J.R.R. Tolkien: a cinquant’anni dalla morte perché è così attuale?

L’autore de Il Signore degli Anelli, morto il 2 settembre 1973, è stato fedele a un ideale estetico, linguistico e storico che l’ha reso tra gli autori più importanti del novecento. Ma perché è ancora così attuale?

Sono passati cinquant’anni da quel 2 settembre 1973. Cinquant’anni dall’ultimo saluto del Professor Tolkien. Cinquant’anni dalla fine della vita fisica per l’autore de Il Signore deli Anelli, ma l’inizio di una nuova vita editoriale per il professore di Oxford. Il padre del fantasy secondo tantissimi (ma l’heroic fantasy esisteva anche da prima di lui) ha letteralmente ridefinito il concetto di fantastico creando non solo una delle saghe più amate (e lette) nell’ultimo secolo, ma un autore in grado di realizzare un vero e proprio mondo ed epopea: Tolkien è questo e tanto altro ancora, un autore infinito che non si finirà mai di studiare.

Il professore inglese trae dall’epica e dalle tradizioni europee elementi, motivi, personaggi su cui innesta intuizioni personalissime insieme ad una grandiosa capacità di rivisitazione di storie e significati. L’opera di Tolkien è così attuale e mai fuori luogo perché anzitutto si tratta di un autentico manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della Modernità, realtà che più volte è stata travisata da varie fazioni politiche, ma che mai è stata realmente capita fino in fondo.

Un giovante Tolkien (a sinistra) e nel periodo bellico

La guerra rappresenta un punto cruciale nella creazione della Terra di Mezzo e tutto il mondo che ne concerne. Arruolato per La Prima Guerra Mondiale, nel 1916 partecipa alla battaglia della Somme, esperienza che ha avuto una grande influenza sulla sua vita e sulla sua personalità (gli orchi, Mordor, un oscuro signore a capo di tutto). Nonostante la perdita dei suoi più cari amici, Rob Gilson e Geoffrey Smith, come testimoniano alcune sue lettere, non smette mai di mettere mano alle sue lingue inventate nonostante la vita in trincea.

Ammalatosi di febbre da trincea, viene congedato nel 1917 e torna in Inghilterra, dove trascorrerà il resto della guerra, al comando di un avamposto.

Tornato in Gran Bretagna, dopo la Guerra, finalmente inizia la sua vita dietro una scrivania di docente ad Oxford, dove per più di vent’anni insegnerà anglosassone, specializzandosi anche nell’inglese medievale dell’Inghilterra centro-occidentale, traducendo molti testi antichi, che ancora oggi sono un punto di riferimento (Beowulf su tutti). All’interno dell’accademia ebbe una carriera professionale molto importante, ma che sicuramente sarebbe stata sconosciuta a tutti se un giorno, sul retro di un compito che stava correggendo, non avesse scritto distrattamente questa frase votata come tra le citazioni più importanti del ventesimo secolo:

In un buco della terra viveva uno Hobbit.

Nel 1937 esce Lo Hobbit, libro che riscosse grandissimo successo tanto che Tolkien, su richiesta dell’editore, iniziò a mettere mano a tutto il materiale, scritto o solo abbozzato, che aveva prodotto fino ad allora. Pur essendo Lo Hobbit la sua opera prima di narrativa, rappresentò una tappa fondamentale nella sua carriera di scrittore.

Nel decennio successivo, il mondo immaginario per il quale è conosciuto, quello della Terra di Mezzo prende definitivamente forma con Il Signore degli Anelli, unanimemente riconosciuta come la sua opera più importante. Scritta in una lingua molto ricercata soprattutto all’epoca, che cerca di ricostruire la semplicità e la severità dell’inglese medievale, l’opera va intesa come un unico libro anche se la sua pubblicazione ha avuto, per ragioni economiche ed editoriali, tre uscite separate, per questo esistono La Compagnia dell’Anello (uscita nel 1954), Le due torri (1955) e Il ritorno del re (sempre 1955). Proprio Il Signore degli Anelli fu preso come esempio classico di libro di movimento di destra.

Ovviamente niente di più falso in quanto lo stesso autore dichiarò più volte anche pubblicamente il proprio dissenso con il pensiero di Hitler e del partito nazista, non nascondendolo in alcun modo. Tra le varie curiosità c’è addirittura l’aneddoto con il quale lo stesso autore cercò di bloccare una delle traduzioni tedesche de Lo Hobbit dopo che l’editore tedesco, gli chiese di certificare il fatto che lui fosse un “ariano”.

Ci furono diverse risposte da parte di Tolkien, alcune molto dure nelle quali si definì dispiaciuto di non avere antenati ebrei, scrivendo poi anche una lettera in cui manifestò apertamente il suo dissenso nei confronti del dittatore. Nella parte finale della sua vita Tolkien si dedica alla stesura del suo principale progetto letterario, cominciato addirittura nel 1917, ma che purtroppo non riuscirà a concludere: la History of Middle Earth. Tuttavia il figlio Christopher pubblica Il Silmarillion nel 1977, nominato dallo stesso professore curatore delle sue opere. Di lì in avanti Christopher pubblicherà ancora moltissimi testi del padre, come la più grande History of Middle EarthLa Caduta di Gondolin, I Figli di Hurin e tanti altri. La sua amata moglie Edith muore ottantaduenne nel novembre del 1971 e lo scrittore la segue poco dopo, il 2 settembre 1973, all’età di 81 anni, mentre si trovava in visita ad alcuni amici a Bournemouth.

Perché è così attuale?

Ogni decade e ogni anniversario l’affermazione che riecheggia sempre tra gli addetti ai lavori e non, è sempre la seguente: Tolkien è una moda. Tuttavia dopo cinquant’anni dalla sua morte, migliaia di pagine pubblicate con centinaia di inediti, rivisitazioni ludiche, giochi di ruolo come Dungeons & Dragons nati sulla sua letteratura, videogiochi e film di animazione, due trilogie cinematografiche (di cui una vincitrice di 17 oscar) e una nuova serie tv da poco iniziata, la parola moda vicino a Tolkien dovrebbe essere quanto meno rivisitata in: classico della letteratura. Sì, insomma Tolkien è un classico, e come tutti i classici non subirà gli up & down delle mode, ma semplicemente si troverà sempre nel posto giusto al momento giusto in ogni era ed età, con o senza guerra, con o senza pace.

Tolkien è un classico

Già in diversi stati (ovviamente la Gran Bretagna) i testi tolkieniani vengono studiati e non solo letti, sono introdotti nei vari programmi scolastici proprio perché Tolkien con la sua opera può rappresentare un classico e da classico può narrare tranquillamente una fetta di storia della letteratura e non solo “la Terra di Mezzo”. In Italia attraverso l’opera di divulgazione di realtà come l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani (e non solo) si sta cercando di sdoganare questo autore dalla classica etichetta “scrittore fantasy di roba per bambini”.

Proprio il romanzo più famoso Il Signore degli Anelli è un equilibrato misto alchemico di metafore e di parabole che nascondono a metà i propri temi, come tutte le grandi opere dall’Odissea fino a Dante, cercando di trasmettere all’umanità un messaggio forte quanto profondo e soprattutto senza tempo per quel che riguarda la sua esistenza e il suo vivere: la speranza, la sofferenza, l’amore, la saggezza, la benevolenza, l’amicizia, la malvagità, il senso del Divino, l’Aldilà.

Elijah Wood

Il Bene e il Male, la pochezza, la meschinità, a volte la stupidità dell’uomo nel perseguire o nel combattere l’uno o l’altro o di contrappasso l’eroismo, l’idealismo e il sacrificio sono le basi dei grandi classici e senza dubbio sono il filo conduttore dell’opera tolkieniana; ecco perché i suoi testi non sono mode, ma attuali come i più grandi da Shakespeare, a Dante passando per Omero.

La riacquisizione di quest’opera come omnia è la più grande sfida dei suoi eredi, dei suoi lettori e di coloro che si definiscono “tolkieniani”, perché a mezzo secolo dalla sua morte ci sono lettori che recitano i suoi passi a memoria come se fosse un testo di Virgilio, segno tangibile che Il Signore degli Anelli è conosciuto, apprezzato e letto nel mondo come non mai diventando il prototipo di una lunga serie di opere fantasy (e non solo) che da esso hanno preso spunto e ad esso si ispirano. Forse John Ronald Reuel Tolkien quel 2 settembre 1973, poco prima di chiudere gli occhi e andare verso Valinor, sarà stato piacevolmente appagato per aver compiuto, con il suo scrivere e inventare mondi, al difficile compito di fare credere che ci fosse del buono in una realtà sempre più immersa nell’oscurità.

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