Dopo cinque lunghi anni di gestazione, l’ultimo capitolo della storica saga di The Legend of Zelda è finalmente arrivato. Scoprite come ci è sembrato con la nostra recensione.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild è finalmente realtà e sulle sue spalle grava non solo l’eredità di una delle saghe più importanti della storia dei videogiochi, ma anche il compito di accompagnare il lancio della nuova console Nintendo Switch.
Il titolo, come in molti ricorderanno, avrebbe dovuto essere inizialmente il nuovo capitolo per la sfortunata Wii U (per cui comunque è disponibile una versione del gioco) ma ci sono voluti oltre cinque anni di sviluppo e diversi rimandi prima di arrivare all’attuale versione per cui forse molti avevano ormai perso le speranze.
Se non siete già pratici della saga di The Legend of Zelda e vi state chiedendo se valga la pena orientarvi sull’acquisto della nuova console della casa di Kyoto unicamente per poter giocare questo titolo, prima di tutto vi consigliamo di farvi un’infarinatura generale di cosa si tratti con il nostro approfondimento dedicato alla saga che trovate di seguito.
Dopo le prime ore di gioco chiunque comprenderà che Breath of the Wild è un’opera unica e per certi aspetti davvero mastodontica. Una perfetta crasi di elementi classici della serie e di nuove meccaniche, tanto narrative quanto di gameplay, che rendono Hyrule viva come non mai, e la sua nuova storia ricolma di un fascino incantevole.
Il team capitanato da Eiji Aonuma ha creato un capolavoro destinato a diventare il nuovo punto di riferimento per il suo genere, un’avventura inebriante capace di tenervi svegli fino a notte fonda, solo per giocare ancora un po’. Un’avventura anche complessa, che non tiene il giocatore per mano come non succedeva dai tempi di A Link to the Past, ma anche molto intuitiva e adatta ad ogni pubblico.
Se volete scoprire perché, non vi resta che proseguire nella lettura della nostra recensione!
Una nuova leggenda, tutta da scoprire
Breath of the Wild inizia in modo abbastanza atipico rispetto a ciò a cui siamo abituati, con una sequenza introduttiva di pochi secondi che ci mette nei panni di un Link dai capelli d’oro appena risvegliatosi da un sonno durato ben 100 anni. A guidarci, fuori da quello che è uno dei sacrari disseminati per tutte le terre dell’antico Regno di Hyrule, la voce di Zelda che ci intima di muoverci, poiché siamo l’ultima speranza per riportare la luce su quelle terre.
Luce che ha abbandonato a una rovinosa sorte l’antico regno, ormai vittima della morsa di quel malvagio nucleo di odio e corruzione noto come Calamità Ganon, che avvolge in una nube oscura il Castello. Così ci viene presentata l’incarnazione del male in questo capitolo, la ciclica figura, solitamente chiamata Ganon, che riverbera nelle ere la maledizione del demone Mortipher.
Cent’anni prima del nostro risveglio, Ganon ha sottomesso il Regno servendosi dei quattro colossi meccanici rivenuti dagli abitanti di Hyrule dalle profondità della terra. Queste macchine sono l’eredità di una popolazione vissuta diecimila anni prima su quelle terre, e una profezia aveva illuso gli attuali abitanti del regno che con queste avrebbero potuto arginare il diffondersi del male. Ganon prese però il controllo delle macchine, rovesciando le sorti del conflitto e riducendo l’eroe, Link, in fin di vita. Per questo motivo la Principessa Zelda e i quattro guardiani portarono l’eroe a riposo in modo tale che potesse, in futuro, riportare la pace nel Regno.
Dopo il lungo sonno di cento anni però, Link non conserva alcuna memoria del suo passato e dovremo così farci carico del destino delle verdi terre ove camminiamo, man mano che i ricordi riaffiorano nella nostra mente, anche grazie all’aiuto di vecchie conoscenze. La trama di questo capitolo è narrata in modo sì più esplicito, con tanto di sequenze doppiate persino in italiano, ma anche in modo estremamente introverso e personale. Starà ad ogni giocatore decidere quanto approfondire del passato di questa meravigliosa Hyrule prima di avventurarsi verso scontro finale.
Quella di Breath of the Wild è una storia che può fungere da nuovo archetipo per la saga così come da raccoglitore di tantissimi elementi provenienti da diversi giochi del passato a prescindere dalla loro collocazione nella timeline. Il team è riuscito a confezionare un racconto che resta fedele ai canoni quasi fiabeschi e narrativamente elementari che tutti ci aspettavamo, ma ad innovare sensibilmente offrendo una totale libertà di vivere la storia, non tanto di questo Link e di questa Zelda, quanto di questa Hyrule e delle sue genti.
Un percorso disseminato di sfide
Dal punto di vista del gameplay con The Legend of Zelda: Breath of the Wild si è raggiunto il livello più alto mai toccato dalla serie, nonché un paradigma per l’intero genere degli action adventure a struttura open-world. Una delle sfide più grandi di questo capitolo era la sua ambizione open-world, appunto, che per limitazioni tecniche Aonuma e il suo team non hanno potuto implementare in modo così perfetto in Skyward Sword su Wii.
La progressione nel gioco non è più scandita a scaglioni, viene invece lasciata al giocatore la libertà di muoversi per la mappa in lungo e in largo e raggiungere una missione o l’altra con i tempi e le modalità che preferisce. Una scelta audace che non stravolge però quella che è la struttura fondante dei giochi di Zelda, semplicemente la eleva.
La sensazione è che il team questa volta abbia voluto dare più fiducia alle capacità di ogni giocatore di destreggiarsi nel mondo di gioco, quasi all’opposto della progressione guidata che avevamo visto in Skyward Sword. L’unico vero companion di Link è la Tavoletta Sheikha (che a seconda dei punti di vista ricorda sia Switch che il GamePad Wii U) che oltre a permetterci di interagire con i sacrari e non solo, ci servirà per consultare la mappa, il compendio e anche gli strumenti, che otterremo fin dalle prime ore di gioco.
Tra questi, oltre a bombe radiocomandate e allo scattaimmagini, ci sono anche abilità che risulteranno cruciali per risolvere gli enigmi e muoversi agilmente nel mondo di gioco. Queste sono il Kalamitron, che permette di agganciare, sollevare e spostare liberamente gli oggetti metallici grazie a un raggio magnetico; Stasys che permette di colpire gli oggetti fermi nel tempo e accumularvi energia cinetica che si libera non appena il tempo torna a scorrere e può essere sfruttata per spostare anche oggetti enormi; Glacyor infine crea dei pilastri di ghiaccio sulle superfici acquatiche. Questi pilastri sono molto resistenti e non si sciolgono e possono essere usati sia come pedane che come barriere. Combinando assieme queste abilità e con una buona dose d’ingegno sarà possibile superare tutti gli originali enigmi proposti nei dungeon, basati sulla fisica grazie alle possibilità offerte dal nuovo motore fisico implementato nel gioco.
La mappa è davvero enorme ed esplorarla a piedi non risulta mai frustrante grazie alla varietà di un comparto artistico sublime che spesso ci farà soffermare anche solo ad osservare come il vento muove i ramoscelli. Link è un tutt’uno con l’ambiente di gioco e potrà camminare, saltare, nuotare e arrampicarsi letteralmente ovunque, finché la ruota della Stamina non si esaurisce. Ci si può però spostare anche a cavallo, dopo averne avvicinato e addomesticato uno, e via teletrasporto tra le Torri, accessibili però solo una volta che le si sia già scoperte rivelando di conseguenza nuove porzioni di mappa.
Dall’inventario potrete accedere alla Borsa degli oggetti, suddivisa in categorie (armi, cibo, armature, oggetti chiave ecc…) e al Diario di viaggio in cui sono indicate missioni e sfide, sia principali che secondarie, che Link incontra nel corso della sua avventura. Alcune grandi novità riguardano proprio l’inventario e la gestione degli oggetti, infatti Breath of the Wild è il primo capitolo della saga a presentare dinamiche più complesse di looting e crafting. Più nello specifico non troveremo Rupie tagliando l’erba, ma le guadagneremo vendendo oggetti (i minerali ad esempio hanno un ottimo valore di scambio), troveremo invece mele sugli alberi, pesci nell’acqua, e altri materiali che renderanno il massimo in termini di bonus e ripristino della salute solo quando cucinati o combinati tra loro.
Anche la gestione di armi e armature non è più statica come un tempo, le armi hanno una loro durabilità e dovremo alternarle spesso e trovarne di nuove, sia da mischia che per la distanza, e mai prima d’ora arco e frecce sono stati così importanti nel combat system e i vari archi implicano diversi approcci agli scontri. Il livello di difficoltà è generalmente più alto degli altri giochi della serie, e anche combattere contro i nemici più semplici potrebbe rivelarsi ostico in assenza di un equipaggiamento adeguato, visto poi che l’IA dei nemici li porta a darsi man forte quando sono in gruppo.
Il combattimento è però molto semplice ed intuitivo, ma al tempo stesso elaborato e non banale. Ci si mette poco ad apprendere le dinamiche di uno scontro e una volta che le si è acquisite diventa estremamente appagante cimentarsi anche contro i nemici più grossi.
Suoni e colori di un mondo vivo
Come si è già detto, vero protagonista di questo titolo è il Regno di Hyrule, mai così vasto e mai così meravigliosamente ispirato. Il comparto artistico di The Legend of Zelda: Breath of the Wild è fenomenale, tanto nel visivo quanto nel sonoro. Grazie proprio ai suoni e alla colonna sonora vi sembrerà di camminare in mezzo a quelle rovine, di sentire l’odore delle mele che cogliete sugli alberi e la freschezza della rugiada sulle foglie.
Panorami mozzafiato e giochi cromatici delineano un tratto artistico più maturo e serio di altri capitoli della saga, che riprende qualcosa però anche dalle palette cromatiche e dalle forme armoniose di The Wind Waker, proponendoci però anche nemici temibili quali i più caratteristici di capitoli più cupi quali Twilight Princess o lo stesso Ocarina of Time.
Con Breath of the Wild il team è riuscito nell’impresa di creare una sintesi perfetta persino dei diversi stili grafici presenti nei vari capitoli della serie, offrendoci un titolo meraviglioso da vedere, da ascoltare e da vivere.
La versione da noi testata per la recensione è quella per Nintendo Switch, e volendo proprio trovare un difetto è doveroso evidenziare che sebbene in modalità portable il gioco non presenti mai la minima sbavatura, con un framerate stabile alla risoluzione di 720p, in diverse occasioni abbiamo riscontrato cali di frame quando collegato alla tv tramite dock, andando dunque ad una risoluzione effettiva di 900p.
Ad ogni modo la versione da noi testata è la 1.0 e sicuramente questi problemi saranno risolti con la patch del day one e/o successive, e tutto sommato non sono così pesanti da inficiare più di tanto il giudizio complessivo su questo titolo.
The Legend of Zelda: Breath of the Wild è il capolavoro che speravamo fosse.
Senza alcuna riserva possiamo affermare che Breath of the Wild è un gioco mastodontico che tutti d’ora in avanti dovrebbero prendere come punto di riferimento in ambito di action adventure open world. Così come già accadde nel 1986 con il primo capitolo della saga di Shigeru Miyamoto, questa Leggenda torna ancora una volta a far scuola.
Con un comparto narrativo originale ed emozionante, un gameplay solido, innovativo e fresco, declinato in una Hyrule che risulta uno spettacolo per gli occhi e le orecchie, non possiamo che consigliarvi pienamente questo titolo e auspicare che le produzioni future per la nuova console della casa di Kyoto mantengano questo altissimo standard.