri con la capacità di scavare nelle più recondite paure umane.
Il found footage, nelle sue origini, è stato quell’elemento di rottura. Innovativo. L’occhio della telecamera non più strumento per determinare il carattere oggettivo e/o soggettivo della narrazione, ma elemento principale della narrazione stessa.
La macchina da presa rappresenta l’occhio del regista e quindi ciò che il regista decide di farci vedere. Le immagini, a seconda dell’intento, possono assumere significati molteplici e differenti. Il found footage è un’ulteriore scelta adoperata dal regista sul mostrarci solo ciò che lui considera importante, facendoci entrare direttamente nell’immagini come se fossimo dei “guardoni”.
Non c’è un solo lavoro che non parte dalle radici stesse del voyeurismo e che possiamo ritrovare in pellicole cult come La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, dove non abbiamo solo l’oggettiva della macchina da presa, ma anche la soggettiva del protagonista – non a caso un fotografo – che attraverso il suo obiettivo è spettatore passivo di un delitto, o L’occhio che uccide (Peeping Tom) di Michael Powell, vero e proprio precursore del genere; nel found footage troviamo un lavoro di vero e proprio copia in colpa.
Il found footage è, letteralmente, un film creato da più sequenze di un metraggio già esistente. Spesso e volentieri lo si confonde, infatti, con il mockumentary il quale è, invece, un prodotto cinematografico o televisivo all’interno del quale eventi di fantasia vengono spacciati per reali attraverso l’uso del linguaggio classico documentaristico.
The Blair Witch Project è un found footage in quanto il film si apre annunciando al pubblico che la visione delle future immagini sono tratte dal ritrovamento di una cassetta in mezzo al bosco.
Questo escamotage, però, non vi ricorda qualcosa?
Daniel Myrick e Eduardo Sanchez hanno sicuramente il merito di aver lanciato il found footage nel genere horror facendolo diventare una vera mania, ma non sono stati di certo i primi ad applicarlo.
Il primo vero horror found footage è da attribuirsi a uno dei film più violenti e cruenti della storia del cinema, Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato.
Uscito nel 1980, ancora oggi questa pellicola vanta di una fama letale a tal punto che non una volta la pellicola è stata riprodotta sulla rete italiana, eccezion fatta per una versione estremamente censurata uscita negli anni ’90.
La pellicola si divide in due: da una parte il film, con il professor Monroe (Robert Kerman), il ritrovamento della cassetta in Amazzonia e la visione di questa con i dirigenti televisivi, dall’altra parte i filmati della cassetta girati dai quattro reporter: Shanda (Francesca Ciardi), Jack (Perry Pirkanen), Mark (Luca Barbareschi) e Alan (Gabriel Yorke).
Cannibal Holocaust fu solo il primo di una lunga serie, venutasi a creare soprattutto in questi anni. Gli elementi di maggior spicco, e che hanno reso questo film un vero cult per la categoria cannibal, risiedono soprattutto nelle immagini molto forte e cruente. Indubbiamente l’uso del documentario ha reso il tutto molto più credibile, al punto tale da accusare Deodato di aver girato uno snuff movie e aver compiuto parte di quelle atrocità, ma la tecnica è passata in secondo piano.
The Blair Witch Project non ha mai puntato su immagini di questi livello; anzi, la particolarità del film è il suo non mostrare nulla, giocando esclusivamente con il terrore del non poter vedere nulla dei protagonisti, trasmesso attraverso la videocamera degli stessi protagonisti al pubblico.
Ho paura di chiudere gli occhi… e ho paura di aprirli.
Un piccolo progetto nato “dal nulla” e fatto con “nulla” il quale, vantando anche di una campagna pubblicitaria sorprendente, è riuscito ad aver un enorme successo e risonanza. Il tutto non è certo merito delle trovate pubblicitaria, ma anche dell’abilità di sapere pilotare la suspense in modo del tutto nuovo e diverso. La chiave vincente di The Blair Witch Project risiede proprio nella sua essenza da finto documentario, trasportando lo spettatore assieme ai personaggi, rendendolo protagonista e al tempo stesso mero “guardone”.
Quest’essenza è rimbalzata negli anni di regista in regista. Il found footage e il mockumentary sono divenuti mezzi e generi di film a basso costo e con grandi potenzialità.
Sebbene adesso ci troviamo di fronte a pellicole non più sorprendenti, ormai usurate da queste tecniche divenute fin troppo abusate, i primi anni successivi a The Blair Witch Project sono stati un successo per molte pellicole.
Il 2007 è un anno molto promettente per il falso documentario. Ben due pellicole, un’americana e una spagnola, arrivano nei festival e, successivamente, nelle sale di tutto il mondo. Due film a basso budget e dall’enorme successo sia come pubblico che come box office, segnando l’inizio di due saghe longeve.
Si parla di Paranormal Activity di Oren Peli e REC di Jaume Balagueró e Paco Plaza.
Presentato fuori concorso nel 2007 alla 64ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, REC uscì nelle sale cinematografiche spagnole nel novembre 2007 e in quelle italiane nel febbraio 2008.
Il “segreto” delle pellicole found footage è la loro natura semplice. Storie molto basiche, all’interno delle quali deve dominare il colpo di scena nudo e crudo, senza complicazioni troppo deliranti nella trama.
In questo senso, eccezion fatta per un finale troppo romanzato, REC c’entra perfettamente il bersaglio, andando dietro la delirante notte a Barcellona di Angela, giornalista di una tv locale, che con il suo fidato cameraman Pablo segue le lunghe notti di veri eroi notturni, come per esempio i pompieri.
Ed è proprio in una di queste notti che Angela si ritrova in una palazzina a causa di una chiamata improvvisa. Parte degli abitanti sono nell’atrio del palazzo, allarmati dalle urla di una signora anziana qualche piano più su. Quando i pompieri, seguiti da Pablo e Angela, intervengono, lo scenario è molto più inquietante di quanto avrebbero mai immaginato.
REC non segue solo una folle notte di paura, delirio e morte, ma anche la vera ossessione del giornalista d’assalto, guidato dalla sola adrenalina di confezionare il miglior servizio, senza curarsi della sua stessa vita.
Non a caso, i registi omaggiano sul finale Ruggero Deodato facendo pronunciare alla protagonista, un attimo prima di essere uccisa, proprio come Alan in Cannibal Holocaust,
Continua a riprendere!
Alla prima pellicola seguono altri tre sequel, tutti girati da Jaume Balagueró e Paco Plaza, senza però arrivare allo stesso livello della prima pellicola. Sia per il pubblico che per la critica, REC è uno dei film più terrificanti, e realistici, degli anni duemila.
Sorte affine, dal successo molto più incisivo ma con delle immagini molto meno spaventose, Paranormal Activity.
Costato all’incirca 15.000 dollari, ad oggi Paranormal Activity vanta un guadagno di oltre 190 milioni di dollari. Non certo roba da poco per un regista che ha girato tutto a casa sua, con una telecamera semi professionale e con due attori non pagati.
Arrivato nei cinema solo nel 2009, dopo aver fatto innamorare un regista come Steven Spielberg, Paranormal Activity può definirsi l’unico vero rivale, a livello di campagna pubblicitaria, per The Blair Witch Project.
Oggettivamente il film non ha nulla di veramente terrificante, ma Oren Peli si è dimostrato un regista furbo e bravo. Il film è l’esempio massimo di found footage, giocando con una regia ancora più statica e minimale di The Blair Witch Project, e che richiama molto di più i filmati della video sorveglianza. Due unici reali protagonisti. Stralci di vita quotidiana. Lineare. Basico. Quasi monotono. Ma allora perché così amato?
Paranormal Activity gioca con il subconscio dello spettatore. Lo immerge in uno scenario estremamente realistico, quasi quotidiano e familiare. Nella pellicola si vede nulla di tutto ciò che potremmo vedere nella nostra casa, ma lo si mostra in quel momento in cui tutti, generalmente, siamo più vulnerabili: il sonno.
Cosa potrà mai succedere mentre dormiamo?
Questo è il vero terrificante enigma di Paranormal Activity, prodotto ben gestito da Jason Blum, diventando un vero e proprio franchising della cinematografia horror.
Paranormal Activity, però, così come The Blair Witch Project segna l’inizio della cinematografia found footage, ne delinea il declino.
Al found footage, da questo momento in poi, si inizia a legare sempre di più il paranormale. Eppure, in questi anni c’è ancora qualcosa che si può salvare. Infatti, prima che il successo di Paranormal Activity sia totalmente irreversibile, arriva al cinema Cloverfield.
Diretto da Matt Reeves e prodotto da J.J. Abrams, Cloverfield è la piena maturazione dell’horror found footage. Il monster movie di Reeves nel 2008 fu un successo per il pubblico, incassando oltre 170 milioni di dollari spendendone solo 25 milioni per la realizzazione. Il film, come tradizione di questa tecnica ci ha ormai insegnato, si apre con la scritta “Proprietà del Governo degli Stati Uniti”, volendo indicare che il materiale visionato si trova all’interno della memory card di una telecamera rinvenuta dopo i terribili attacchi di una notte distruttiva a New York.
Il materiale ritrovato riguarda l’ultima notte di sei ragazzi durante un terribile attacco di un mostro sconosciuto a New York. Il film si sviluppa proprio sfruttando quelle che sono le mode del momento come gli smartphone e i video virali, non a caso la campagna pubblicitaria di Cloverfield non si ferma al film.
Molti furono i siti web creati che, proprio come The Blair Witch Project, facevano riferimenti agli avvenimenti del film come eventi realmente accaduti. Gli stessi personaggi del film risultavano iscritti a MySpace con ultimo login nella data dell’attacco, cioè il 18 gennaio 2008.
Gli ultimi sei anni sono quelli più in discesa per questo genere. Il found footage diventa abusato, logorato dalle saghe e dai generi a loro affini, come nel caso di ESP – Fenomeni Paranormali dei The Vicious Brothers, che fa riferimento ai troppi show televisivi dove troupe si chiudono dentro a luoghi infestati per una notte intera per catturare presenze sovrannaturali.
Il film, a cui fa seguito un banalissimo sequel nel 2012, sebbene parta da una trovata non proprio banale e che mira a un certa critica nei confronti della televisione, più di una volta si mostra ridondante, privo di spessore e non così indimenticabile come i trailer hanno fatto credere.
Appartenente allo stesso filone fa capolino, solo lo scorso anno, The Gallows – L’esecuzione di Travis Cluff e Chris Lofing. La pellicola è stata girata, come i precedenti ESP – Fenomenti Paranormali, con appena 100.000 dollari. Un prezzo piuttosto irrisorio ripagato, nonostante il poco apprezzamento da parte di critica e pubblico, dal botteghino.
Alla vigilia della rappresentazione scolastica de L’esecuzione, Reese è deciso a sabotare lo spettacolo perché incapace di imparare la sua parte a memoria. Aiutato da Ryan e Cassidy, si introduce di notte nell’istituto per distruggere la scenografia.
Un’oscura maledizione aleggia, però, sulla scuola e su quella rappresentazione. Vent’anni prima, proprio durante lo svolgimento della recita, il protagonista rimase accidentalmente ucciso proprio a causa della scena dell’esecuzione, in cui si sarebbe dovuto mimare l’impiccagione.
Per quanto la trama possa sembrare intrigante e nonostante un finale piuttosto inaspettato, The Gallows rappresenta il perfetto declino di questo genere. Film privi di originalità, copie su copie dei loro stessi predecessori, prevedibili in ogni loro azione e sequenza.
L’elemento innovativo apportato dal found footage perde totalmente di valore, divenendo il classico trito e ritrito. Poche sono quelle pellicole che, in un modo o nell’altro, sono riuscite a sfruttare il mezzo in modo positivo. Esempio è Unfriended, pellicola del 2014 girata da Levan Gabriadze.
Il film è interamente costruito attraverso i video Skype dei protagonisti, creando uno strumento narrativo e nuovo. Inoltre la pellicola si basa su tematiche che fanno particolare riferimento agli scenari giovanili di adesso, come l’abuso dei social e il cyberbullismo.
La minaccia in questione è Laura Barns, una ragazza divenuta vittima di un video virale visto e condiviso da tutta la scuola. Distrutta dall’umiliazione Laura si uccide, ma il suo spirito è deciso più che mai alla vendetta.
Gabriadze riesce a trovare la giusta combinazione di elementi per creare una pellicola nuova, differente che con pochi mezzi – parliamo di solo un milione speso per la realizzazione – è riuscito a essere un buon prodotto per il botteghino e un film apprezzato dalla critica.
E anche per Unfriended la campagna mediatica non si ferma unicamente all’uscita del film, creando i profili dei protagonisti su Facebook e sfruttando la messaggeria istantanea KiK per mettere in contatto lo spettatore con la stessa Laura Barns.
Arriviamo all’ultimo film appartenente a questo genere che, paradossalmente, ci riconduce proprio all’inizio della nostra panoramica, Blair Witch.
Il sequel di Adam Wingard, presentato in segreto al San Diego Comic-Con di quest’anno, sarà al cinema dal 21 Settembre.
Cosa dovremmo mai aspettarci da questo film? Il found footage ha finalmente trovato una nuova vita o raschierà, ancora una volta, il fondo del barile?