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Quanto Medioevo c’è in Game of Thrones?

A pochi giorni dalla settima stagione di Game of Thrones, una domanda riprende a serpeggiare tra addetti ai lavori, storici e semplici appassionati: i fatti narrati nella serie hanno un qualche corrispettivo storico nel nostro ‘vero’ Medioevo?

Manca poco alla messa in onda della settima stagione di Game of Thrones (d’ora in avanti GoT) e l’attesa si fa sempre più febbrile. I social, i media tradizionali, le stesse chiacchiere tra amici sono infatti invase da discussioni relative a cosa accadrà nel complesso scenario di Westeros o da scommesse riguardanti quale personaggio cadrà per primo sotto la scure di George R.R. Martin e degli showrunners David Benioff e Daniel Weiss.

Game of Thrones e gli storici

Tra l’infinità di recensioni che pioveranno sulle vostre teste a partire del 16 luglio, tra l’ondata di opinioni, pareri e critiche che vi travolgeranno, vi capiterà probabilmente di imbattervi anche in articoli scritti da più o meno autorevoli storici che, nella maggior parte dei casi, cercheranno di puntarvi contro un ditino inquisitorio ricordandovi come Game of Thrones non sia ‘vero’ Medioevo e quanto queste operazioni commerciali nuocciano a una sana divulgazione.

La serie deve essere letta attraverso la nozione di “medievalismo”, cioè la rappresentazione e la percezione post-medievale dell’idea di Medioevo.

Tra questi non troverete il sottoscritto. Da medievista più o meno in erba quale sono, mi ritengo infatti profondamente affascinato dalla miriade di modalità in cui l’Età di Mezzo viene oggi rappresentata, raffigurata o addirittura sfruttata politicamente.

Questo insieme di utilizzi del passato rientra sotto ciò che, tra gli addetti ai lavori, viene definito “medievalismo” e che rappresenta un pioneristico orizzonte di ricerca per chiunque voglia indagare come il Medioevo venga oggi percepito.

 

 

Ma torniamo a Game of Thrones e al suo rapporto con il Medioevo-quello-vero, cioè a come un prodotto televisivo, e gli autori che lo hanno concepito, recepisca una certa idea di Medioevo veicolandola poi al grande pubblico.

 

 

 

Medioevo e idee di Medioevo

La nostra idea di Medioevo è debitrice della eredita vittoriana e preraffaelita

C’è da dire innanzi tutto che, quando si inizia ad analizzare prodotti analoghi, si deve sempre partire dall’idea di Medioevo per eccellenza, da ciò che maggiormente ha contribuito a riassumere e a sedimentare nel nostro immaginario una determinata visione del periodo in questione. Mi riferisco al Medioevo cavalleresco e colorato erede degli stilemi figurativi vittoriani e preraffaeliti, il Medioevo delle dame da salvare, un’età da molti di noi sognata durante l’infanzia grazie soprattutto all’industria cinematografica.

Sebbene infatti molti studiosi e appassionati dell’Età di Mezzo si considerino costantemente alla ricerca di prodotti di intrattenimento quanto più “fedeli” al passato, sarebbe disonesto non ammettere che molti di noi si siano avvicinati allo studio o all’amore per il Medioevo grazie proprio al Medioevo fantastico, a quel “Medioevo secondo Walt Disney”, come lo ha definito Matteo Sanfilippo, troppo spesso denigrato dagli accademici.

Il Medioevo che attira ormai maggiormente il pubblico è quello crudo e ‘realista’.

Questo Medioevo però non esiste più, o almeno non è il modello che la grande industria dell’intrattenimento tende oggi a prediligere nel momento in cui si desideri offrire al pubblico un prodotto di ambientazione medievaleggiante.

Ciò che è subentrato prepotentemente nel nostro modo di rappresentare i secoli di mezzo è infatti ormai un Medioevo che alcuni hanno definito “gritty”, “crudo”, “realistico”.

 

 

GoT si colloca perfettamente in questo filone, ma la scelta di raffigurare una simil-Età di Mezzo come un’epoca segnata da ingiustizie e violenza non è soltanto stata dettata de motivazioni di carattere commerciale.

Il Medioevo “gritty” di Martin e soci è infatti anche il frutto di una scelta che si legittima mediante un determinato modo di guardare alla storia e, in particolare, alla storia medievale.

 

 

L’ossessione per il realismo storico

G.R.R. Martin ha dichiarato più volte di aver voluto rappresentare un mondo il più possibilmente fedele al ‘vero’ Medioevo europeo

Ma facciamo parlare il nostro serial killer di personaggi preferito: in un’intervista rilasciata a «Rolling Stone», G.R.R. Martin, alla domanda se GoT fosse ispirata alla Guerra delle Due Rose e ai romanzi che l’hanno narrata, rispondeva positivamente, ma aggiungeva che «the problem with historical fiction is that you know what it’s going to happen».

Sempre lui ha paragonato la Barriera al vallo di Adriano, o ha rilasciato ulteriori dichiarazioni come «I like to use history to flavour my fantasy»1. Martin mostra così la convinzione di aver creato una sorta di romanzo storico, con l’innesto di pochi elementi fantasy, ambientata in un mondo parallelo ispirato a luoghi ed eventi “medievali”.

La sua opera, e in particolare la trasposizione televisiva, tradiscono però anche l’influenza di diverse rielaborazioni dell’idea di Medioevo, che egli mostra di aver assimilato o consapevolmente rifiutato.

Quando Martin parla di Medioevo, quindi, a quale Medioevo fa riferimento? Sicuramente, l’idealizzazione romantica, e soprattutto i suoi epigoni novecenteschi, è stata fondamentale nella formazione dell’autore, nato nel 1948, cresciuto negli anni in cui si veniva pubblicato Il Signore degli Anelli (1955) e in cui la Disney disciplinava il suo Medioevo mediante prodotti come La Spada nella Roccia (1963).

Entrambi questi modelli sono fondamentali nella comprensione della idea di Medioevo di Martin, poiché sono le basi da cui deciderà di distaccarsi nettamente. In particolare, la sua critica si concentrerà sugli emuli di Tolkien, che avrebbero avuto la colpa di averne radicalizzato l’impostazione, rinchiudendosi in schemi come, ad esempio, la netta divisione tra bene e male o tra eroi e antagonisti.

Per descrivere questo fenomeno Martin parla di «Disneyland Middle Ages»2, riferendosi così alla creazione di un Medioevo falso, diremmo oggi ‘buonista’, modellato per quella porzione di popolazione statunitense in cerca di punti di riferimento morali.

 

 

Il Medioevo martiniano consiste soprattutto in rifiuto del Medioevo disneyano e post-tolkieniano.

Ciò che anima la produzione martiniana sembra quindi una sorta di ossessione per un certo ‘realismo’ storico che ha condotto però non alla (ovviamente impossibile) rappresentazione del ‘vero’ medioevo, ma di un Medioevo già mediato, già filtrato attraverso precedenti rappresentazioni letterarie o cinematografiche.

Questo brutale distaccarsi di Martin dal «Disneyland Middle Ages» – un’espressione oltretutto utilizzata in modo simile da Tyson Pugh e Susan Aronstein nel loro Disney Middle Ages – ha suscitato, come risaputo, lo scandalo di spettatori preoccupati per la ‘crudezza’ di alcune scene o, talvolta, le ire dei movimenti femministi, secondo i quali alcune scelte di Martin, come ad esempio i ruoli affidati ai personaggi femminili o la presenza di numerose scene di violenza sessuale, sarebbero dettate da posizioni maschiliste.

A tali accuse egli ha sempre risposto di non aver fatto altro che raffigurare il ‘vero’ Medioevo, di essere anzi un femminista e di aver descritto non le espressioni di una sessualità contemporanea, ma di una di tipo ‘medievale. Sembra, a una prima occhiata, che la sua ossessione per il realismo non abbia fatto altro che portare alla raffigurazione di un Medioevo ‘oscuro’, piuttosto stereotipato. Il realismo in Martin, secondo Elyzabeth Wawrzyniak, si delinea quindi spesso come una «coperta ideologica» che giustifica le sue scelte stilistiche e contenutistiche3.

Emblema del travagliato passaggio da un immaginario medievale che definiremo banalmente disneyano a uno ‘gritty’ è Sansa Stark, colei che incarna lo spettatore medio, l’usufruitore di fantasy ‘tradizionale’, cresciuta ascoltando le gesta dei cavalieri e poi scontratasi con la realtà della corrotta capitale del regno, Approdo del Re. È infatti proprio lei la vittima di quella violenta rieducazione dei personaggi condotta da Martin che si traduce nel passaggio da una tipologia di Medioevo all’altra, dall’età infantile a quella adulta.

Un Medioevo declinato al presente, un presente declinato al Medioevo

Nonostante il continuo richiamo al realismo, il Medioevo di GoT rimane inoltre una summa di tutti i medioevi immaginati o sognati dall’Occidente. Sfruttando le categorie offerte da Cardini nel 1986 sulla rivista “Quaderni Medievali”4, in GoT possiamo infatti trovare il Medioevo barbarico, colto, feudale, cittadino, nordico, mediterraneo, mistico, scettico, irreligioso, mercantile e guerriero. Realtà cronologicamente e spazialmente lontane tra loro, ma qui unite in un unico universo.

Nella saga sono presenti molti necessari anacronismi.

In GoT si cerca però anche di invitare lo spettatore al paragone con la società contemporanea; Martin inserisce spesso così nella narrazione anche quel «necessario anacronismo» di cui parlava Lucaks a proposito del romanzo storico5.

 

 

Il medievalismo di Martin si connota quindi anche come «a comment on the artist’s contemporary sociocultural milieu», così come sostenuto da Pugh e Weisl6. Martin, narrando le vicende che si svolgono nel continente di Westeros, interagisce infatti spesso col suo pubblico e con i temi cari a quest’ultimo.

Egli non si limita a sovvertire i canoni, a ‘giocare’ con la nostra idea di Medioevo, ma intende anche intrattenere un contatto stabile con il presente. Tale aspetto meriterebbe di essere ulteriormente indagato sia per capire le intenzioni dell’autore, e il ruolo che il Medioevo ha nello svolgere questo ruolo, sia per studiare la ricezione e l’impatto della serie tra il pubblico.

Una serie che, piaccia o no alla comunità accademica, viene spesso percepita come ispirata al ‘vero’ Medioevo,  così come testimonia l’intervista rilasciata da Snoop Dog nel maggio del 2015, in cui il rapper dichiarava di essere un fan della serie principalmente «for historic reasons».

 

 

«L’immaginario è storia tanto quanto la storia»

Analizzare GoT, e molti prodotti analoghi, come ricettori e al tempo stesso veicolatori di numerose idee di Medioevo, anche a volte diverse tra loro, può quindi aiutare lo studioso a comprendere come e perché la storia eserciti ancora un forte appeal sull’audience popolare. Oltretutto, essendo la serie in questione (così come un film o un romanzo) anche un prodotto sociale storicamente condizionato, il suo studio può aiutare a comprendere come essa proietti le nostre ansie e paure in un lontano e immaginario Medioevo, dipinto, nel caso di GoT, con pretese di realismo storico.

Martin, cristallizzando una versione del Medioevo che reputa verosimile, ci ha restituito uno spaccato di come l’uomo contemporaneo oggi veda e immagini l’età di mezzo. La sua è quindi quasi un’opera storiografica, che conferma in un certo senso ciò che Marc Ferro sosteneva negli anni Settanta, quando affermava che l’immaginario debba essere considerato “storia tanto quanto la storia”.

 

 

 

 

Note

  1.  Cit. in J. Walker, “Just songs in the end”. Historical Discourses in Shakespear and Martin, in Mastering the Game of Thrones. Essays on George R.R. Martin’s ‘A song of Ice and Fire’, ed. by J. Battis – S. Johnston, Jefferson, McFarland, 2015, p. 71
  2. J. Hodgman, Interview on ‘The Sound of Young America’
  3. E. Wawrzyniak, George R.R. Martin and the Myths of History: Postmodernism and Medievalism in ‘A Song of Ice and Fire’, intervento tenuto l’8 febbraio 2014 presso la Ohio State University in occasione della giornata di studi Popular Culture and the Deep Past
  4. F. Cardini, Medievisti di professione, «Quaderni Medievali», XXI (1986), pp. 39-40.
  5. G. Lucaks, Il romanzo storico, Torino, Einaudi, 1965.
  6. Medievalisms: making the past in the present, ed. by T. Pugh – A.J. Weisl, London, Routledge, 2013, p. 1.
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