La caduta della casa degli Usher, la recensione: distruggere per costruire

La caduta della casa degli Usher

Mike Flanagan è un regista che ha faticato a trovare la sua dimensione. Uno che per i primi 15/16 di carriera ha lavorato con opere originali per il grande schermo per poi guardare con occhio interessato alle trasposizioni letterarie per il piccolo (in mezzo c’è una sortita nel mondo di Oujia, ma urla da ogni parte “pellicola su commissione”). Interesse che è sbocciato in amore con Netflix, insieme al quale è riuscito a confezionare un film tratto da un libro dello scrittore horror più depredato degli ultimi anni di cinema (Stephen King) e, soprattutto, The Haunting. Non la sua serie più bella (quella è Midnight Mass), ma la più importante, perché grazie ad essa è riuscito a creare il suo immaginario. Al cinema torna con Doctor Sleep, un secondo adattamento per nulla banale della penna di Portland, ma ancora una volta i risultati indicano l’altra strada. Il titolo di cui stiamo per parlare è la sua creatura più ambiziosa, la summa della sua carriera, in attesa di emigrare verso nuovi lidi, portandosi dietro vecchi compagni.

La recensione de La caduta della casa degli Usher, disponibile con tutti e 8 i suoi episodi sulla piattaforma del Tudum dal 12 ottobre 2023, è infatti il tentativo di Flanagan di mettere dentro ad un suo lavoro tutto il suo amore per la letteratura horror gotica, i suoi riferimenti cinematografici, la sua capacità di reinvenzione, la sua visione politica sul mondo contemporaneo, sulla scienza, la tecnologia e la comunicazione e, magari, tentare di inventarsi un altro immaginario sulle ceneri del precedente. Un adattamento che racconta una rinascita. Già questa è una differenza sostanziale rispetto all’anima della storia originale di Edgar Allan Poe.

La serie di cui stiamo per parlare è la sua creatura più ambiziosa, la summa della sua carriera, in attesa di emigrare verso nuovi lidi, portandosi dietro vecchi compagni.

Uno dei racconti maggiormente portati su schermo dello scrittore di Boston (tra tutti ricordiamo la sublime versione di Epstein del 1928) è stato anche uno dei più analizzati dal punto di vista psicanalitico, in primis da Freud stesso. Il decadimento degli interni della magione, il senso della malattia di Roderick in relazione allo status della sorella gemella e, soprattutto, il rapporto con la casa in quanto struttura hanno fatto scuola. Quest’ultimo aspetto è stato ripreso ampiamente nel secolo successivo, passando dalla parola scritta ad altri tipi di arti visive. L’orrore in Poe era tale perché realistico, anche se sempre suggerito, evocato, mai descritto. Altra differenza sostanziale con la serie di Flanagan.

I villain di ogni film che si rispetti

La Fortunato è l’azienda farmaceutica più ricca e importante del mondo e come ogni azienda farmaceutica più ricca e importante del mondo ha fondato il suo impero sul male assoluto. Una ricchezza basata su sperimentazioni, commercio di farmaci che creano dipendenza e conducono alla morte, accordi coercitivi, prove occultate, firme false, ecc… Il Leone d’oro di Venezia79 potrebbe farvi capire quanto questo tipo di discorso porti a delle ferite freschissime in suolo statunitense.

Ovviamente sono stati tantissimi i processi mossi contro la famiglia Usher, che gestisce la Fortunato, ma nulla è mai riuscito a scalfirli, forti di un mefistofelico avvocato (interpretato da un inedito Mark Hamill) e di una apparente immunità data dal fatto che sono dei “cattivi potentissimi e che piacciono tanto ai governi e ai loro azionisti”,  almeno fino a prova (schiacciante) contraria. Quest’ultimo procedimento sembra però diverso dagli altri perché durante il suo svolgimento sono venuti tragicamente a mancare tutti e sei i figli del capofamiglia Roderick (Bruce Greenwood), conducendo l’uomo ad un comprensibile collasso psicologico e spingendolo ad invitare nella sua casa di famiglia un suo amico insospettabile.

La Fortunato è l’azienda farmaceutica più ricca e importante del mondo e come ogni azienda farmaceutica più ricca e importante del mondo ha fondato il suo impero sul male assoluto.

La caduta della casa degli Usher

Insospettabile perché, guarda il caso, è anche l’avvocato accusatore, Augustin (Carl Lumbly), un professionista con il dente più che avvelenato con gli Usher per motivi passati. Il tipo di persona che non avrebbe raccolto l’invito se non perché questo era accompagnato dalla promessa di una confessione.

Una serata promettente in cui il capo famiglia non vuole solamente urlare al mondo il suo ipotetico crimine, ma vuotare il sacco sulla storia della sua famiglia. La vera storia, quella che non nessuno sa e nessuno può immaginare. Quella che lo rende responsabile della morte di tutta la sua progenie (a suo dire) e che ha la sua origine con lui, la gemella Madeline (Mary McDonnell) e una donna di nome Verna (Carla Cugino).

Il grande altare di Flanagan

La caduta della casa degli Usher è in realtà per Flanagan la costruzione, mattone dopo mattone, di un altare innalzato in nome del suo mondo immaginifico. La serie è piena di tutte le sue passioni, i suoi amori, i suoi volti, i suoi ambienti, i suoi vizi, i suoi monologhi, le sue citazioni e le sue forzature (ci sta un gatto che vi farà riconsiderare la distanza tra horror e commedia). Un’opera gigante che il regista prova a mettere in ordine scegliendo una narrazione tripartitica, escamotage pensato per Hill House e anche per Midnight Mass, anche se in quest’ultimo caso la logica di costruzione narrativa era più a mosaico.

Ancora una volta al centro della storia c’è l’idea di un orrore viscerale e tradizionale, che però nella fattispecie viene allungato al punto di svuotarlo prima del tempo, esaurendone le soluzioni, rendendo il valore dei suoi archetipi descrittivo invece che narrativo e rendendo così la serie un po’ prevedibile e ripetitiva nel suo avvicinamento verso la risoluzione. Poco importa che la struttura del racconto parta dalla sua fine, dato che il regista ha spesso mostrato la sua capacità di cambiare le carte in tavola lavorando per orizzontale.

Di fatto questa versione de La caduta della casa degli Usher non si avvicina mai all’idea di costruzione della paura che c’è in Poe. Non che sia un problema in assoluto, a patto che non venga a mancare l’efficacia.

Nonostante ciò, la serie conferma la capacità di Flanagan di creare un’atmosfera in pochissime inquadrature, avendo a sua disposizione anche un cast costruito nel tempo (sono sempre pochi i volti nuovi), e di mettere a fuoco la parte visiva delle opere che adora e con cui è cresciuto, riuscendo a dipingere i suoi frame con dei colori e delle sfumature sempre evocative e funzionali. La sua è la voce più interessante del panorama horror più pop su piccolo schermo in questo momento. Anche il sovraccarico del lavoro lo suggerisce.

La caduta della casa degli Usher

La serie è piena di tutte le sue passioni, i suoi amori, i suoi volti, i suoi ambienti, i suoi vizi e le sue forzature (ci sta un gatto che vi farà riconsiderare la distanza tra horror e commedia).

Il lato più interessante del titolo rimane però quella relativa al rapporto con il materiale originale in termini di scrittura. L’idea del regista stavolta guarda all’emancipazione, anche arrogante, anche violenta, e in cui qualche volta il rispetto scricchiola (è venuto meno l’aspetto psicologico collegato alla struttura della casa in sé, parte fondante dell’opera di Poe) sotto il peso della volontà di mischiare, sperimentare e sconvolgere. Sempre con l’intento di costruire un altare, basti guardare ai titoli degli episodi e ai vari easter egg tra nomi di personaggi e citazioni esplicite ad altri racconti del leggendario scrittore.

La caduta della casa degli Usher da indagine della decadenza umana diviene in mano a Flanagan un’indagine bulimica sull’anima nera dell’America, tenuta insieme grazie ad un linguaggio riconoscibile, in grado di sostenere anche una messa in scena e un discorrere più caciarone e polifonico. Una casa è caduta perché possa sorgerne un’altra ed è comprensibile che il regista abbia voluto farla cadere con la cura di renderla prima un edificio con dentro tutto quello che si voleva lasciare alle spalle, ora vediamo che succederà.

La caduta della casa degli Usher è disponibile su Netflix 12 ottobre 2023.

70
La caduta della casa degli Usher
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

La caduta della casa degli Usher è la miniserie con cui Mike Flanagan si separa da Netflix ed è la sua opera più ambiziosa. Si tratta di un adattamento del famoso racconto di Edgar Allan Poe che da strumento di analisi dell'animo umano in cui l'orrore viene suggerito diviene una condanna dell'anima nera d'America in cui l'orrore diviene così dichiarato da perdere di efficacia. Un'opera bulimica che si tiene insieme grazie alla capacità del regista di creare le sue grandi strutture tripartitiche e la sua forza nel dar vita alle sue atmosfere tipiche con poche sfumature di colori. Una prova di forza, nonostante i difetti.

ME GUSTA
  • La prova del cast nei suoi singoli e la chimica tra tutti loro.
  • Le atmosfere e i colori, tipicamente alla Flanagan.
  • I riferimenti letterari a Poe.
  • La riscrittura in chiave moderna e personale può essere intrigante.
FAIL
  • L'elemento orrorifico è stirato e alla lunga le sue soluzioni depotenziata.
  • La struttura è alla lunga è ridondante e prevedibile.
  • La serie è estremamente bulimica dal punto di vista dei contenuti.
  • La riscrittura in chiave moderna e personale snatura il senso del materiale originale.
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