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Goodbye, Cassini

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Il 15 settembre 2017 dal Jet Propulsion Laboratory della NASA arrivava la conferma del termine della missione Cassini-Huygens. Dopo aver esplorato lo spazio per 20 lunghi anni, Cassini ci ha raccontato le sue ultime settimane di vita attraverso le meravigliose immagini del suo gran finale intorno a Saturno, prima di porgerci l’estremo saluto gettandosi, per sempre, nell’atmosfera del pianeta.

Diciannove anni ed undici mesi. Questo il tempo trascorso da quando la sonda Cassini si è staccata dal suolo terrestre assieme al fidato compagno di viaggio, il lander Huygens, per partire alla volta dell’esplorazione del Sistema Solare. Destinazione finale: orbita di Saturno.

L’ultima delle grandi missioni a marchio NASA, un lungo viaggio che ha regalato incredibili scoperte ed emozioni agli studiosi ed appassionati che in questi anni hanno seguito l’itinerario della sonda arrivata a soffermarsi più da vicino laddove le missioni Pioneer 11 e Voyager 1 e Voyager 2 avevano solamente gettato un primo sguardo.

Omaggiamola ripercorrendo le sue orme.

 

 

 

La missione Cassini-Huygens

 

Origini

La missione Cassini-Huygens trova le sue radici nel lontano 1982, quando l’European Science Foundation ed il National Academy of Science formarono un gruppo di lavoro che ponesse le basi per possibili collaborazioni in materia di missioni scientifiche.

Da questo primo approccio cooperativo emerse l’idea di una missione congiunta tra ESA (European Space Agency) e NASA (National Aeronautic and Space Administration) che avesse come scopo lo spedire una sonda nell’orbita di Saturno e sulla superficie di Titano, principale luna del pianeta.

 

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Saturno e la sua luna Titano (©NASA)

 

Proprio in quegli anni la NASA stava ammorbidendo la sua linea di condotta riguardo la condivisione delle scoperte scientifiche in ambito spaziale, aprendosi al dialogo con gli altri enti europei ed occidentali.

Proprio in quegli anni la NASA stava ammorbidendo la sua linea di condotta riguardo la condivisione delle scoperte scientifiche in ambito spaziale, aprendosi al dialogo con gli altri enti europei ed occidentali.

La causa prima di questo aggiustamento di tiro era la situazione geopolitica che vedeva l’Unione Sovietica come principale avversario anche nel contesto scientifico: l’allora URSS che aveva cominciato a cooperare con l’ente spaziale europeo allontanandolo dalla protezionista realtà americana.

La condivisione del progetto Cassini-Huygens con l’ESA non permise solamente di allacciare rapporti più stretti in vista di missioni future, ma consentì anche di compensare e risparmiare su parte del budget previsto per la realizzazione, vista la cinghia sempre più stringente del Congresso statunitense, stressato da decenni di folli spese in ambito di ricerca spaziale.

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La realizzazione del progetto coinvolse team di sviluppo da oltre 15 Paesi.

Il centro di gestione primario rimase in capo alla NASA, nel Jet Propulsion Laboratory, dove fu assemblato l’orbiter. Toccò invece all’European Space Research and Technology Center occuparsi dell’assemblaggio del lander Huygens.

 

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Il vettore di lancio di Cassini-Huygens

 

Ruolo non di secondaria importanza fu quello dell’Agenzia Spaziale Italiana, che si occupò della preparazione di alcune tra le principali strumentazioni montate sull’orbiter di Cassini, tra le quali spicca l’antenna parabolica ad alta e bassa frequenza, essenziale per la costante comunicazione sonda-Terra.

Dopo diversi anni di attenta progettazione e studio, che hanno richiesto investimenti per circa 4 miliardi di dollari statunitensi, la missione si appresta ad essere lanciata il 15 ottobre 1997.

Dal complesso di lancio 40, della stazione John. F. Kennedy di Cape Canaveral, la sonda Cassini ed il lander Huygens sono appollaiati sul vettore di lancio composto da un razzo Titan IV a due stadi e da uno stadio superiore, il Centaur, che ospita al suo interno il carico utile.

Alle 4.43 a.m. (orario USA) il vettore decolla, salutando per sempre il suolo terrestre e spingendo la sonda oltre la nostra atmosfera, alla scoperta di orizzonti lontani.

 

 

 

La sonda: orbiter e Huygens

Cassini rappresenta la punta di diamante dello sviluppo tecnologico del XX secolo.

Cassini rappresenta la punta di diamante dello sviluppo tecnologico del XX secolo. Orgoglio dei numerosi team che lavorarono intensamente al suo progetto, prende il nome dell’astronomo italiano del ‘600 Giovanni Cassini, responsabile della scoperta di quattro satelliti di Saturno e della divisione dei suoi anelli, a lui intitolata.

Come detto in precedenza, la sonda comprendeva due moduli: l’orbiter ed una sonda secondaria, Huygens, il cui scopo principale sarebbe stato quello di sganciarsi e dirigersi verso la superficie della luna Titano.

 

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©NASA/JPL (via)

 

Nel suo complesso Cassini raggiungeva i 7 metri di altezza ed i 4 in larghezza, per un peso totale di oltre 6 tonnellate.

Incredibili i numeri legati alle componenti meccaniche del progetto, comprendenti un’asta magnetometro lunga 13 metri, 22.000 connessioni elettriche, 12 chilometri di cavi elettrici, 82 unità di riscaldamento a radioisotopi e 16 motori di assetto a idrazina, con la maggior parte dei sistemi “ridondanti“, ovvero affiancati da sistemi gemelli che avrebbero dovuto sostituirli in caso di guasti che nella profondità dello spazio sarebbero stati impossibili da riparare.

Per le comunicazioni, Cassini si avvaleva della già citata antenna parabolica, larga poco meno di 4 metri, che consentiva ai messaggi radio di raggiungere la Terra in un lasso di tempo stimato tra i 60 ed 80 minuti.

Per l’alimentazione della sonda furono impiegati tre generatori termoelettrici a radioisotopi (RTG). Questa scelta venne presa in accordo con la distanza che separa il pianeta di Saturno dal Sole, una distanza tale che non permetteva l’utilizzo di pannelli solari come fonte energetica, poiché per generare energia sufficiente si sarebbe dovuto ricorrere ad una struttura troppo grande e pesante.

 

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Il pellet di plutonio alimentatore delle unità RTG

 

Al momento della preparazione della missione, l’impiego delle unità RTG suscitò alcune polemiche tra gli ambientalisti, che sostenevano come tesi la possibilità di inquinamento ambientale in caso di incidente in fase di lancio.

In realtà, le unità RTG utilizzate dalla sonda erano “passive”, ovvero non presentavano delle versioni miniaturizzate di reattori nucleari, ma sfruttavano per la produzione d’energia solamente il calore prodotto dal naturale decadimento radioattivo dei 33 kg di plutonio-238 imbarcato.

Questa tipologia di alimentatori venne utilizzata anche in missioni precedenti a Cassini, come ad esempio New Horizons, Galileo ed Ulisse, appunto perché garantiva una aspettativa d’autonomia a lungo termine a fronte di un’elevata sicurezza. Si stima che alla fine degli 11 anni nominali di missione, le unità RTG della sonda fossero in grado di generare energia elettrica per 600 o 700 watt.

 

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Elaborazione grafica della sonda Cassini con Saturno sullo sfondo. ©NASA/JPL

 

A sfruttare l’energia dei generatori atomici era l’orbiter, che costituiva la struttura principale dell’intera sonda.

A sfruttare l’energia dei generatori atomici era l’orbiter, che costituiva la struttura principale dell’intera sonda. Pesava all’incirca 2 tonnellate e poteva vantare una dotazione di 12 differenti strumenti scientifici, due registratori digitali di dati, due computer primari e 50 computer secondari.

La strumentazione di bordo comprendeva anche telecamere operanti in situazione di luce visibile, nell’infrarosso e nell’ultravioletto, con le quali sono state scattate le centinaia di migliaia di foto indimenticabili che hanno reso celebre Cassini in questi decenni.

La sonda montava inoltre degli spettrografi fondamentali per l’analisi della temperatura e della composizione chimica della superficie di Saturno, della sua atmosfera e degli anelli che circondano il pianeta.

Altre strumentazioni ancora permettevano di analizzare le proprietà ed i comportamenti del gas ionizzato nella magnetosfera per poter risalire, quindi, alle caratteristiche che lo compongono ed all’intensità del campo magnetico.

 

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La sonda Cassini

 

Costruita e gestita interamente dall’ESA, Huygens aveva come unico ed importante scopo quello di approcciarsi per la prima volta nell’orbita e nella superficie di Titano.

Ruolo importantissimo anche per il compagno che ha affiancato per molti anni Cassini, ovvero Huygens. La sonda secondaria, che non supera i 3 metri di diametro ed i 350 kg di peso, prende il nome dell’astronomo olandese del XVII secolo Christiaan Huygens, scopritore della più importante luna di Saturno e seconda per grandezza nell’intero Sistema Solare, ovvero Titano.

Costruita e gestita interamente dall’ESA, Huygens aveva come unico ed importante scopo quello di approcciarsi per la prima volta nell’orbita e nella superficie di Titano. Staccatasi dalla sonda madre il 25 dicembre del 2004, il modulo secondario planò sulla superficie del satellite il 14 gennaio dell’anno successivo, atterrando nella regione di Xanadu. Dopo l’entrata nel campo gravitazionale di Titano, Huygens iniziò la sua discesa con l’ausilio di paracadute, prima, e di razzi frenanti, poi. Si trattò del primo sbarco in assoluto nel Sistema Solare esterno e sul suolo di una luna che non fosse la nostra.

 

 

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©NASA / JPL / ESA

 

 

Previsto inizialmente in una zona di Titano che presentava un oceano, il luogo effettivo dell’atterraggio venne stabilito solamente nel momento in cui la sonda Cassini sorvolò il satellite. La struttura di Huygens era stata progettata perché resistesse alla discesa ed inviasse, durante questa fase, segnali delle riprese effettuate dalla telecamera della superficie della luna, fondamentali per lo studio della morfologia e geologia del luogo.

A causa delle dimensioni ridotte della sonda, infatti, il tempo stimato di missione, una volta atterrata sulla superficie, era di appena quindici minuti. La strumentazione di bordo non era nemmeno in grado di inviare segnali direttamente alla Terra, i quali dovevano essere prima spediti tramite radio alla sonda principale Cassini e, poi, da lì rigirati verso il nostro pianeta.

I sensori di Huygens raccolsero una mole preziosissima di dati.

Nonostante tutte le sue limitazioni tecniche, i sensori di Huygens raccolsero una mole preziosissima di dati, misurando la temperatura delle nubi e, tramite gli spettrografi, la loro composizione chimica e le caratteristiche fisico-chimiche delle particelle di polvere sospese nell’atmosfera.

Sempre durante la fase di discesa verso Titano venne effettuato anche un esperimento per la misurazione della velocità dei venti, attraverso tecniche Doppler.

Huygens andò ben oltre le più rosee aspettative degli addetti ai lavori, continuando a far sentire la sua voce ed a trasmettere dati per oltre due ore rispetto al tempo limite prefissato, fino a quando Cassini tramontò dietro al pianeta.

Per chi volesse cimentarsi nella costruzione in scala cartacea della sonda Cassini-Huygens, nel 1992 la NASA ha rilasciato due file PDF con le istruzioni per una versione del modello semplice (qui) ed una versione più complessa (qui).

Durata e principali scoperte della missione

Il 1° luglio del 2004, alle ore 21.12 UTC, la sonda Cassini effettua con successo la manovra di avvicinamento ed entrata nell’orbita di Saturno. Sono passati 7 anni dal lancio e la missione ha percorso oltre 3 miliardi e mezzo di chilometri per approcciarsi, finalmente, a quello che è l’oggetto primario del suo interesse.

L’apporto di materiale di studi che Cassini-Huygens ha fornito in questi anni è inestimabile e sconfinato, per cui qui si riporteranno solamente alcune tra le più importanti scoperte e momenti salienti.

La durata originaria della missione prevedeva un primo ciclo che si concluse il 30 luglio del 2008. Durante questa fase Cassini ebbe modo di iniziare a studiare Saturno ed il suo sistema di asteroidi e lune, osservando più da vicino dettagli prima sconosciuti.

 

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Foto a colori del vortice nel Polo Nord di Saturno. ©NASA

 

Cassini fu inoltre in grado di rilevare la presenza di sette nuovi satelliti precedentemente non noti.

Sconcertante fu lo sguardo che la sonda, nel 2006, lanciò sul Polo Nord del pianeta evidenziando la prima testimonianza di uragano su di un mondo che non fosse il nostro.

Per meglio studiarlo, fu atteso l’equinozio che avvenne nel 2009 e che comportò l’estensione della missione fino a giugno 2010 (Cassini Equinox Mission). La peculiarità del fenomeno atmosferico in questione sta nelle dimensioni: 50 volte più esteso di quelli esistenti sulla Terra e con venti che tirano a velocità 4 volte maggiori, formatosi in condizioni di ridotta presenza di vapore acqueo ed in una atmosfera a prevalenza d’idrogeno.

Cassini fu inoltre in grado di rilevare la presenza di sette nuovi satelliti precedentemente non noti, poiché nascosti nell’orbita interna degli anelli del pianeta, i quali vanno ad aggiungersi alle altre decine già conosciuti: Metone, Pallene, Polluce, Dafni, Antea e Egeon, con l’ultimo, S/2009 S 1, scoperto nel 2009 e che vanta un diametro di appena 300 metri.

È però riguardo un’altra luna di Saturno che la missione ha consegnato delle scoperte di primario ordine. Nel 2005, soffermandosi sull’osservazione di Encelado, scoperto nel 1789 da William Herschel e sesto satellite del pianeta in ordine di grandezza, attraverso la sua strumentazione Cassini ha captato un pennacchio ricco d’acqua nella regione polare sud.

Questo fatto, assieme alle rilevazioni di fuoriuscite di calore dalla superficie, hanno permesso di dedurre che Encelado fosse geologicamente attivo. Le ulteriori analisi dei gas emessi hanno consentito, inoltre, di ipotizzare che questi siano generati dalla presenza di acqua liquida nel sottosuolo, alimentando le possibilità che il satellite presenti caratteristiche che lo rendano un ottimo soggetto di studi per quanto concerne la comparsa e la presenza di vita extraterrestre.

 

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Titano ed Encelado

 

Le scoperte effettuate dalla sonda principale non devono però oscurare l’egregio lavoro svolto dal già citato Huygens, che nella sua breve ma intensa esperienza su Titano ha consegnato interessanti dati all’attenzione degli studiosi.

Le due ore e mezza di tempo che le batterie hanno concesso al lander, permisero di osservare le immagini di una superficie composta da una mistura di idrocarburi e la presenza di rocce di ghiaccio, documentazione che, una volta integrata agli altri dati raccolti, si dimostrò fondamentale per sintetizzare una mappa dettagliata del suolo del satellite.

Con l’ausilio dello strumento di bordo HASI (Huygens Atmospheric Structure Instrument), la sonda ha determinato le condizioni di temperatura, pressione e densità dell’atmosfera, confermando come quest’ultima sia composta prevalentemente da azoto, circostanza precedentemente ipotizzata da Voyager.

Huygens fu anche in grado di segnalare la presenza di attività di decadimento radioattivo, fattore che aiutò nello sviluppo degli studi sulla storia di criovulcanesimo di Titano, assieme alla rilevazione di bacini di laghi e fiumi oramai prosciugati.

Il 3 febbraio 2010, per la seconda ed ultima volta, la NASA comunica un’ulteriore estensione della missione Cassini che avrebbe coperto i successivi 6 anni e mezzo, fino al solstizio d’estate nell’emisfero nord di Saturno dell’aprile 2017 (Cassini Solstice Mission).

 

Per chi volesse approfondire la conoscenza delle principali scoperte e movimenti effettuati dalla sonda Cassini-Huygens, qui trova una timeline abbastanza dettagliata dell’itinerario della missione.

 

 

 

The Grand Finale

Come tutte le cose, tra cui le più belle, anche Cassini sarebbe giunta alla sua conclusione. Quello della missione Cassini-Huygens era però un destino già scritto, decretato nel momento stesso della sua partenza e definito solamente nelle ultime settimane della sua permanenza nello spazio.

Al termine della terza fase di viaggio, la Solstice Mission, per la sonda esploratrice è iniziato l’ultimo atto che l’avrebbe condotta fino al suo definitivo ritiro nell’atmosfera di Saturno: il Grand Finale.

 

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Le orbite del Grand Finale. ©NASA

 

Il 22 aprile scorso Cassini viene chiamata ad eseguire 22 orbite conclusive attorno al pianeta, eseguendo passaggi dalle traiettorie estremamente eccentriche tra pianeta ed anelli che permettessero di massimizzare il profitto ottenibile da un ultimo studio del settore. Ogni singola orbita ha richiesto un periodo di 6 giorni e mezzo per essere completata.

L’ultima settimana di vita della sonda inizia l’11 settembre, quando Cassini sorvola per l’ennesima volta Titano, luna che ha osservato ed immortalato migliaia di volte negli anni precedenti, e che a questo giro le ha fornito la spinta gravitazionale necessaria per entrare in rotta di collisione con Saturno.

Qui la sonda scatta le sue ultime foto, raccolte nel database curato da CICLOPS (Cassini Imaging Central Laboratory for Operations), materiale grezzo di elevata fattura che è stato immediatamente scaricato ed elaborato da studiosi ed appassionati di tutto il mondo.

Perché questo è il capitolo conclusivo, il punto di non ritorno.

Non c’erano possibili alternative, per quante ne siano state cercate ed ipotizzate nel corso del tempo. Un rientro a casa non era nemmeno immaginabile, vista la quantità minima di propellente rimasta nei serbatoi della sonda, insufficiente per un riallineamento in un’orbita che potesse consentire il ritorno.

Nemmeno uno spegnimento in attesa di un futuro plausibile recupero, così come accaduto per Huygens, rappresentava una strada percorribile. La zona che circonda Saturno è densa di satelliti ed asteroidi, contro i quali Cassini avrebbe prima o poi finito per impattare.

Ed è qui che entra in gioco l’imperativo di assicurare ad ogni costo la protezione degli (eco)sistemi delle lune come Encelado e Titano, che sembrano ospitare caratteristiche simili ad una Terra primordiale, e quindi di prevenire ogni possibile contaminazione esterna di carattere biologico.

 

 

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Cassini entrando nell’atmosfera accelera fino alla velocità di 113.000 km/h, iniziando a disgregarsi alle ore 12.30 del 15 settembre, ora italiana. Al complesso di Canberra, in Australia, che monitora le ultime comunicazioni provenienti dalla sonda, il termine della missione, in seguito alla perdita del segnale, viene decretato 85 minuti dopo, alle 13.55 ora italiana.

 

 

 

Il lascito

In definitiva, cosa è stata Cassini? Cosa ha rappresentato e cosa ci ha lasciato?

Da un punto di vista scientifico, è stata una missione spaziale tra le più longeve e ricche, che ha consegnato una incredibili mole di dati ed informazioni nelle mani di studiosi che ieri, oggi e per gli anni a venire occuperanno il loro tempo interpretando e sintetizzando.

Alcune scoperte hanno permesso di conoscere e speculare su orizzonti lontani che sono apparsi più vicini, dove molte opportunità ancora si celano.

Cassini è, però, stata grande soprattutto nella più difficile delle imprese, alla quale non era direttamente chiamata ma dove è degna di maggior merito, ovvero nella capacità che ha avuto d’aggregare alla sua storia appassionati di tutti i generi ed età.

Magari qualcuno era un marmocchio in quel distante 1997, come chi sta scrivendo queste righe, e si è avvicinato alle vicende della sonda solamente crescendo; magari qualcun altro era già più con la testa sulle spalle e ne ha seguito gli eventi anno dopo anno, scoperta dopo scoperta.

 

 

Risulta incredibile il successo e la passione che ha saputo suscitare ben oltre i confini del ristretto campo scientifico, alimentando fantasie e sogni di intere generazioni.

La missione Cassini-Huygens è stata maestosa, ultima prima dell’avvento della rinnovata filosofia del faster, better, cheaper, intensa fino all’atto conclusivo e generosa per scoperte ed emozioni, sapendo che nel “guardare Saturno nel cielo notturno, noi ricorderemo”.

Non dimenticando mai che lì fuori, qualcuno, silente ma non silente, dopo 40 anni ancora continua a trasmetterci, grazie di tutto.

Goodbye, Cassini.

 

 

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