Sebring-1970-03-21

21 marzo 1970, centoventi piloti, sessanta macchine per dodici ore e l’ennesima rivincita. Quell’anno le premesse c’erano tutte.

Negli anni sessanta la Ferrari aveva dovuto affrontare lo squadrone Ford  e talora le aveva suonate, talora le aveva prese sonoramente.

Negli anni sessanta la Ferrari aveva dovuto affrontare lo squadrone Ford  e talora le aveva suonate, talora le aveva prese sonoramente grazie allo spropositato schieramento di mezzi messo in atto da quelli di Detroit. Ora, invece, c’era la Porsche. Accidenti se c’era!

Mentre ne subisce il dominio nel campionato 1969, Enzo Ferrari vende metà delle quote alla FIAT e usa i quattrini per un nuovo progetto, la 512, incaricata di aver ragione dello strapotere tedesco. Ne fa costruire 25, ma nel frattempo la Porsche non sta a guardare e mette a punto la 917, una delle auto da corsa più famose di sempre… forse anche perché Steve McQueen la scritturò per il film Le Mans nel 1971 e sì, quell’anno a Sebring c’era pure Steve!

 

Sebring 1970

Ma cosa significa correre in tondo per 12 ore? Semplicemente che

devi stare in strada, andare veloce, consumare poco, non rompere nulla, schivare le altre cinquantanove macchine ed eventualmente sorpassare chi ti sta davanti.

Tutto questo per 12 ore. Senza contare che l’abitacolo di una macchina da corsa è quanto di più simile all’anticamera dell’inferno ci sia al mondo, per il baccano, le temperature e la qualità dell’aria in circolo, molto più simile al crogiolo di una fornace che altro.

Eppure devi stare lì, tra i rivoli di sudore, il rumore assordante e l’odore di benzina a calcolare i millimetri che ti separano dal cordolo e dalle altre auto, con l’adrenalina che pompa a mille.

Prima gara del mondiale 1970, prima sberla alla Ferrari che a Daytona si deve accontentare del secondo posto dietro agli scarichi tedeschi, motivo per cui, alla vigilia del secondo appuntamento possiamo immaginarci un Enzo Ferrari ragionevolmente incazzato alterato perché i risultati non arrivano.

A Sebring la battaglia è esclusivamente tra le Ferrari 512 S numeri 19, 20, 21, affidate alle coppie Andretti-Merzario, Ickx-Scetty, Giunti-Vaccarella e le Porsche 917, in tutto quattro, sulle quali si
alternavano Siffert-Redman, Elford-Ahrens, Rodriguez-Kinnunen, Hermann-Lins.

La giornata per la squadra Ferrari comincia bene

La giornata per la squadra Ferrari comincia bene: l’allora direttore sportivo Ferrari, Franco Gozzi, riceve la prima telefonata dallo sceriffo della Contea di Okeechobee, che il giorno prima aveva arrestato Ignazio Giunti per eccesso di velocità. Pagata la cauzione e recuperato il pilota tutto è pronto, alle 11 si parte.

 

 

La gara

La prima ora di gara scorre secondo consumata strategia: due delle unità Ferrari avevano il ruolo di regolaristi, tenendo occupate altrettante unità Porsche, davanti invece Andretti correva dietro alle “lepri” Siffert e Rodriguez, a suon di record sul giro. Alla seconda ora  qualcosa non funziona a dovere in casa Porsche, Hermann rompe e Elford viene speronato da una Fiat 124 ed è ritiro.

Che cosa diavolo può succedere?

Passano la terza e la quarta ora, e le Ferrari continuano a guadagnare restando sempre al passo. Verso metà gara il vantaggio si conta in termini non di minuti o di secondi, ma di giri! Che può succedere? Le auto di Maranello hanno un’autonomia di 51 minuti (le Porsche un poco di più): ai box si rifornisce benzina, acqua e olio all’occorrenza, pastiglie freni e pilota, così passano altre due ore viaggiando di conserva.

Ottava ora a Vaccarella scoppia una gomma e tornando ai box rovina la sospensione; passa il numero 19 in testa con dieci giri di vantaggio ma non il numero 20. Dov’è finito il numero 20? Si trova a bordo pista, col motore in fumo.

Sebring 1970

In 21 minuti i meccanici rimandano in pista la numero 21 che rientra al terzo posto, ma alla decima ora e mezza la numero 19 rompe il cambio. Al box Ferrari ognuno commenta a suo modo, in slang americano, modenese, triestino, lombardo, romanesco e siciliano, ma bisogna affrontare la situazione: ora il primo posto è della Porsche 917 di Rodriguez ed al secondo, a sorpresa, la Porsche 908 di McQueen-Revson; la 512 superstite è sempre terza, distaccata di un giro.

È tempo di decisioni.

All’undicesima ora si fa l’ultimo rifornimento, scende Vaccarella ed al suo posto, invece di Giunti, sale Andretti, più veloce di tre secondi a giro, che rapidamente svernicia McQueen e mette sotto pressione Rodriguez il quale, nel tentativo di resistere alla forsennata rimonta dell’italoamericano va a sbattere.

Una Ferrari è nuovamente in testa, mancano 15 minuti alla fine della gara ed il vantaggio sulla 908 di McQueen è di 47 secondi. Sembra fatta ma c’è ancora un ultimo colpo di scena per il quale riporto direttamente le parole di Franco Gozzi:

Si avvicina Forghieri e mi fa: «Allora, chiama dentro Andretti». Eh sì, è inevitabile: ha rifornito alle 10.02,
abbiamo 51 minuti di autonomia, c’è dunque un buco di 7 minuti per arrivare alla bandiera a scacchi delle 11. Bisogna dargli benzina.

Quando viene esposto il cartello “Mario box fuel” scoppia il finimondo: giornalisti, tutti addosso (…).
A stento si fa largo il meccanico Deo Seligardi, serrando fra le mani il terminale del tubo del carburante. Ci vuole un uomo così, scolpito con l’accetta, per rifornire a pressione, dominando il flessibile che si contorce e scappa come un serpente.

(…)

Andretti con consumata esperienza arriva veloce, ha già le cinture slacciate e lo sportello aperto – per regolamento si doveva rifornire a motore spento e con pilota a terra – (…). Salta giù mentre Seligardi apre la pressione e libra il getto, schizzando benzina dappertutto. Una parte, mi sorprendo a pensare, deve per forza di cose entrare anche nel bocchettone del serbatoio.

Mentre Andretti rientra, si vedono in fondo le luci di McQueen. Un giro, un altro, bandiera.

Alla premiazione andarono i tre vincitori: Andretti, Giunti e Vaccarella, poi i meccanici Bellentani e Seligardi, l’ingegner Marelli e il tecnico Tramonti.