Peaky Blinders 6, la recensione: nella nebbia tra due mondi

Peaky Blinders

Tommy Shelby mi ha sempre fatto venire in mente un personaggio letterario piuttosto che un protagonista di una serie televisiva degli anni Duemilaventi. Sarà che la creatura ideata e scritta da Steven Knight ha assunto per lunghi tratti le sembianze di un romanzo d’appendice, per lo più noir, mischiate al dramma storico. Sarà che Cillian Murphy dona al personaggio una connotazione così caratteristica, come se portasse con sé il peso dell’inverno di un’altra epoca, intriso con lo smog industriale della Birmingham del 1920, divenendo egli stesso quasi una ciminiera, che sbuffa e scoppia, pur conservando il suo lato selvatico. Un’anima densa che non traspare mai dai suoi occhi gelidi, ma che ribolle dentro di lui, fusa a quel mondo gipsy, da cui proviene la sua famiglia. Un alieno che calpesta il suolo di una città terrestre.

Nell’iniziare la recensione di Peaky Blinders 6, l’ultima prima della pellicola conclusiva della saga, disponibile su Netflix dal 10 giugno 2022, penso sia corretto dire innanzitutto che questa è la parte che più rispecchia le mille contraddizioni che hanno composto l’anima del suo personaggio principale.

Sarà che la lista di figure sue pari si va assottigliando sempre di più, tutte quante ridotte a ricordi, poco importa se abbiano abbandonato le proprie spoglie terrene o meno. La serie ormai non se ne preoccupa neanche più quando deve inserirli al suo interno, dato che nell’arco dei suoi nuovi sei episodi non compie mai una scelta precisa su dove piantare le proprie radici, rimanendo in perenne bilico tra due mondi. Anthony Byrne, che dirige l’intera stagione, è ancora una volta straordinario nel creare un’atmosfera che abbandona sempre di più la sua dimensione gangster per trovare il proprio loco dalle parti di una continua marcia funebre, magari accompagnata da un brano della straordinaria Sinead O’ Connor.

Quest’ultima capatina sul piccolo schermo della serie che narra le vicende della famiglia Shelby è pensata come una storia di fantasmi.

Lo sono Arthur (Paul Anderson) e Alfie (Tom Hardy), il primo perdutosi ormai tempo fa in uno sguardo la cui dolcezza tradisce la propria vacuità; mentre il secondo, redivivo, è tenuto prigioniero dalle urla di coloro che hanno avuto più fortuna di lui a non tornare più. Lo sono Michael (Finn Cole) e Mary (Anya Talylor-Joy), giovani anime spezzate a causa dei propri familiari. Lo è Polly, la compianta Helen McCrory scomparsa realmente all’età di soli 52 anni, che nella morte diventa un’assenza talmente ingombrante da tradursi infine in una presenza fondamentale per tutti i personaggi, soprattutto quelli femminili, gli unici ancora in vita e gli unici ad essere ancora la forza motrice degli eventi narrati.

Tommy e la morte

Nell’intrecciare la vicenda raccontata con la storia con la “S” maiuscola, Peaky Blinders si diverte nel continuare a romanzare l’avanzamento del fascismo in terra inglese, narrandoci del ruolo che ebbe il partito comandato da Oswald Mosley (Sam Clafin) e quello che ebbe una frangia collusa del governo americano, entrambe affiancate da una cellula terroristica attiva in Irlanda.

Con queste nuove realtà è costretto a confrontarsi Tommy, che dopo l’attentato fallito ha promesso a se stesso, a Lizzie (Natasha O’Keeffe) e ai suoi due figli di diventare un uomo nuovo e voltare definitivamente pagina.

Un sentiero tortuoso lo aspetta, non solo per i loschi figuri con cui deve confrontarsi, ma perché dovrà sciogliere i nodi della sua anima, divisa tra luce e oscurità, per tornare alle proprie origini e sventare una maledizione che grava su di lui e sulla sua famiglia.

Una resa dei conti per lungo tempo attesa, temuta e, in un certo senso, desiderata.

Tom Hardy

Mai nessuno in quel di Birmingham è attratto dalla morte quanto il capofamiglia Shelby.

Più volte l’ha scorsa, con i suoi occhi che sanno d’inverno, sulla pista da ballo, porgergli la mano. Più volte si è intrattenuto con lei, offrendole da bere, sentendola cantare per lui o danzandoci insieme. Tutto solo per poi ritrovarsi ad essere rifiutato, incitato ad andare ancora avanti, ad oltrepassare un guado, la cui irraggiungibilità ha convinto l’uomo di non avere più nessun limite.

 Al di là dell’orizzonte

Peaky Blinders si è contraddistinta da sempre per una cifra estetica invidiabile, avvalorata nel corso del tempo da un affinamento registico e fotografico che è riuscito a coniugare classe, eleganza, brutalità e misticismo.

Prima ancora dei suoi personaggi, il marchio di fabbrica della creatura di Steven Knight, sono le sue camminate, i suoi rallenty, le sue esplosioni improvvise, i suoi chiaro/scuri, il suo perenno inverno, le sue musiche cupe eppure così imponenti.

La nebbia che aleggia per gran parte della stagione richiama un’ambientazione che nulla vuole avere a che spartire con la dimensione fisica, portando lo spettatore a sentirsi sempre sull’uscio di un altro mondo.

Il recupero importante dell’elemento esoterico fa il resto.

Cillian Murphy

Gli episodi sono stati probabilmente rimaneggiati, l’imponderabile del mondo dietro la camera non può non influenzare quello che accade davanti, ma nel mixare un tributo sentito e affettuoso alla sua protagonista per eccellenza con le vicende che aveva nei piani di raccontare, la serie non perde nulla della sua coerenza e potenza.

Nel femminile trova ancora una volta la risposta.

Tommy è solo con se stesso, ma non è spacciato, perché nelle donne della sua vita riesce ancora a scorgere i suoi mille volti, uguali e contrari, e dunque a continuare a confrontarsi con essi e con se stesso. Dopotutto ad un uomo serve sempre qualcosa a cui ambire, da cui emanciparsi, da cui tornare e anche da tradire. E nulla può assumere a tale compito come il femminile, più forte, comprensivo, paziente e salvifico di qualsiasi altra cosa, figurarsi del maschile. Se ci pensate anche la morte è donna, in fin dei conti.

Peaky Blinders torna con la sua stagione più metafisica, introspettiva e fredda, riprendendosi il suo spazio meritato tempo fa tra le serie più riconoscibili della sua epoca storica, continuando a riflettere su se stessa, senza tradirsi mai. Come? Seguendo Tommy, il suo faro oscuro, oltre i suoi limiti, spingendosi, di conseguenza, anche al di là dei propri.

Peaky Blinders 6 è disponibile su Netflix dal 10 giugno 2022.

80
Peaky Blinders 6
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

La sesta e ultima stagione di Peaky Blinders, scritta da Steven Knight e diretta da Anthony Byrne, sorge al domani della tragica scomparsa di Helen McCory, spostando il peso della storia ancora di più sulle spalle di un monumentale Cillian Murphy, affiancato solamente da elementi femminili, tra i quali spicca la morte. La dimensione nebbiosa, metafisica ed esoterica di questo nuovo atto, consente al titolo di continuare a raccontare la sua versione romanzata della Storia e allo stesso tempo scavare come mai prima d’ora dentro l’anima del suo protagonista, diviso tra desiderio e rifiuto della fine. La cifra estetica si conferma quella dei tempi migliori, sia dal punto di vista registico che fotografico, il resto lo fanno il montaggio e la colonna sonora, altri due fiori all’occhiello che hanno fatto la fortuna della serie. C’è da dire però che forse ci siamo fermati in tempo, un altro giro sarebbe stato troppo. Ora siamo pronti per il lungometraggio.

ME GUSTA
  • Le prove degli attori sono straordinarie e sugli scudi ci sta ancora una volta Cillian Murphy.
  • Riuscitissima la costruzione di un setting esoterico e metafisico, in grado di funzionare pur non prendendo mai una posizione definita.
  • La scrittura dei personaggi femminili è ancora una volta un punto di forza della serie.
  • La firma estetica e la solidità audiovisiva sono quelle dei tempi migliori.
FAIL
  • Un altro giro sarebbe forse stato troppo.
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