Lo scorso 6 febbraio è uscito in Italia il remake di Robocop, riportato sugli schermi dal regista brasiliano José Padilha.
L’opera originale, realizzata nel 1987 da Paul Verhoeven, suscitò parecchi problemi a causa dell’elevata violenza di alcune scene.
Veerhoven volle infatti adottare una semplice scelta di stile: raffigurare il prossimo futuro come un regime dispotico, governato da gigantesche multinazionali capaci di corrompere qualsiasi cosa e in cui la criminalità è dilagata a un punto tale da portare la polizia a scioperare per la mancanza di strutture e di aiuti.
Un contesto così esasperato venne rappresentato esagerando qualsiasi aspetto, da quello della violenza a quello satirico.
Il regista, volle infatti inserire alcuni spunti di comicità ed ironia per sottolineare maggiormente il non-sense della moderna società.
Nonostante la limitatezza di mezzi del periodo la pellicola fu un vero successo riuscendo a portarsi a casa un Oscar per il miglior montaggio sonoro assieme ad altre due nomination e svariati premi paralleli come miglior film sci-fi e miglior trucco.
Per rilanciare il franchise del personaggio la MGM, acquisiti i diritti dalla Orion Pictures, ha ingaggiato il cineasta brasiliano Padilha che realizza così il suo primo lungometraggio in lingua americana.
Scelto più che altro grazie al successo dei due film Tropa de Elite, dedicati agli squadroni della morte brasiliani, il regista dà la propria versione di un futuro prossimo dell’America cercando di aggiornare il contesto di timori e di condizionamenti della popolazioni già visti nell’originale alla situazione odierna.
America anno 2028, la nazione si fregia della vittoria di numerosi conflitti mediante l’impiego dei droni ED-209 e EM-208 prodotti dalla multinazionale OmniCorp.
Purtroppo l’utilizzo di tale tecnologia è limitato al di fuori del territorio statunitense in quanto la Casa Bianca non vuole assumersi la responsablità di affidare a delle macchine il controllo della criminalità all’interno del Paese.
L’escamotage per aggirare la legge viene elaborato dal leader dell’OmniCorp, Raymond Sellars (Michael Keaton) che con lo scienziato Dennett Norton (Gary Oldman), progetta di creare un ibrido uomo-macchina efficace come un robot ma capace di operare scelte frutto di coscenza.
L’attentato nei confronti del poliziotto di Detroit Alex Murphy (Joel Kinnaman), offre alla Omnicorp il candidato perfetto per il progetto Robocop.
Mi piacerebbe davvero poter dire che i presagi sul fatto che questo remake fosse una porcheria erano sbagliati ma purtroppo non è così.
Il Robocop del 2014 non è minimamente paragonabile all’originale e il problema principale è l’assenza d’ironia generale nell’opera.
Padhila ripercorre più o meno tutti i passaggi già attraversati da Veerhoven: l’insidia dei mass media, la corruzione dei politici, la spietatezza degli industriali, ma non riesce a dare al contesto quel minimo di tocco caricaturale che sarebbe servito a dar maggior sostegno al personaggio.
Robocop si prende sul serio al punto da divenire ridicolo dalla prima inquadratura.
Sebbene siano inseriti alcuni spunti che fanno sorridere (made in China su tutti) la vera comicità del personaggio è data dalla ridicolaggine di certe scene unitamente alle faccette assurde che il protagonista Joel Kinnaman regala allo spettatore durante le procedure di settaggio della sua nuova veste.
A ben guardare qualche spunto interessante poteva anche esserci.
Rispetto all’originale la nuova pellicola mostra molto della convalescenza di Murphy che, differentemente dal passato, conserva da subito i propri ricordi e la propria coscenza.
Questo stratagemma offre lo spunto per affrontare il complicato rapporto con la famiglia, ma la drammaticità con cui si è scelto di mostrare questo aspetto non risulta credibile.
Sebbene sia del tutto plausibile che la trasformazione di un uomo in cyborg causi gorssi problemi nel ramo affettivo-familiare, vedere la moglie di Murphy buttarsi davanti alla sua motocicletta ipertecnologica per dirgli che deve andare a casa a parlare con suo figlio ha un che di grottesco.
Probabilmente non si poteva affrontare diversamente il tema e magari questa mia crititca non viene condivisa, in ogni caso questo è solo uno degli aspetti che non fa funzionare il film.
L’interprete del protagonista pur presentando una buona fisicità per il ruolo non dà prova di grandi capacità recitative.
Chi sta già pensando che per interpretare un mezzo robot non servono certo doti particolari (Calculon ne è un esempio) si sbaglia perchè Padilha ha calcato molto la mano sui sentimenti di Murphy ed è qui che si vedono le pecche più gravi.
L’altra parte dei ruoli è coperta da attori piuttosto navigati.
Samuel L. Jackson fa sfoggio di tutte le sue doti istrioniche nell’iterpretare l’ancorman Patrick “Pat” Novak, mero tramite tra lo spettatore e la pellicola volto a mostrare l’evolversi dell’opinione pubblica e politica sul’impiego delle macchine nella società.
Michael Keaton con le sue sopracciglia espressive (ed un capionario di rughe che l’alta definizione dello schermo non risparmia) caratterizza bene Raymond Sellars il presidente della Omnicorp e Gary Oldman sfoggia la faccia da buono già propinataci nella trilogia di Batman per rappresentare il dottor Dennett Norton.
Gli effetti speciali sono ben realizzati ed integrati col girato, ma in una produzione simile non ci si può certo aspettare di meno.
La scelta del nuovo look del personaggio è in linea col design odierno del concetto di robot militare ma qualsiasi commento è soggettivo e personale. Su questo fronte mi permetto solo di dire che la visiera a serramanico proprio non mi è piaciuta, ma ribadisco, sono scelte.
Il peggior difetto del Robocop di Padhila è sicuramente la grande pretestuosità con cui si è voluta rilanciare l’opera originale cercando di riprenderne i punti salienti inserendoli in una realtà più attuale.
Nel trasporre tutto ciò non si è tenuto conto del fatto che la chiave del successo del primo film non stava tanto nel pupazzone metallico quanto piuttosto nel contesto che ci girava attorno. E’ in questo che Verhoeven aveva davvero calcato la mano riuscendo a dare una buona chiave di lettura al film.
Senza questa accortezza la nuova pellicola è un action movie banale che si vede solo ed unicamente per curiosità, visto che oggigiorno di film di fantascienza se ne possiono trovare a centinaia, e in cui l’impronta realistica e credibile lascia il tempo che trova visto che ci viene presentato un uomo di latta che fa tutti i rumorini meccanici e pesta i piedi come Godzilla ma salta i muri di cinta manco fosse Sergei Bubka.
Personalmente credo che non ci fosse bisogno di un remake di Robocop tanto più di un reboot fatto in questo modo e non basta nemmeno il tentativo umoristico finale a risollevare le sorti di un film dove la scontatezza regna sovrana.
Prima di chiudere il post segnalo un progetto davvero interessante, si tratta di “Our Robocop Remake” progetto indipendente realizzato da 60 filmaker ciascuno dei quali ha girato una specifica sequenza del film. Il montaggio definitivo è poi stato curato dalla community di Channel 101.
Il risultato è incredibile: pupazzi , computer grafica artigianale, scenografie di cartapesta, danno vita ad un’inevitabile rilettura comica della pellicola.
Qui di seguito l’intero film e la sequenza del salvataggio dallo stupro (è “leggermente” NSFW quindi era il caso di coprirla).
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Fonti Splattercontainer / Vimeo